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Volgendo, più nel dettaglio, l’attenzione alla clausola della chiarezza, deve anzitutto

osservarsi come essa, in armonia con quanto stabilito con riferimento al precetto della

chiarezza contenuto nella previgente disciplina, operi sul piano formale dell’esposizione

dell’informativa contabile che deve avvenire in modo dettagliato, completo ed esaustivo; in

altri termini, tale precetto deve essere inteso nel senso della ordinata ed esauriente analitica

rappresentazione dei dati che compongono il bilancio, della loro intelligibilità e trasparenza

46

.

46

Secondo la Suprema Corte, alla chiarezza deve essere attribuito il significato di «perspicuità, evidenza manifesta, immediata comprensibilità» (così espressamente, seppur con specifico riferimento al precetto della chiarezza contenuto nell’art. 2423 previgente, Cass., 16 dicembre 1982, n. 6942, in Giur. comm., 1984, II, p. 732 ss., con nota di C.SASSO, Sulla continuità dei bilanci e sul principio di chiarezza).

In proposito cfr. V. SALAFIA, Caratteri generali del bilancio e principi di redazione, in Società, 1991, p. 1611, ad avviso del quale tale precetto attiene alla «comunicazione delle informazioni che il bilancio contiene», laddove invece la verità e la correttezza riguardano «il contenuto delle poste in cui l’informazione consiste» e tanto il profilo della comunicazione dell’informativa quanto quello del contenuto della stessa, alla cui protezione i predetti precetti sono preordinati, risultano essenziali per assicurare che il bilancio assolva alla funzione ad esso attribuita dal legislatore e «proprio perché essenziali – puntualizza l’Autore – devono insieme concorrere, dato che il documento in mancanza di uno di essi non sarebbe in grado di svolgere il compito che la legge gli assegna». In senso conforme cfr. segnatamente anche G.FERRI JR., Patrimonio, capitale e bilancio, in

AA.VV., Diritto della società. Manuale breve, Milano, 2012, p. 111, il quale sottolinea che «l’esigenza di chiarezza, che risulta particolarmente pregnante in relazione al conto economico ed allo stato patrimoniale, deve essere intesa in senso redazionale ed espositivo. Il bilancio non solo deve contenere tutte le informazioni e i dati richiesti dalla legge, ma le voci relative devono essere esposte separatamente e secondo un ordine determinato …: per ciascuna informazione e per ciascun dato è prevista dunque un’apposita collocazione nel contesto documentale, in modo da agevolarne l’individuazione». Si ritiene necessario obiettare a tale interpretazione che il principio in esame, assuma un ruolo importante non solo (e certamente) nella redazione del conto economico e dello stato patrimoniale, ma anche (e forse specialmente) nella predisposizione della nota integrativa, da intendersi oggi – come già evidenziato (v. supra, nota 15) – «un’indispensabile chiave di lettura e di comprensione, oltreché di analisi, sia dello stato patrimoniale sia del conto economico, finalizzata segnatamente a sviluppare il principio della chiarezza» (così espressamente L.DE ANGELIS, op loc. ult. cit.); attraverso il precetto della chiarezza si ritiene, in sostanza, che il legislatore richieda non solo un’esposizione ordinata ed analitica delle voci ed i dati contenuti negli schemi contabili ma che venga altresì fornita, per l’appunto nella nota integrativa, una trasparente ed intellegibile illustrazione di tali indicazioni.

