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La § 512 (a) si occupa di quei provider coinvolti nella trasmissione, connessione o conserva- zione di materiale lesivo attraverso i loro servizi. I provider rientranti in questa categoria go- dono dell’immunità da responsabilità per violazione del copyright nelle ipotesi in cui:

a) la trasmissione del materiale è stata avviata da o nella direzione di una persona di- versa dal fornitore di servizi;

b) la trasmissione, la fornitura di connessioni o l'archiviazione viene effettuata attra- verso un processo tecnico automatico senza selezione del materiale da parte del

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fornitore del servizio;

c) il provider non seleziona i destinatari del materiale se non come risposta automatica alla richiesta di un'altra persona;

d) nessuna copia del materiale realizzata dal provider nel corso di tale archiviazione in- termedia o transitoria viene mantenuta sul sistema o sulla rete in modo accessibile a chiunque non sia il destinatario previsto, e nessuna copia di questo tipo è conserva- ta per un periodo più lungo di quanto sia ragionevolmente necessario per la tra- smissione o la connessione;

e) Il materiale è trasmesso senza essere manipolato o modificato nel suo contenuto164.

La § 512 (b) si occupa della seconda ipotesi di limitazione di responsabilità del provider. Il

web caching consiste in un meccanismo di archiviazione temporanea che permette una più

celere distribuzione dei contenuti agli utenti. In sostanza, in questo modo pagine html, vi- deo, immagini ecc. vengono memorizzati temporaneamente in una cache, e non dunque in un database in modo completo e durevole, per velocizzare e ottimizzare la diffusione dei contenuti. Si tratta di funzionalità in parte tecniche e intrinseche delle strutture internet, in parte funzionali a rendere più agevole la navigazione. I provider che pongono in essere tale attività sono immuni da responsabilità se:

a) il materiale messo a disposizione online è stato reso disponibile da un soggetto diverso dall’ISP;

b) la conservazione dei contenuti avviene mediante un processo tecnico automatico per rendere tali contenuti disponibili agli utenti richiedenti;

c) il provider trasmette i contenuti senza apporre modificazioni o manipolazioni;

d) il provider si attiene alle regole circa l’aggiornamento ove richiesto dal soggetto che ha ca- ricato il contenuto;

e) il provider rispetta le condizioni dettate da colui che ha caricato il contenuto circa l’accesso allo stesso;

f) in caso di segnalazione, il provider provvede alla rimozione del contenuto o alla disabilita- zione dell’accesso allo stesso165.

Gli hosting provider e i motori di ricerca sono immuni da responsabilità se:

a) non hanno actual knowledge dell’illiceità del contenuto, o non hanno conoscenza di circo- stanze tali da rendere manifesta tale illiceità (c.d. red flag knowledge);

164 § 512 (a)(1)-(5). 165 § 512 (b)(2).

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b) una volta avutone conoscenza si attivino tempestivamente per rimuovere il contenuto o disabilitare l’accesso a quest’ultimo;

c) non riceva beneficio economico dal contenuto illecito qualora i providers abbiano il diritto e la possibilità di monitorare tale attività;

d) ricevuta una segnalazione di violazione il provider agisca prontamente alla rimozione o di- sabilitazione dell’accesso al contenuto.

Infine, è bene sottolinearlo, la § 512 (m)(1) prevede che la normativa non possa essere in- terpretata in modo tale da scorgere un obbligo di monitoraggio dei contenuti in capo al pro-

vider consentendogli così di individuare il materiale lesivo. Questo implica un onere di con-

trollo in capo a colui che può reputarsi titolare del diritto d’autore. 2.2.6 Actual knowledge e red flag test

Non qualunque tipo di comunicazione può determinare knowledge in capo al provider, tale da far sorgere contributory liability. Con il DMCA vengono le condizioni sussistenti le quali una notifica possa essere considerata idonea a rendere edotto il provider dell’illecito. La notifica che non dovesse rispettare quanto richiesto dalla legge dunque non può costituire prova della conoscenza effettiva del provider. Tuttavia, nonostante la definizione puntuale dei re- quisiti richiesti per la notification, meno chiaro appare il DMCA nel definire i concetti di ac-

tual e apparent knowledge. Anche la dottrina non appare unanime sulle relative definizioni: da

una parte chi ha sostenuto che la notifica debba intervenire dal copyright holder per potersi dire conforme, dall’altra chi invece propende per una lettura più aderente al testo normati- vo, che non richiede necessariamente l’intervento del titolare del diritto (e dunque la cono- scenza può essere acquisita anche aliunde).

L’ultima interpretazione è stata quella avvalorata dal Congresso. Tuttavia le Corti che si so- no pronunciate sul punto hanno tendenzialmente fornito uno standard piuttosto elevato circa la nozione di actual knowledge, ad esempio escludendolo nei casi in cui i servizi del pro-

vider vengano utilizzati (anche) per diffondere materiale illecito. Infatti si è sostenuto166 che

la generica consapevolezza di tale possibilità non è idonea a integrare un actual knowledge. Circa la nozione di red flag knowledge (o red flag test), anche qui si sono riscontrati pareri di- scordanti, ma tendenzialmente la giurisprudenza ha imposto, come per il caso precedente, uno standard elevato. Ciò tuttavia non appare comprensibile: mentre nel primo caso avreb-

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be senso, nel caso del red flag knowledge una interpretazione eccessivamente restrittiva rischia di rendere vana ogni azione dei titolari dei diritti167.

