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Oblomov sta sul divano.

Indossa una vestaglia (che non siamo riusciti a descrivere nella prima scena) di stoffa persiana, un'autentica vestaglia orientale, senza il minimo richiamo all'Europa. Il propietario

ci si potrebbe avvolgere due volte. Senza nastri e senza vita, le maniche che dalle dita alle spalle si fanno sempre più ampie. Morbida, cedevole, il corpo non la sente su di sè, essa si adatta a ogni movimento del corpo. Le pantofole di Oblomov sono morbide e larghe. Quando egli, senza guardare, cala giù i piedi dal divano, quelli immancabilmente ci si infilano subito.

Accanto a lui sta Zachar, il servo di Oblomov. Zachar con la scopa e la paletta per l'immondizia.

ZACHAR. Che colpa ne ho io, se al mondo esistono le cimici? Le ho forse inventate io? E nemmeno i topi ho inventato. Di queste bestie – topi, gatti, pulci – ce n'è un sacco dappertutto. Non puoi mica star dietro a ogni cimice, seguirla nelle fessure. Pulisci, Zachar, leva la

sporcizia dagli angoli. E domani quella si ammucchia di nuovo. Che razza di vita è quella di Zachar? Meglio sarebbe che Dio mi chiamasse a sè!

Oblomov guarda il soffitto, non risponde.

Poco fa mi ha chiesto – E perché le case degli altri son pulite? Lì di fronte, dice lui, dal tedesco che fa l'accordatore? Ma da dove la tirano fuori la spocizia i tedeschi? Guardate un pò come vivono! Tutta la famiglia rosicchia un osso per una settimana intera. Lo stesso vestito

passa dal padre al figlio, e dal figlio di nuovo al padre. La moglie e le figlie portano dei vestitini così corti che devono tenere le ginocchia piegate. Da dove possono tirar fuori la sporcizia? Nei loro armadi non ci sono mucchi di vestiti vecchi. Da loro non si avanzano le croste di pane. Ne fanno pan biscotto e lo mangiano con la birra. (Rassegnato.) Volete forse che spazzi il pavimento?

Oblomov non risponde.

Per quanto ancora mi sorreggeranno le gambe? Venisse presto la morte! OBLOMOV. Zachar! Dov'è la lettera?

ZACHAR. (A bassa voce, astioso). Lo sa il cazzo.

Oblomov cala lentamente le gambe a terra. Si siede sul divano.

OBLOMOV. Chi è che lo sa?

Zachar tace.

Cos'hai detto, Zachar?

ZACHAR. Ho detto, quand'è che Dio mi prenderà con sè? OBLOMOV. No, che cosa hai detto?

Ti rendi conto di che cosa hai detto? "'Lui' lo sa!" Chi lo sa, rispondi!

Zachar tace.

Che cos'è che sa?

(Amareggiato.) Non sarai mica cretino, Zachar?

ZACHAR. Sì, cretino.

OBLOMOV. Lui non può sapere nulla.

Si alza dal divano. Cammina per la stanza in preda all'agitazione.

È solo la minima parte di un individuo! Chi ce l'ha di quindici centimetri, chi di venti. Se, per esempio, un uomo è alto un metro e ottanta, allora... (Chiude gli occhi, muove le labbra in

silenzio.) Significa che è una dodicesima parte della persona. Pensa, che piccolezza! E che

cosa può sapere? Lì, chiuso, al buio. Nei pantaloni, ma pure in una calda vestaglia. Può forse sapere questo lupacchiotto, che cos'ha una persona in mente, nell'animo, e qual'è la causa di una contrazione cardiaca? Chiedigli dunque – che cos'è un uomo? Dirà un mucchio di sciocchezze, che ti dovrai tappare le orecchie! Non crederai che questo sia un uomo, non lo riconoscerai. Dimmi dunque, Zachar, può una parte di un individuo conoscere la totalità dell'individuo stesso?

ZACHAR. Oh, santissima madre di Dio!

tu dici che il decimetro sa che cos'è il metro.

ZACHAR. Così state rigirando il coltello nella piaga.