Riprendendo quanto in proposito affermato dalla giurisprudenza di merito in una

recente sentenza, tale principio richiede che sia il conto economico e lo stato patrimoniale, sia

la nota integrativa «vengano redatti in forma tale da rendere agevole la lettura delle

informazioni in essi contenute. Esso impone la univocità e la comprensibilità delle

Sotto diverso profilo, atteso che – come emerge dalla lettura del novellato art. 2423 e come altresì anticipato nella parte introduttiva del presente lavoro – il bilancio d’esercizio risultante dal nuovo assetto normativo riformulato a seguito del recepimento, in particolare, della IV direttiva comunitaria, non si rivolge ad un’unica ed omogenea categoria di fruitori, mirando, viceversa, a soddisfare l’interesse di una pluralità assai eterogenea di soggetti (al riguardo G.E. COLOMBO, voce “Bilancio di esercizio”, in Enc. giur., V, Roma, 1988, p. 3, già ancor prima che intervenisse il d.lgs. n. 127, affermava chiaramente come gli interessi tutelati facessero «capo a una cerchia di soggetti ben più larga dei soli soci»), i quali sono portatori, tra l’altro, di diversi livelli di “consapevolezza professionale” rispetto al linguaggio dei bilanci delle imprese, e che, peraltro, non è tenuto a realizzare una rappresentazione specificamente preordinata al conseguimento di un solo ed esclusivo obiettivo (per un’analisi delle diverse funzioni che il legislatore della riforma del 1991 può ritenersi aver assegnato al bilancio, oltre alla parte introduttiva del presente lavoro, si rinvia a L.A. BIANCHI, op. ult. cit., p. 47 ss.), è da ritenere che il giudizio sulla completezza ed esaustività dell’informativa del bilancio – ossia il giudizio sul rispetto della clausola della chiarezza – non possa che assumere a riferimento il punto di vista di un fruitore medio, non di un utilizzatore professionale o qualificato (in tal senso cfr. B. QUATRARO, Il bilancio

d’esercizio e consolidato, I, Milano, 1998, p. 22; v. anche P.BALZARINI, Autonomia del principio di chiarezza,

principio di rilevanza della irregolarità, violazione del principio di competenza, in Società, 2008, p. 66, che

giudica «acclarato» tale aspetto). A tale riguardo, per stabilire in quali casi l’informativa di un bilancio d’esercizio possa ritenersi insufficiente, o anche soltanto inadeguata, rispetto a quella richiesta dal diritto positivo, assumendo come metro di valutazione il punto di vista, per l’appunto, di un fruitore “medio” e “non professionale”, l’elemento centrale cui deve aversi riguardo dovrebbe essere quello della «rilevanza quantitativa e qualitativa dell’ipotetica lacuna informativa che giustificherebbe la somministrazione di un’informazione complementare con riferimento alla rappresentazione del contenuto patrimoniale, finanziario ed economico di una determinata e specifica società» – come espressamente suggerito da L.A. BIANCHI, op. ult.

cit., p. 55 ss., il quale rileva come appaia, invero, di tutta evidenza che ogni rappresentazione di natura

contabile “chiami in causa” problematiche peculiari e differenti a seconda della realtà imprenditoriale cui il bilancio si riferisce diventando determinante analizzare, di volta in volta, una pluralità di fattori, quali, per esempio, la specifica natura dell’attività esercitata dall’impresa, le caratteristiche dei suoi assetti proprietari, le dimensioni aziendali della stessa, le sue strutture produttive: ecco allora che «l’informativa di bilancio può – anzi, deve – venir “piegata” a specifiche esigenze conoscitive che sono influenzate da numerose variabili ascrivibili alle caratteristiche di ciascuna impresa» (ivi, p. 57), risultando impossibile disporre di un sistema che in modo assoluto ed universale sia in grado di anticipare ex ante tutte le informazioni che devono essere contenute nel bilancio per consentire allo stesso di automaticamente rispettare il precetto della chiarezza di cui all’art. 2423, secondo comma.

denominazioni delle voci dei conti, ed è finalizzato alla intelligibilità delle strutture e alla

analiticità delle voci in misura adeguata alle esigenze di comprensione della composizione

del patrimonio e dell’origine del risultato»

47

; non è stato cioè «ritenuto sufficiente indicare il

valore globale del patrimonio sociale o del risultato economico del periodo, ma si è ritenuto

necessario, ai fini di una adeguata conoscibilità, indicare analiticamente gli elementi che

consentono di arrivare a quel determinato valore finale»

48

.

