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Segue: e quelle in tema di misure alternative

A questo punto, possiamo analizzare gli interventi compiuti dal d.l. n. 146/2013 nell’ambito delle misure alternative.

Il legislatore è intervenuto sulla figura dell’affidamento in prova, ex art. 47 o.p., prevedendo, con l’introduzione del nuovo c. 3 bis, la possibilità di concedere la misura nei confronti del condannato a una pena, anche residua, non superiore a quattro anni di detenzione, che abbia serbato, quantomeno nell’anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione di pena, in esecuzione di una misura cautelare ovvero in libertà, un comportamento tale da consentire il giudizio sulla rieducazione del reo e sulla prevenzione del pericolo di commissione di altri reati.

Rispetto a quanto visto in relazione all’affidamento in prova, ragioni di coerenza sistematica potrebbero suggerire l’allineamento tra le previsioni del riformato art. 47 o. p. e quelle dell’art. 656, c. 5, c.p.p. in tema di sospensione dell’esecuzione della pena.212

210 Possiamo segnalare come nella stessa Relazione di accompagnamento al d.d.l. n. 1921, p. 15,

si parli del reclamo giurisdizionale, di cui all’art. 35 bis o.p., come di un meccanismo di tutela “costoso”.

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C. Salazar, Crisi economica e diritti fondamentali – Relazione al XXVIII Convegno annuale dell’AIC, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2013, n. 4, p. 8, consultato il 22 gennaio 2014.

212

Delibera consiliare della Sesta Commissione del CSM, 23 gennaio 2014. Parere reso ai sensi dell’art. 10 della legge 24 marzo 1958, n. 195, sul testo del decreto legge riguardante le misure

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A quanto detto si aggiunge la novità introdotta al c. 4 della norma in commento, auspicata tanto dalla Commissione mista del 2012 quanto dalla Commissione Giostra, con cui è stato riconosciuto il potere al magistrato di sorveglianza di applicare in via provvisoria l’affidamento in prova, analogamente a quanto già previsto per la misura dell’affidamento in prova in casi particolari.

Un altro intervento compiuto con il d.l. che mostra in modo più evidente un’immediata potenzialità deflativa è quello realizzato con l’art. 4 della normativa in esame, rubricato “Liberazione anticipata speciale”.

L’articolo richiamato prevede che per un periodo di due anni dalla data di entrata in vigore del decreto, e con effetto retroattivo a partire dal primo gennaio 2010, la detrazione di pena concessa con la liberazione anticipata, prevista dall’art. 54 o.p., sia estesa da 45 a 75 giorni per ogni singolo semestre di pena scontata. Dall’applicazione di tale misura rimangono esclusi coloro che sono stati ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare, relativamente ai periodi trascorsi, in tutto o in parte, in esecuzione di tali misure alternative, mentre con riguardo ai condannati per uno dei delitti di cui all’art. 4 bis o.p. la misura è potenzialmente concedibile, previa valutazione di alcuni parametri individuati dalla norma.

Questa figura, additata di avere effetti analoghi ad un provvedimento di indulto213, non prevede alcun meccanismo di concessione automatica, infatti, essa richiede, quale presupposto indispensabile per poterne beneficiare, l’aver dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione. Inoltre, affinché i

urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria, in www.csm.it.

213

In questo senso, possiamo riferirci al parere espresso dal Procuratore Piscitello, nella già citata audizione in Commissione Giustizia della Camera del 14 gennaio 2014.

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condannati per taluno dei delitti di cui all’art. 4 bis o.p. possano beneficiare della liberazione anticipata speciale, con formulazione identica all’art. 47, c. 12 bis, o.p., il giudice dovrà accertare che essi abbiano dato prova, nel periodo di detenzione, di un concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della personalità, a cui si aggiunge il quid pluris della partecipazione all’opera di rieducazione214

.

Ai due intereventi ricordati va aggiunto il “consolidamento” di quella misura che, con l. n. 199/2010, poi modificata con l. n. 9/2012, era stata presentata come emergenziale, cioè l’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto mesi, la cui vigenza era stata prevista sino al 31 dicembre 2013. Scomparsa quest’ultima scadenza tale figura diventa strutturalmente ricompresa nell’ordinamento, alla luce del buon effetto decongestionante ottenuto, soprattutto, in seguito all’innalzamento della soglia di pena detentiva per accedere all’esecuzione della pena presso il domicilio. I soggetti ammessi a questa misura non sono espressamente esclusi dell’aumento della liberazione anticipata speciale, a differenza di coloro che sono stati ammessi alla detenzione domiciliare; in questo modo, è creata una vistosa disparità tra persone ammesse ad espiare la pena detentiva in due modi che, al di là del diverso nomen iuris, detenzione domiciliare piuttosto che espiazione della pena presso il domicilio, sono, di fatto, sostanzialmente analoghi. Proprio per questa ragione, sarebbe auspicabile ridisegnare in maniera più organica l’intera disciplina delle diverse forme di detenzione domiciliare.