Nel caso Viacom v YouTube168 la questione critica circa l’interpretazione di questi due criteri

venne a galla: in particolare ci si chiese se, per integrare i due requisiti di actual e red flag kno-

wledge fosse necessaria una generica consapevolezza della condotta lesiva o la conoscenza di

specifiche violazioni. La corte propese per quest’ultima opzione, richiedendo la conoscenza di condotte particolari e individuabili. La differenza tra i due requisiti infatti non risiedereb- be nel livello di specificità o genericità della conoscenza, ma nel criterio utilizzato per la sua valutazione. Vi è dunque actual knowledge quando il provider ha una conoscenza soggettiva di una specifica violazione, mentre vi è red flag knowledge quando la conoscenza dovrebbe deri- vare da fatti dai quali un soggetto ragionevole potrebbe oggettivamente comprendere la presenza di una violazione169.

2.2.7 DMCA e free speech

Il DMCA è intervenuto nel tentativo di regolare un nuovo contesto cercando di eliminare le incertezze proprie di un approccio esclusivamente giurisprudenziale e dottrinale. Tutta- via, pur non intervenendo sulle forme di responsabilità fino ad allora individuate e riadatta- te dalla giurisprudenza, l’approdo legislativo ha rivolto la sua attenzione più verso l’individuazione di un assetto volto a escludere la responsabilità del provider al ricorrere delle suddette condizioni.

Sin da subito tale posizione suscitò forti critiche: da un lato una corrente che vuole vedere il mercato e il mondo digitale autoregolarsi, ripudiando interventi da parte dello stato, dall’altro chi invece invoca ad alta voce una chiara e precisa specificazione normativa che disciplini il nuovo assetto digitale. Il DMCA rappresenta il primo tentativo di trovare una soluzione mediana: non altera la normativa vigente né regolamenta i dettagli del mondo di- gitale, ma nemmeno si astiene da ogni qualsivoglia considerazione normativa.

Prende posizione sulla particolare situazione di quelli che sono considerati i protagonisti di questa nuova società, i service providers appunto, disegnando delle aree entro le quali questi possono considerarsi immuni da responsabilità.

167 v. Corbis Corp. v. Amazon.com, Inc., 351 F. Supp. 2d 1090, (W.D. Wash. 2004); Perfect 10, Inc. v. CCBill LLC, 448

F.3d 1102 (9th Cir. 2007); UMG Recordings, Inc. v. Veoh Networks, Inc., 665 F. Supp. 2d 1099, (C.D. Cal. 2009).

168 Viacom Int’l, Inc. v. YouTube, Inc., 676 F.3d 19, (2d Cir. 2012). 169 Viacom, 676 F.3d 19, p. 31.

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Come già anticipato, una prima critica mossa contro questo sistema di regolamentazione fece notare come, in realtà, una normativa così strutturata avrebbe incentivato rimozioni indiscriminate da parte dei providers i quali, in situazioni di rischio, preferiscono avere cer- tezza della loro posizione all’interno di una safe harbor. Questa tendenza comporterebbe gravi implicazioni per la libertà d’espressione. Infatti, alla ricezione di una notifica, il provider avrebbe due alternative: rimuovere l’illecito e quindi assicurarsi l’esenzione da responsabili- tà, o non rimuoverlo e dunque rischiare se poi dovesse risultare che quel contenuto era ef- fettivamente contenuto protetto dal diritto d’autore. Il provider, essendo soggetto privato e non pubblico, persegue quelli che sono i suoi interessi economici e non interessi pubblici- stici vincolati a fini di tutela e maggior considerazione di situazioni delicate quali possono essere quelle dei singoli utenti. Di conseguenza sarà molto più probabile che il provider pro- penda per l’immediata eliminazione del contenuto, a prescindere da un accertamento circa l’effettiva illiceità del contenuto rimosso. Il DMCA tenta di stabilire un equilibrio anche per questa situazione: è prevista la possibilità, per l’utente che si è visto il contenuto rimosso, di inviare una contro notifica nella quale egli possa far valere le proprie ragioni.

A questo punto due sono le opzioni: se il primo notificante non risponde a sua volta il con- tenuto rimosso deve essere ripristinato, altrimenti può adire il giudice per risolvere la con- troversia. L’impianto così delineato sembrerebbe propendere per una considerazione equi- librata delle parti in gioco, sennonché, nella realtà concreta dei fatti, tale soluzione si presti come una soluzione più idealizzata che idealizzabile. Poche sono infatti le persone che pos- sono permettersi di sostenere i costi di un’azione legale e consci di ciò ancora meno sono coloro che, di fronte a tale situazione, si attivano per far valere un proprio diritto leso, rite- nendo più conveniente, almeno dal punto di vista economico, lasciar correre, loro malgra- do.