Se, dunque, a seguito del recepimento nel nostro ordinamento della IV direttiva

comunitaria non si è registrato un mutamento nel significato da attribuire a tale precetto, non

può omettersi di considerare come si sia invece certamente assistito ad un rafforzamento,

rispetto al passato, della sua rilevanza e della sua autonomia

49

.

47

Così espressamente Trib. Torino, 5 giugno 2012, in Dejure, il quale aggiunge – richiamando Cass., SS.UU., 21 febbraio 2000, n. 27 (con riguardo a tale pronuncia v. infra) – come si tratti, in altri termini, di «precetto inderogabile diretto a garantire sia la qualità che la completezza dell’informazione: sotto il primo profilo esso richiede l’utilizzo di espressioni univoche, precise, prive di ambiguità ed esaurienti, esposte in modo ordinato nel rispetto della logica seguita dal legislatore; sotto il secondo profilo esso mira a realizzare una conoscenza unitaria della situazione aziendale e una conoscenza specifica dei singoli elementi che la compongono». Al riguardo, sempre tra le più recenti, cfr. anche Trib. Bologna, 9 gennaio 2009, in Pluris

online, ove è stato ricordato che «per chiarezza deve intendersi la comprensibilità ovvero l’intelligibilità delle

strutture, analiticità delle voci in misura coerente con le esigenze di comprensione della composizione del patrimonio, dell’origine del risultato e dei motivi che presiedono alla valutazione delle poste».

48

Trib. Roma, 17 febbraio 2011, in Pluris online.

49

G.E. COLOMBO, Illiceità del bilancio per incompletezza informativa, in Società, 1997, p. 177, sottolinea con decisione questo aspetto rilevando come si sia assistito ad un superamento «di un sol balzo» delle «oziose disquisizioni della Cassazione sul fatto che il requisito della chiarezza, pur enunciato nel testo originario dell’art. 2423 c.c., costituisse un valore autonomo ed autonomamente tutelato in funzione di trasparenza e comprensibilità del bilancio». Il principio della chiarezza, quello della correttezza e quello della veridicità risultano, pertanto, posti sullo stesso piano e ciò assume rilevanza anche – e soprattutto – in ordine alle conseguenze in termini di invalidità della deliberazione assembleare di approvazione del bilancio d’esercizio. Non pare pacificamente convinto di tale conclusione G. VIDIRI, op. cit., p. 1214 s., il quale se, per un verso, riconosce un rafforzamento del principio di chiarezza (parlando espressamente di «potenziamento» della chiarezza a seguito recepimento della IV direttiva comunitaria – ivi, p. 1214), per altro, ritiene non completamente mutata «la posizione strumentale di tale principio a quello di verità» e come, debba conseguentemente riconoscersi una «diversità di regolamentazione delle deliberazioni invalide (nulle ed annullabili)» a seconda di quale sia il principio violato; ad avviso di tale Autore «è innegabile, infatti, l’opportunità di graduare la sanzione di invalidità della delibera di approvazione … sì da limitare l’ambito di

La stessa “costruzione” tanto dell’art. 2 della IV direttiva quanto del secondo comma

del novellato art. 2423 c.c. pone in evidenza tale circostanza: la chiarezza è stata, infatti,

collocata dal legislatore comunitario in una posizione autonoma e distinta rispetto a quella del

“quadro fedele” risultando, addirittura, anteposta a questo (alla prima fa, invero, riferimento il

par. 2 dell’art. 2 della IV direttiva, mentre il secondo trova collocazione nel successivo par. 3)

e tale disposizione è stata parimenti mantenuta in sede di attuazione del disposto delle

predette norme nel nostro diritto interno.