214

M. G. Gaspari, Liberazione anticipata speciale fino a Natale 2015, in Guida dir., 2013, n. 4, pp. 49-50.

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Il provvedimento governativo è intervenuto anche sulla disciplina del t.u. in materia di stupefacenti e su quella del t.u. in materia d’immigrazione.

Per quanto riguarda le modifiche apportate al d.P.R. 309/1990, vediamo che, da un lato, il legislatore ha trasformato il fatto di lieve entità di cui all’art. 73, c. 5, t.u. stup. da circostanza attenuante a figura autonoma di reato, allo scopo precipuo di sottrarla al bilanciamento delle circostanze e, dall’altro, harimodulato la pena ivi prevista. Come ricordato, la necessità di rivedere il rigore sanzionatorio di questa disciplina era già stata fatta presente dalla Commissione mista del 2012, esigenza sentita anche dalla Commissione Giostra che aveva tracciato, rispetto alla prima, una riduzione dei limiti di pena ben più incisiva, infatti, a proposito della disposizione citata, era stato proposto di abbassare la pena delle reclusione da un minimo di sei mesi ad un massimo di tre anni. Il legislatore, però, non ha deciso d’intraprendere questa strada, avendo semplicemente ridotto il limite massimo della pena, da sei a cinque anni di reclusione, lasciando così inalterate tanto la soglia minima della pena detentiva tanto l’intervallo della pena pecuniaria.

Da questo tipo d’intervento non possiamo attenderci, verosimilmente, dei grandi risultati in termini di minor afflussi in carceri che, invece, potevano essere raggiunti, non soltanto modificando il c. 5 dell’art. 73 t.u. stup. come prospettato della Commissione di studio ma, soprattutto, approvando quelle interpolazioni delineate da quest’ultima con riguardo al c. 1 del medesimo articolo. La Commissione Giostra, proprio con riguardo all’art. 73, c. 1, t.u. stup. non solo aveva ridisegnato la cornice edittale in modo identico a quanto compiuto dalla

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Commissione mista del 2012, ma altresì aveva ipotizzato di escludere dall’ambito della penalizzazione la condotta di coltivazione per uso meramente personale.

L’altra novità introdotta dal d.l., in questo caso conformemente ai lavori della Commissione mista, riguarda l’abrogazione del c. 5 dell’art. 94 t.u. stup., rimuovendo in questo modo il limite dei due affidamenti al servizio sociale in casi particolari previsti per i tossico-alcooldipendenti. La soppressione di questo limite non solo risponde a una non trascurabile potenzialità deflativa della misura, ma anche a un’esigenza di equità e uguaglianza, visto che un simile limite non trova spazio nella disciplina dell’affidamento in prova “ordinario”, ex art. 47 o.p.

Anche se tale abrogazione era stata reputata necessaria altresì dalla Commissione Giostra, possiamo ravvisare un rischio insito nell’assenza di un limite numerico per la concessione dell’affidamento di cui all’art. 94 t.u. stup. Potrebbe rilevarsi, infatti, che l’intervento realizzato costituisca un disincentivo alla responsabilizzazione del soggetto con conclamati problemi di tossico- alcooldipendenza, nonché per la persona semplicemente assuntrice o abusatrice di sostanze stupefacenti l’inesistenza di detto limite potrebbe costituire l’espediente per far passare come “dipendenza” ciò che, in realtà, non ne ha gli estremi.

Con riferimento, invece, alle modifiche introdotte nell’ambito del t. u. in materia d’immigrazione, queste hanno riguardato l’art. 16 della normativa in esame, riprendendo buona parte delle proposte d’intervento delineate dalla

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Commissione Giostra. Oltre all’ampliamento dell’area applicativa della misura alternativa dell’espulsione ricomprendendo, nell’ambito del c. 5, i delitti di cui agli artt. 628, c. 3, e 629, c. 2, c.p., altresì è stato risolto il nodo relativo alla possibilità di disporre l’espulsione, previo scioglimento del cumulo, nel caso in cui il titolo esecutivo ricomprenda uno o più reati ostativi,una volta che sia stata espiata la parte di pena relativa al reato ostativo.