OBLOMOV. In un decametro ci sono dieci metri, e tu dici che il metro sa tutto del decametro. ZACHAR (Comincia a singhiozzare). Signore, basta tormentarmi con queste parole

meschine!

OBLOMOV. Come hai potuto? Come ti è uscito di bocca? Hai addolorato il tuo padrone. Vero che lo hai addolorato?

ZACHAR. Sì, l'ho fatto.

OBLOMOV. Vai, per carità di Dio!

Zachar esce singhiozzando. Oblomov si distende sul divano.

(Dondolando una gamba.) Le frazioni le hanno inventate gli arabi. E perché? Per dividere. E

che cos'avevano da dividere? Cos'aveva da dividere l'uomo di colore dei paesi caldi, un negro nudo? Forse se stesso?

Pausa.

(Grida.) Zachar!

Entra Zachar.

ZACHAR. Si può bere anche senza il bicchiere. OBLOMOV. Dov'è il bicchiere?

ZACHAR. Ogni cosa ha una fine, fosse anche di ferro, non può durare in eterno.

OBLOMOV. L'hai rotto... Sei il solito! Ti si ordina di togliere il moccolo dalla candela, e tu lo togli. Ma con una tale forza, come se dovessi spalancare un portone. Vattene da qui.

ZACHAR. Vi eravate arrabbiato perché si era persa la lettera. E Zachar l'ha trovata.

Consegna la lettera a Oblomov.

Ma non la leggete! Se la leggerete vi verrà il mal di testa, la nausea, non vorrete più mangiare. Domani o dopodomani riuscirete a leggerla, non scapperà.

Oblomov, cacciato via Zachar con un gesto, apre la lettera.

OBLOMOV. Ma guarda! Pare scritta con il kvas. (Legge.) " Nostro padre e benefattore, signor Il'ja Il''ič... Riferisco a tua grazia che nel podere va tutto bene. Da cinque settimane non piove. La semina primaverile brucia come fuoco. Tutto è ridotto in cenere. I piselli sono stati distrutti dai vermi, l'avena – dalle gelate precoci, i cavalli hanno calpestato la segale, gli alveari si sono prosciugati. Non ci preoccupiamo per noi – potremmo pure crepare – ma forse il Signore a te concederà la grazia. Oggi altri tre contadini sono fuggiti. Ho mandato le mogli

all'insegiumento dei mariti, non sono più tornate. Tutti sul Volga, sono fuggiti su un battello – oggi il popolo è diventato così stupido, nostro benefattore, batjuška, Il'ja Il''ič! Quest'anno alla fiera non ci sarà il nostro lino. Ho chiuso a chiave l'essicatoio e lo sbiancatoio e ho messo Syčug a far la guardia, e perché non sgraffigni qualcosa io stesso lo controllo giorno e notte.

Alcuni sono molto malati, altri bevono, e tutti rubano. Quest'anno invieremo pochi tributi, nostro signore e benefattore, meno dell'anno scorso. Purchè la siccità non mandi tutto in rovina noi, sciagurati, fin che saremo vivi, qui vivremo! Comeche detto di nanzi sì scarza la

civanza caso che qualche cosa s'immegli mandaran oltra."

Oblomov rilegge il punto oscuro una seconda volta, si gratta la testa.

(Grida.) Zachar!

ZACHAR (entrando). Non c'è un attimo di pace per me!

OBLOMOV. Zachar, stai un po' a sentire. (Legge.) "Comeche detto di nanzi sì scarza la

civanza caso che qualche cosa s'immegli mandaran oltra." Scrivono in modo poco chiaro.

Cosa vorrebbe significare?

ZACHAR. È chiaro. Si lamentano con Dio.

OBLOMOV. Questo l'avevo capito anche da solo. Ma che significa – oltra? ZACHAR. Probabilmente – morte.

OBLOMOV. Ma va' al diavolo, anima asiatica!

Oblomov dà un'occhiata alla conclusione della lettera.

"Il tuo starosta, servo umilissimo Prokopij Vytjaguškin ha aggiunto di suo proprio pugno. Ha scritto sotto dettatura dello stesso starosta suo cognato, Demka lo Storpio."

Oblomov posa i piedi a terra, si mette seduto.

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