Ma al di là dell’ordine testuale prescelto dal legislatore, ovvero dell’assetto formale

con cui è stato imposto che il bilancio debba rappresentare in maniera chiara, veritiera e

corretta la situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale della società a cui esso si riferisce,

il fondamento della suddetta affermazione deriva specialmente dalla constatazione che in non

poche ipotesi la nuova disciplina giuridica del bilancio d’esercizio, così come riformulata dal

d.lgs. n. 127 del 1991, prescrive l’obbligo di fornire informazioni aggiuntive, complementari

o “riduttive” rispetto a quelle specificamente richieste dalle norme disciplinanti la struttura e

l’articolazione dello stato patrimoniale, del conto economico e della nota integrativa

50

.

In altri termini, dall’esame delle disposizioni specifiche relative al profilo del

contenuto “formale” del bilancio, emerge con evidenza come i “nuovi” schemi civilistici di

bilancio, delineati a seguito dell’attuazione nel nostro ordinamento della IV direttiva

comunitaria, debbano intendersi, per espressa volontà legislativa, “funzionalmente flessibili”,

ossia suscettibili di maggiore o minore ampiezza, qualora la loro rigida e pedissequa

applicazione non consenta di fornire, nel caso concreto, con chiarezza la rappresentazione

quantitativa e qualitativa del patrimonio, della situazione finanziaria e delle modalità di

applicabilità del citato art. 2379 c.c. alle fattispecie in cui da detta redazione scaturisca una non veritiera rappresentazione economico-finanziaria della società, non sembrando la severa sanzione della nullità estensibile a quei casi in cui si controverta unicamente sulla lesione del principio della chiarezza». Si tratta, però, di una tesi non condivisibile in quanto tale interpretazione porterebbe a negare la possibilità di assegnare al bilancio, accanto alla tradizionale funzione organizzativa, anche una funzione informativa ritenuta invece dal legislatore comunitario, prima ancora che dal legislatore nazionale, parimenti meritevole di tutela ed, anzi – come chiaramente sottolineato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza n. 27 del 21 febbraio annotata dallo stesso Autore – di «massima importanza». Per un’analisi più approfondita di tale profilo, v.

infra. 50

formazione del risultato di esercizio della società a cui il bilancio si riferisce

51

: esplicita è in

questo senso la previsione, contenuta nel terzo comma dell’art. 2423-ter, dell’obbligo di

aggiungere allo “schema legale” «altre voci qualora il loro contenuto non sia compreso in

alcuna di quelle previste dagli articoli 2424 e 2425»; inoltre, il legislatore impone al

successivo quarto comma di adattare le voci precedute da numeri arabi dello schema

suggerito dalle norme specifiche «quando lo esige la natura dell’attività esercitata». È

evidente che simili previsioni, riguardanti la “veste formale” del prospetto contabile, sono

primariamente preordinate all’obiettivo di favorire, o comunque garantire, appunto, la

chiarezza del bilancio d’esercizio.

Emblematico in questo senso appare anche il disposto del secondo comma dell’art.

2423-ter, secondo cui «le voci precedute da numeri arabi [previste negli schemi contenuti

negli artt. 2424 e 2425] possono essere ulteriormente suddivise», ove a quel “possono” – in

una logica di coerenza del sistema – pare doversi attribuire il significato di “devono” quando

l’ulteriore suddivisione rappresenti “informazione necessaria” tanto ai fini della

rappresentazione veritiera e corretta (in ragione del disposto del terzo comma dell’art. 2423)

quanto soprattutto per assicurare una esposizione intellegibile, esaustiva e completa; inoltre, il

secondo comma dell’art. 2423-ter prosegue prevedendo che tali voci «possono essere

raggruppate soltanto quando il raggruppamento, a causa del loro importo, è irrilevante ai

fini indicati nel secondo comma dell’articolo 2423 o quando esso favorisce la chiarezza del

bilancio. In questo secondo caso la nota integrativa deve contenere distintamente le voci

oggetto di raggruppamento».

