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L’iconicità, che sembra essere il tratto distintivo per eccellenza delle lingue segnate, è stata interpretata sia come cavallo di battaglia che come tallone d’Achille. Nel primo caso, l’iconicità viene intesa come l’elemento che permette alle lingue segnate di stabilire una relazione più diretta tra le parole e le cose. Nel secondo caso, l’iconicità viene assunta come prova del fatto che la comunicazione visivo gestuale non è dotata dei caratteri di arbitrarietà propri di una lingua, e perciò sarebbe da considerare come una sorta di residuo pantomimico, legato all’occasionalità. In realtà, come vedremo, nelle lingue dei segni l’iconicità e arbitrarietà convivono, ma per chiarire questo aspetto è necessario innanzitutto definire che cos’è un segno60.

Tutti i segni sono caratterizzati dalla biplanarità, ovvero dal fatto di essere costituiti da due piani, quello del significante e quello del significato. Il piano del significante è quello dell’espressione e rappresenta l’aspetto fisicamente percepibile del segno, che si manifesta in forma acustica nel caso delle lingue vocali, e in forma visivo spaziale nel caso delle lingue segnate. Nella parola VULCANO, il significante è costituito dalla veste acustica della parola pronunciata o dalla forma visiva del segno VULCANO.

58 Russo, Volterra, op. cit., p. 79 59 Ivi, p. 80.

60Si ricorda che per evitare ambiguità, abbiamo stabilito convenzionalmente di scrivere segno in corsivo quando

ci riferiamo all’unità propria di una lingua segnata, per distinguerlo dal segno inteso come unità minima che supporta la comunicazione.

Il piano del significato è quello del contenuto a cui il segno fa riferimento: per esempio il concetto di vulcano per come si raffigura nella nostra mente. Esiste poi un terzo livello del segno che è quello del referente e va a comporre il triangolo semiotico. Il referente è la cosa, l’oggetto specifico a cui si fa riferimento nella realtà esterna alla mente: per esempio, un vulcano specifico, come l’Etna.

Notiamo subito che nel segno VULCANO, l’iconicità del significante contiene un forte elemento di concettualizzazione, che non è presente nelle forme orali o scritte. Il segno VULCANO è infatti prodotto per mezzo di un classificatore di forma curva che indica il cratere, prodotto in maniera coestensiva al segno che descrive l’eruzione. Se vogliamo riferirci a un’eruzione di tipo esplosivo, quest’ultimo segno descriverà una violenta emissione verso l’alto, mentre se parliamo di un’eruzione di tipo effusivo, utilizzeremo un classificatore che descrive la lava che cola lungo le pareti del vulcano. In questo senso, possiamo dire che il

segno VULCANO manifesta un legame più stretto con il referente, ossia con il vulcano

concreto a cui ci riferiamo.

Detto questo, occorre chiarire che tutte le parole sono segni, ma non tutti i segni sono parole. È infatti possibile classificare diversi tipi di segni in base al livello di convenzionalità che manifestano.

Una prima classificazione tra i tipi di segni è quella fatta da Sant’Agostino, che distingue tra i segni naturali, che hanno carattere non intenzionale ma rimandano a qualche aspetto dell’esperienza, e i segni che sono prodotti intenzionalmente con lo scopo di comunicare. Quelli che Sant’Agostino chiama segni naturali, in linguistica sono detti indici, in quanto hanno la proprietà di indicare qualcosa e stabilire inferenze sulle relazioni causali. Per esempio, se vedo del fumo, allora è probabile che ci sia del fuoco: in questo senso, il fumo è segno del fuoco.

Ma il fumo può anche essere un segnale, per esempio se lo uso per segnalare la mia presenza su un’isola sperduta o per comunicare delle informazioni a tribù lontane. Ciò che

distingue i segnali dagli indici è l’intenzionalità, ossia il fatto che qualcuno produca intenzionalmente quei segni per comunicare. Anche gli animali producono segnali, per esempio il canto degli uccelli o la marcatura del territorio.

Esistono poi le icone che, oltre ad essere chiaramente intenzionali, manifestano un legame di analogia con alcune proprietà della cosa che intendono significare, basato su similarità nella forma o nella struttura. Sono icone le carte geografiche e le mappe, le fotografie, i disegni, i diagrammi e gli istogrammi. È importante rilevare che tutti i segni intenzionali sono in un certo senso convenzionali, e questo vale per i segnali così come per le icone. Infatti, affinché un segnale venga interpretato è necessario che ci sia un accordo, ma d’altro canto nemmeno le icone sono auto evidenti: un’icona non è intellegibile in assenza di quel processo di astrazione che ci permette, per esempio, di stabilire una relazione tra la mappa di una città e la città stessa.

Sulla mappa di una città possiamo poi trovare dei simboli, che presentano un grado di convenzionalità ancora superiore: per esempio, il simbolo delle posate non avrebbe alcun significato per una comunità che non ne fa uso per mangiare. I simboli non sono solo convenzionali, ma anche culturalmente determinati: così mentre nella cultura occidentale colore che simbolizza la morte è il nero, in quella cinese è il bianco.

Al massimo livello di convenzionalità troviamo i segni linguistici propriamente detti: la parola VULCANO non ha alcun legame con l’oggetto che designa, se non per il fatto che è stato stabilito in maniera arbitraria che una particolare classe di oggetti si chiamano tutti vulcano. Eccezioni all’arbitrarietà dei segni linguistici, sono le onomatopee (come “tintinnio” o “sussurro”) e gli ideofoni (“zac” per indicare un taglio netto, “boom” o “bum” per indicare un’esplosione). Nemmeno queste eccezioni possono essere considerate come universali linguistici e non sempre manifestano una perfetta corrispondenza tra significato e significante. Insomma anche le onomatopee e gli ideofoni sono, in qualche modo,

culturalmente determinati: e in italiano si dice “chicchirichì” e in francese si dice “cocoricò” non è certo perché i galli francesi cantano diversamente da quelli italiani.

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