Con l’introduzione dei c. 5 bis e 5 ter e con le modifiche apportate al c. 6 è stato perseguito l’intento di realizzare dei miglioramenti sul versante procedurale attraverso l’abbattimento dei tempi di definizione e di efficacia pratica dell’istituto, grazie inoltre al coordinamento degli organi coinvolti nell’istruttoria del procedimento di espulsione, che potrà realizzarsi anche a mezzo delle necessarie intese interministeriali. Sono state introdotte, altresì, delle disposizioni in funzione acceleratoria delle procedure d’identificazione del detenuto straniero, nonché d’investimento dell’autorità giudiziaria. A tutto questo si affianca la previsione che le informazioni sull’identità e sulla nazionalità del detenuto straniero siano inserite nella sua cartella personale di cui all’art. 26 del d.P.R. n. 230/2000.

Anche in questo caso, però, la modifica che avrebbe potuto estendere la platea dei potenziali destinatari della misura, con auspicabili e rilevanti effetti in termini di riduzione del sovraffollamento carcerario, cioè l’innalzamento del limite di pena detentiva previsto al c. 5 dell’art. 16 t.u. imm. da due a tre anni, non ha trovato traduzione nel d.l. n. 146/2013.

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Non possiamo dimenticare che con il provvedimento governativo sono state introdotte delle novità anche nell’ambito del c.p.p.

Da un lato, è stato modificato l’art. 275 bis c.p.p., invertendo i termini nella valutazione del giudice che, nel disporre gli arresti domiciliari, non sarebbe più chiamato a valutare se i mezzi di controllo elettronico siano necessari, bensì se non lo siano. In questo modo il controllo elettronico o con altri strumenti tecnici diverrebbe la norma, configurandosi come eccezione la non adozione. Questa novità che potrebbe realizzare l’obiettivo di ridurre il ricorso alla custodia cautelare in carcere, impiegando questi strumenti di controllo che ancora non hanno avuto molta diffusione nel nostro ordinamento, si scontra necessariamente con l’assenza di un’effettiva disponibilità di tali strumenti tecnici.

Del resto, la posticipazione della vigenza delle disposizioni in materia di controllo elettronico, al giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del decreto, sembrerebbe dimostrare la consapevolezza del Governo circa l’attuale impraticabilità della nuova disciplina e sembrerebbe altresì preludere ad un impegno, nel prossimo futuro, nel senso della dotazione degli strumenti necessari.

Inoltre, il legislatore è intervenuto in materia di procedimento di sorveglianza, prevedendo una diversa formulazione dell’art. 678, c. 1, c.p.p. e l’aggiunta del successivo c. 1 bis, dando vita ad una più puntuale suddivisione tra materie di competenza del tribunale o del magistrato di sorveglianza. A ciò si affianca l’ampliamento delle materie ivi ricomprese, in virtù dei richiami alle richieste di

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riabilitazione e alla valutazione dell’esito dell’affidamento in prova al servizio sociale, anche in casi particolari, precedentemente non previsti.215

Alla luce della disamina fin qui svolta, possiamo cercare di valutare complessivamente l’intervento compiuto dal legislatore.

Sicuramente, rispetto al decreto estivo, il d.l. n. 146/2013 interviene su un ventaglio più ampio di aspetti che potrebbero auspicabilmente incidere sul sovraffollamento carcerario, senza dimenticare le novità di rilievo introdotte in tema di tutela giurisdizionale dei diritti del detenuto.

In definitiva, però, ancora una volta è forte l’impressione che, in modo analogo al precedente d.l. n. 78/2013, si sia intervenuti in una logica meramente emergenziale, non idonea, quindi, a individuare quelle modifiche di carattere strutturale che sono state richieste all’Italia per adempiere alla sentenza Torreggiani. Questa sensazione, del resto, pare convalidata dalle prime stime elaborate dal Ministero della Giustizia circa gli esiti attesi, in termini di decongestionamento penitenziario, dalle novità introdotte dal decreto in commento. Infatti, è stata prevista una riduzione della popolazione detenuta di circa 3.000 unità216, dato che, alla luce dell’attuale presenza di 62.536 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 47.709 unità217, fa ritenere ancora ben lontano l’obiettivo del raggiungimento di equilibrio del sistema.

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A. Manzoni, Sovraffollamento carceri e d.l. 146/2013: una misura urgente per una questione cronicizzata, in www.personaedanno.it, consultato il 30 dicembre 2013.

216 Relazione di accompagnamento al d.d.l. n. 1921, p. 8 ss, in www.camera.it. 217

Detenuti presenti e capienza regolamentare degli istituti penitenziari per regione di detenzione, situazione al 31 dicembre 2013, sezione statistiche, in www.giusizia.it.

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