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Secondo me Tra le tante versioni di questa

seconda posizione quasi-aristote-lica intorno alle emozioni una del-le più discusse è offerta da Robert Solomon, per il quale le emozioni sono riconducibili a un sistema di atti di giudizio (e non a giudizi isolati) collegati a particolari desi-deri. Per esempio, l'ira è ricondu-cibile a un sistema di giudizi che, globalmente, indicano che è stata subita un'offesa di un certo tipo. Lo stato del sentirsi offesi e del provare perciò ira è infatti solo parzialmente catturato da un as-serto come "Io sono stata offesa". In esso, infatti, vi è molto di più, poiché vi sono considerazioni re-lative all'importanza di ciò che è stato oggetto di offesa, considera-zioni relative alla persona che ha provocato l'offesa, considerazioni relative al proprio stato di detra-zione e, infine, considerazioni re-lative al desiderio e all'urgenza di una reazione all'offesa. E l'obie-zione che si possono formulare i corrispondenti giudizi e non pro-vare affatto ira non tiene conto, secondo Solomon, dell'aspetto olistico delle sue tesi. L'o-biezione, tuttavia, è perfettamen-te sensata, perché anche esperfettamen-ten- esten-dendo l'ambito dei giudizi, si può sempre sostenere di non provare l'emozione corrispondente, se l'esperienza giudicativa non è ac-compagnata da un certo grado di eccitazione fisiologica e non è ca-ratterizzata da piacere o dolore.

Aristotelica si considera anche Martha Nussbaum (seppure con qualche concessione allo stoici-smo): le credenze, osserva, sono condizioni necessarie e sufficienti all'emozione. Ma non solo la cre-denza è sufficiente per provare l'emozione corrispondente: l'e-mozione è anche necessaria per l'intera credenza. In altre parole, solo se mi sentirò mcollerita, io

potrò sensatamente asserire di es-sere offesa. Si tratta tuttavia di credenze molto sui generis, con-notate affettivamente e volte a particolari, nelle quali i particola-ri hanno quella medesima concre-tezza intuitiva che li caratterizza quandò sono dati alla percezione. In questo senso, le emozioni sono esse stesse modi del percepire. E, argomenta la Nussbaum, è pro-prio in virtù di questa dimensione cognitiva intrinseca alla loro struttura che le emozioni sono elementi essenziali in quel proces-so di deliberazione che precede l'agire. Sono .infatti le emozioni, e non il ragionamento, a convoglia-re ciò che per noi più conta, e la cui importanza può venir persa di vista laddove invece ci si impegni in un elaborato ragionamento de-duttivo. Questo, hanno anche

os-guida. Oppure, in situazioni ur-genti e difficili una riflessione pu-ramente concettuale non ci aiuta a deliberare bene e in fretta. E allo-ra vi è anche chi ha osservato che in questo caso non sono tanto gli aspetti cognitivi delle emozioni a determinare la salienza quanto al-tre loro caratteristiche, legate ai processi fisiologici che sono alla loro base — il neurobiologo An-tonio Damasio ha ipotizzato a questo proposito l'esistenza di un marcatore somatico, percepito dall'organismo nella forma di esperienza emozionale, che spin-ge a scegliere un corso di azione piuttosto che un altro.

In ogni caso, le emozioni hanno un significato adattativo ben pre-ciso. Ma come vengono apprese? Esse vengono per lo più apprese, così sostiene De Sousa, un altro

Bibliografìa

Sull'antichità:

Essays on Aristode's De Anima,

a cura di M. Nussbaum e A. Rorty, Clarendon Press, Oxford 1992 (contiene inter alia una di-scussione sul "funzionalismo del-le tesi aristoteliche sulla mente).

Passions and Perceptions. Stu-dies in Hellenistic Philosophy of Mind, a cura di J. Brunschwig

e M. Nussbaum, Cambridge Uni-versity Press, Cambridge 1993.

Teorie contemporanee sulle emozioni:

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J. ELSTER, "Rationality,

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R. SOLOMON, The Passions. The Myth and Nature of Hu-man Emotions, Doubleday, New

York 1976.

servato altri, spesso è simile a un meccanismo che gira a vuoto: la logica non è in grado di determi-nare la salienza, e cioè ciò a cui prestare attenzione o ciò a cui re importanza. Per esempio, da-vanti a due corsi di azione che ap-paiono del tutto equivalenti tra loro ci troviamo nelle condizioni dell'asino di Buridano, se le no-stre emozioni non ci offrono una

autorevole esponente di questa aristotelismo rispetto alle emozio-ni, in esperienze paradigmatiche che generalmente abbiamo nella nostra prima infanzia. Noi ap-prendiamo il lessico emozionale e dunque veniamo a contatto con i primi e più elementari rudimenti del nostro repertorio emozionale col trovarci in scenari di vita par-ticolari, che assumono un ruolo

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paradigmatico. Questi scenari ci offrono, da un lato, gli oggetti più propri alle nostre emozioni (alla paura viene così associato ciò che appare pericoloso, all'amore ciò che è desiderato) e, dall'altro, al-cune linee guida per le nostre rea-zioni a esse. Questi stessi scenari vengono poi ulteriormente avva-lorati attraverso le storie che ci vengono narrate, dapprima nel-l'infanzia sotto forma di favole e successivamente nella forma di resoconti letterari di esperienze dalla forte caratterizzazione emo-zionale. Infine, lo scenario para-digmatico associato a un'emozio-ne offre anche un criterio per va-lutare la razionalità delle nostre reazioni emotive. Da questo pun-to di vista, un'emozione è raziona-le se è almeno in parte coerente con il relativo scenario paradig-matico. La paura è razionale se si manifesta in un contesto di peri-colo, perché è in questo contesto che noi abbiamo appreso ad avere paura, mentre è irrazionale se il contesto che la determina e la mo-tiva non ha nulla a che fare con lo scenario paradigmatico di origine o se è in conflitto con questo. Questo non significa che gli sce-nari di origine non possano modi-ficarsi: l'educazione sentimentale di una persona si nutre sì di lette-ratura, ma dipende in larga misu-ra dall'evoluzione di questi scena-ri. E può allora accadere che in questa evoluzione alcuni di essi vengano abbandonati perché di-ventano obsoleti, emotivamente inerti e che siano altri, nuovi, a emergere. Questa nozione di

ra-zionalità legata alla funzione adat-tativa delle emozioni, non è però l'unica a essere considerata: Jon Elster, per esempio, sottolinea quanto la razionalità delle emo-zioni dipenda da un complesso rapporto con quelle credenze che offrono loro la base cognitiva: le credenze devono essere di un tipo appropriato. Ma anche la raziona-lità delle credenze può dipendere a sua volta dalle emozioni che esse generano: può infatti accadere che si crei una sorta di feedback distorsivo tra l'emozione e la cre-denza su cui essa si fonda. E non è detto che, a volte, certe forme di irrazionalità epistemica e/o emo-tiva non possano essere funzionali a una vita buona. Contro Aristo-tele. "True and false beliefs let us refrain", recita un verso di John Donne, come ricorda ancora El-ster.

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