La circostanza, peraltro, che regole – quali quelle appena richiamate – che impongono

di “superare” le stesse norme di dettaglio introdotte dal legislatore per “riempire di

51

Da un lato, dunque, al fine di dare concretezza al precetto della chiarezza lo stesso legislatore ha previsto quale debba essere l’articolazione da seguire nella redazione del bilancio vietando una disposizione delle voci diversa da quella indicata (in tal senso significative sono le formule introduttive degli artt. 2424 e 2425 secondo cui rispettivamente lo stato patrimoniale e il conto economico «deve essere redatto in conformità

al seguente schema»), dall’altro, proprio perché consapevole che tale articolazione non possa ritenersi

universalmente idonea a rappresentare in modo chiaro la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica di tutte le imprese, ha imposto degli adattamenti e delle integrazioni (a cui si è appena fatto sinteticamente cenno) destinati a consentire al bilancio di poter ugualmente essere connotato dalla chiarezza in tutti quei particolari casi in cui la rigida applicazione degli schemi legali finirebbe per impedire tale obiettivo.

contenuto” e dare concretezza al precetto della chiarezza (e che nel previgente sistema si

ricavavano implicitamente dal generale obbligo di chiarezza) siano state esplicitate in

disposizioni specifiche e che ciò nonostante esso sia stato ancora enunciato in apertura della

sezione del codice civile dedicata al bilancio d’esercizio assieme al precetto della correttezza

ed a quello della veridicità, conferma come il legislatore della riforma del 1991 abbia

manifestamente deciso di attribuire autonoma rilevanza ed indiscussa importanza alla

chiarezza del bilancio, conferendo anche a tale postulato la natura di vera e propria clausola

generale del sistema contabile e rendendo così «assolutamente insostenibile l’ipotesi di una

sua collocazione in posizione di minor rilievo rispetto al principio della rappresentazione

veritiera e corretta»

52

.

Come noto, infatti, con riguardo alla previgente disciplina normativa del bilancio

d’esercizio, non vi era uniformità di vedute circa l’attribuzione alla chiarezza, enunciata

dall’originario secondo comma dell’art. 2423 c.c., di un grado di imperatività così pregnante

52

Così G.E. COLOMBO, Il bilancio d’esercizio, cit., p. 62. In senso esattamente analogo cfr. P.G. JAEGER, Problemi topici del bilancio d’esercizio (nell’evoluzione della giurisprudenza e nella prospettiva

dell’attuazione della quarta direttiva CEE), in Giur. comm., 1986, I, p. 1003 s.; A. JORIO, Il principio di

chiarezza, in AA.VV., Il progetto italiano di attuazione della IV Direttiva, cit., p. 85 ss., spec. p. 92 s. In argomento si richiama, inoltre, R. RORDORF, op. ult. cit., p. 730, il quale, dopo aver ricordato come in passato giuristi ed aziendalisti avessero «compiuto molti sforzi per mettere bene in chiaro» quali dovessero essere «la funzione e le finalità tipiche del bilancio d’esercizio», osserva che la nuova normativa, e specialmente il novellato art. 2423, «sembrano in grado di consolidare definitivamente le indicazioni già in proposito prevalenti nella dottrina e nella giurisprudenza, e di sciogliere taluni nodi che la precedente formulazione del codice lasciava almeno parzialmente irrisolti». Questo Autore sottolinea con decisione questo aspetto affermando opportunamente come il legislatore abbia «mostrato inequivocabilmente di voler attribuire al bilancio, accanto alla funzione di accertamento dell’utile o della perdita di periodo, anche la non meno rilevante finalità d’informazione dei soci e dei terzi in ordine alla situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società» e sottolineando come tale circostanza possa desumersi non soltanto dalla analitica disciplina dettata in tema di struttura dei documenti costituenti il bilancio e di esposizione delle singole poste, ma anche – e soprattutto – dalle assai significative deroghe imposte con riguardo a tale disciplina le quali pongono «l’obiettivo dell’informazione al vertice degli scopi cui il bilancio è diretto»: ecco allora che in coerenza con tale finalità, «il nuovo testo dell’art. 2423, secondo comma, ha rettificato la vecchia formula, che abbinava i precetti di chiarezza e precisione nella redazione del bilancio, ed ha enunciato in via separata e preventiva l’obbligo di chiarezza», principio quest’ultimo che ha assunto «una più sicura autonomia …, non logicamente né funzionalmente subordinato al conseguimento di altri fini che non siano quelli di una completa e trasparente informazione da offrire ai destinatari del bilancio».