E anche ammettendo la possibilità economica di sostenere le spese di un giudizio, tenden- zialmente gli utenti si trovano in una posizione di debolezza rispetto ai copyright holders, in genere grandi imprese dotate di solide finanze. Inoltre, come è stato fatto notare, dal mo- mento della contro notifica e successiva intenzione del copyright holder di agire in giudizio il

provider deve mantenere disabilitato l’accesso al contenuto rimosso, di fatto così garantendo

quella che sarebbe un’ingiunzione preliminare posta tuttavia al di fuori di un processo e so- prattutto da un soggetto privato non curante dei diritti delle parti in lite.

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2.2.8 Il caso MGM v. Grokster

Mentre Napster rappresentò l’epicentro dei sistemi peer-to-peer di prima generazione, Grok- ster incarnò la successiva evoluzione prevedendo un nuovo sistema che indirizzava le ri- chieste dei singoli utenti ad un file specifico fino a quando non veniva identificata la richie- sta, consentendo così all’utente di accedere al file, il tutto senza la necessità di un sistema centrale.

Interessante, relativamente alla secondary liability riferibile ai sistemi P2P, risulta l’analisi della pronuncia della Corte Suprema nel caso MGM v. Grokster170.

La controversia era sorta tra la Metro-Goldwyn-Mayer e il provider Grokster. La prima infat- ti aveva lamentato la violazione dei propri diritti di copyright accusando il provider di aver for- nito un software che permetteva lo scambio di file mediante reti P2P. Occorre tuttavia preci- sare che tale software poteva essere utilizzato per scambiare qualsiasi contenuto (e dunque non solo materiale protetto, ma anche contenuti leciti). La Corte Distrettuale e la Corte d’Appello, partendo dalla sentenza riferibile al caso Sony Betamax171, ricordarono la conclu-

sione allora raggiunta dalla Corte per cui la mera distribuzione di un prodotto suscettibile anche di usi leciti non poteva comportare contributory liability se il fornitore non aveva cono- scenza effettiva della violazione e non avesse conseguentemente omesso di attivarsi per ri- muovere i contenuti lesivi.

La District Court e il Ninth Circuit analizzarono così gli elementi propri della contributory liabili-

ty.

Per quanto concerne il knowledge, non vennero considerate rilevanti le varie notifiche inviate al provider dai titolari dei diritti, in quanto non idonee a far acquisire a Grokster actual know-

ledge. Infine le corti si distanziarono parzialmente dal precedente di Napster172, consideran-

do Grokster estraneo a un coinvolgimento nella partecipazione all’illecito.

Grokster non poteva essere responsabile nemmeno a titolo di vicarious liability, in quanto non aveva potere o capacità di monitorare l’utilizzo del software, considerata anche l’assenza di un procedimento di registrazione.

La particolarità della pronuncia risiede nella diversa lettura che dalla Corte viene fornita ri-

170 Metro-Goldwin-Mayer Studios Inc. v. Grokster, Ltd., 545 U.S. 913, (2005). Cfr. J.BOYLE;J.JENKINS, Intellectual Property: law & information society. Cases and material, Quarta edizione, 2018, 530-545,

https://web.law.duke.edu/cspd/openip/.

171 Sony Corp. of Am. v. Universal City Studios, Inc., 464 U.S. 417 (1984). 172 A&M Records, Inc. v. Napster, Inc., cit.

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spetto al precedente caso Sony Betamax. Secondo la Corte infatti la mera passibilità del pro- dotto anche di utilizzi leciti non integrerebbe un elemento sufficientemente idoneo ad escludere contributory liability in capo al provider: è ben possibile infatti provare l’intenzionalità di quest’ultimo nella promozione dell’illecito. Proprio nel caso in esame la Corte riscontra tre elementi idonei a dimostrare l’intenzionalità di Grokster:

a) Il ruolo attivo del provider nel promuoversi come successore di Napster, palesando il suo obiettivo di agevolare la diffusione di contenuti illeciti;

b) l’assenza di qualsiasi tentativo di filtraggio dei contenuti illeciti;

c) i profitti del provider, derivati dalla vendita di spazi pubblicitari sulle pagine visualizza- te dagli utenti.

Tale decisione può rappresentare una lettura problematica in quanto appare pretestuosa e vacillante la frettolosità nel superare il precedente Sony Betamax, rinvenendo una volizione da parte del provider in elementi poco convincenti (l’assenza di tentativi di filtraggio infatti sembra essere un elemento insufficiente a provare la volizione dell’illecito in capo a Grok- ster: il provider dovrebbe essere vincolato a un onere di attivazione successivo piuttosto che preventivo). Lo stesso riferimento alle pubblicità come sistema di business del provider pare essere inidoneo a provarne l’intenzionalità nell’illecito: si tratta infatti di un modello di busi-

ness largamente diffuso tra le realtà online.

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