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193 Capitolo 7

Profilo storico di Giovanni il Battista

Prima di affrontare il problema della relazione storica tra Gesù e Giovanni il Battista, è naturalmente necessario offrire una rappresentazione della figura storica e del messaggio di quest’ultimo. Si capisce che, in questa sede, non è possibile soffermarsi in modo completo e approfondito le varie questioni concernenti il Giovanni storico1 – cosa che, evidentemente, richiederebbe una monografia a parte. Ai fini della nostra ricerca, sarà sufficiente delineare un profilo generale – per quello che le fonti permettono – della sua persona, della sua attività e del suo messaggio, cosa che avverrà, nel presente capitolo, lasciando intenzionalmente per ultimo l’aspetto che, da sempre, ha rivestito un ruolo dominante nella comprensione di Giovanni: il suo annuncio escatologico o apocalittico. Sebbene infatti la dimensione profetica del Battista sia estremamente importante, egli era noto anzitutto per la sua attività battesimale, la quale era a sua volta strettamente legata ad istanze di natura etica e sociale nella sua predicazione. Solo una volta chiariti questi punti fondamentali, quindi, si potrà affrontare proficuamente la questione della sua attesa escatologica, a cui seguirà un excursus conclusivo su alcuni aspetti della sua pratica di vita, ovvero l’itineranza e l’ascetismo.

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Per un’ampia ed esaustiva bibliografia annotata sulle varie questioni concernenti il Battista – compreso il rapporto con Gesù –, vedi Adinolfi, Taylor 2014. Riguardo alla storia della ricerca, mi limito qui ad offrire una concisa panoramica. Anzitutto, l’indagine sul Battista costituisce un territorio decisamente meno agitato rispetto a quella sul Gesù storico, sebbene il decennio tra la fine degli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta abbia registrato un’eccezionale fioritura degli studi, con la pubblicazione di ben quattro monografie di straordinario livello (Lupieri 1988; Ernst 1989; Webb 1991, Taylor 1997). Naturalmente, seppur su scala minore, la ricerca su Giovanni è sempre stata partecipe degli sviluppi e delle tendenze, a livello metodologico, esegetico e teologico, operanti nel più ampio ambito degli studi neotestamentari e sulle origine cristiane. Le monografie di Dibelius (1911), Lohmeyer (1932) e Kraeling (1951), sono classici rappresentanti dell’epoca della

Formgeschichte, mentre il successivo passaggio alla Redaktionsgeschichte ha il suo miglior testimone

nell’influente studio di Wink (1968) sulla rappresentazione del Battista in Q e nei quattro vangeli canonici (cfr. Reumann 1972). L’impatto della scoperta e dalle prime pubblicazioni dei Rotoli del Mar Morto è chiaramente percepibile in un agile volume Steimann (1958), negli importanti lavori di Danielou (1958) e Scobie (1964), e nei più concisi contributi di Brownlee (1957) e Robinson (1962), che hanno inaugurato una linea interpretativa tendente a collocare Giovanni nell’ambito dell’essenismo (qumranico o meno) che continua ancora oggi (Betz 1992; Charlesworth 2006; Noffke 2008; Joseph 2012). La ricerca più recente, infine, riflette bene i principali sviluppi che hanno caratterizzato il panorama degli studi su Gesù (e biblici in genere) negli ultimi decenni: la maggiore sensibilità verso l’inquadramento positivo dei fenomeni studiati nel contesto del giudaismo del secondo tempio (vedi ad es. la lettura dell’immersione di Giovanni in Taylor 1997, ma anche le ricerche di Lupieri [1988, 1997, 2001] sulla sua halakhah alimentare e di purità) e i contributi delle scienze sociali (vedi Webb 1991 sugli aspetti sociologici dell’attività profetica di Giovanni, nonché Hollenbach 1979 e 1992 per una lettura fortemente socio-politica del suo ministero).

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7.1. Non un ebreo marginale

Qualunque cosa si pensi circa l’adeguatezza rispetto a Gesù della definizione di “ebreo marginale” coniata da John Meier, essa certamente non si addice al Battista. Le fonti a nostra disposizione sono infatti concordi nel rappresentare Giovanni come un personaggio di notevole importanza nello scenario della Palestina del I sec. ev. Secondo Giuseppe Flavio, ancora anni dopo la morte di Giovanni, vi era chi non esitava a leggere nella disfatta di Erode Antipa ad opera del re nabateo Areta, il castigo divino per l’uccisione del Battista: “ad alcuni, però, dei Giudei parve che l’esercito di Erode fosse stato distrutto dal Dio – e ben a ragione – che faceva vendetta della morte di Giovanni” (Ant.18,166; cfr. 119)2

. Il Vangelo di Marco (11,32), a sua volta, afferma – con una glossa redazionale – che tutto il popolo riteneva Giovanni realmente profeta.

La cosa più notevole, tuttavia, non è tanto che Giovanni fosse considerato una sorta di eroe dalla popolazione comune, ma che egli godesse anche di un certo rispetto tra le autorità religiose. A indicare questo è soprattutto il ritratto che ne dà Giuseppe Flavio, rappresentandolo come un autentico esempio e modello eccellente di giudaismo: “uomo buono” (ἀγαθὸν ἄνδρα) che convocava a battesimo quanti si esercitavano nella virtù e praticavano la giustizia tra di loro e la pietà verso Dio (vedi paragrafo seguente).

E ciò è tanto più sorprendente se si considera che Giuseppe – il quale, come nota opportunamente Lupieri (1988, 129), sa molto di più di quanto sia disposto a dire – era pienamente al corrente che, sotto certi aspetti, l’azione profetica di Giovanni presentava punti di somiglianza con quella di altre figure profetiche, tra cui Teuda e l’Egiziano (Ant. 20,97-98; Bell. 2,261-263; Ant. 20,169-172), che radunavano folle nel deserto o anche, nel caso di Teuda, presso il Giordano, sotto la spinta di promesse escatologiche di liberazione. Personaggi per cui Giuseppe nutre una forte avversità, definendoli impostori e ciarlatani (Ant. 20,167-168: οἱ δὲ γόητες καὶ ἀπατεῶνες ἄνθρωποι; cfr. Bell. 2,259).

E che Giuseppe fosse al corrente di come Giovanni non fosse poi così dissimile da costoro, lo indicano proprio le circostanze che egli riporta quale causa mortis di questi: il sopraggiungere di alcuni misteriosi “altri” (καὶ τῶν ἄλλων συστρεφομένων), la cui eccitazione all’udire i discorsi di Giovanni allarmò Antipa al punto da fargli temere per l’ordine pubblico, optando quindi per togliere di mezzo preventivamente lo scomodo

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Il brano di Antichità Giudaiche è citato, qui e in seguito, nella traduzione di Edmondo Lupieri (1988, 121-122), a motivo soprattutto di come viene reso il delicato passo sul battesimo (Ant. 18,118).

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