come era riconosciuto alla clausola della precisione. L’aspetto più prettamente formale del

bilancio sembrava cioè avere una rilevanza minore di quello sostanziale ed in ragione di tale

impostazione si era giunti a ritenere che un bilancio d’esercizio dovesse reputarsi conforme

alle disposizioni legislative che presiedevano alla sua formazione qualora i risultati dello

stesso fossero stati determinati sulla base della corretta applicazione dei criteri di valutazione,

pur in mancanza di una esaustiva e trasparente illustrazione delle modalità di formazione di

tali risultati, eccezion fatta per il caso in cui tale “vizio di chiarezza” si trovasse invece ad

assumere rilevanza tale da inficiare anche il rispetto della “precisione”.

In altri termini, secondo tale indirizzo interpretativo

53

, sostenuto inizialmente dalla

giurisprudenza di merito

54

, ma poi accolto alla fine degli anni settanta anche dalla Suprema

Corte

55

, il principio della precisione – nel significato della verità – rivestiva una posizione

53

In proposito L.A. BIANCHI, op. ult. cit., p. 42, osserva come tale orientamento fosse essenzialmente «frutto di una visione patrimonialistica del bilancio, che è stata successivamente, sia pure gradualmente, abbandonata – grazie anche alla previsione legislativa, a seguito della riforma del 1974, di uno schema standard di conto economico (rectius: di conto dei profitti e delle perdite) – a favore della visione della rappresentazione del patrimonio alla stregua del complesso dei fattori impiegati per la produzione del reddito e del conseguente e correlato riconoscimento della importanza di una informativa di natura gestionale».

54

Tra le molte in tal senso cfr. App. Roma, 10 giugno 1975, in Giur. comm., 1975, II, p. 639 ss., con nota di P.G. JAEGER, Effetti di violazioni del «principio di chiarezza» sulla delibera di approvazione del

bilancio; App. Torino, 10 luglio 1975, ivi, 1976, II, p. 193 ss., con commento di G.E. COLOMBO, Una

giurisprudenza «torinese» sui bilanci?; Trib. Milano, 30 maggio 1977, ivi, 1977, II, p. 676 ss.; App. Milano, 23

luglio 1991, in Società, 1992, p. 49 ss., con nota di V.SALAFIA, L’esatta rappresentazione della situazione

economico-patrimoniale; Trib. Trieste, 18 novembre 1992, ivi, 1993, p. 798 ss.; Trib. Crema, 22 gennaio 1993, ivi, p. 1067 s.

55

Tra le prime pronunce di legittimità espressive di tale orientamento, si segnalano: Cass., 28 luglio 1977, n. 3373, in Giur. it., 1978, I, 1, c. 37 ss.; e in Giur. comm., 1978, II, p. 33 ss., con nota di P.G.JAEGER,

Relazioni, verbali, allegati e «chiarezza» del bilancio; Cass., 23 gennaio 1978, n. 297 e 9 febbraio 1979, n. 906, ivi, 1979, II, p. 351 ss., con commento di P.G.JAEGER, Crisi del principio di «chiarezza» e Corte di cassazione; Cass., 16 dicembre 1982, n. 6942, ivi, 1984, II, p. 732 ss., con nota di C.SASSO, Sulla continuità dei bilanci e

sul principio di chiarezza; Cass., 18 marzo 1986, n. 1839, in Foro it., 1987, I, c. 1232 ss.; e in Giust. civ., 1987,

I, p. 926 ss.; Cass., 23 marzo 1993, n. 3458, in Giur. it., 1994, I, 1, c. 10 ss., con nota critica di G.COTTINO,

Noterelle in tema di diritto di opzione e di invalidità delle delibere assembleari: con una breve appendice sulla

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