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Né, per questo, sembra possibile che il giudizio si adagi su valutazioni di carattere superficiale, come sembra invece avvenire in

altra parte della giurisprudenza

229

. Se è condivisibile ritenere che

226 Non è peraltro del tutto chiaro se l’organo giudicante, nel parlare di

inefficacia del modello intenda riferirsi alla sua mancata “attuazione” o già alla sua inidoneità. In senso critico sulla tendenza della prima giurisprudenza a confondere i profili della idoneità e della efficacia del modello, G. GARUTI, Profili giuridici del

concetto di “adeguatezza” dei modelli organizzativi, cit., p. 180. Coglie invece adeguatamente la distinzione Trib. Napoli, 26 giugno 2007, cit.: «l'oggetto della verifica rimessa al Giudice è, dunque, duplice, essendo necessaria una valutazione sull'idoneità del modello e cioè sulla completezza, esaustività e specificità delle sue previsioni, in punto individuazione e tipizzazione delle misure di organizzazione e di controllo, nonché sull' efficacia della sua attuazione, sulla concreta misurazione dei presidi predisposti alla realtà effettuale ed operativa. La prima indagine va svolta sul modello, sul suo contenuto dichiarativo e descrittivo; la seconda, comportando la valutazione di circostanze fattuali concrete, necessita di ulteriori elementi e dati di natura obiettiva, alla cui emersione, nella fase del giudizio ovvero nella fase incidentale della cautela, deve provvedere il soggetto su cui incombe il relativo onere dimostrativo e cioè lo stesso ente che subisce il rischio sostanziale del mancato accertamento».

227 «Le modalità con le quali l’azione corruttiva è stata condotta dai funzionari

XXX Ag e la pre-esistenza di conti e fondi riservati riferibili a XXX A.G., utilizzabili (e utilizzati) per la commissione dei reati, dimostrano non solo l’assoluta inefficacia del modello di controllo adottato da XXX A.G. e l’inattività degli organi preposti a verificarne l’osservanza [corsivo nostro], ma anche che l’ente considerava l’erogazione di tangenti quanto meno come una possibile strategia imprenditoriale»: Trib. Milano, 27 aprile 2004, cit., p. 292; l’opinione è confermata da Trib. Milano, ordinanza 28 ottobre 2004, cit., p. 275.

228 Che l’accertamento condotto dal Trib. Milano sia assolutamente

superficiale si desume peraltro dal fatto che non vengano neanche presi in esame i contenuti del modello.

229 Ammette la riduzione della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 12 il

Trib. Pordenone, sentenza 4 novembre 2002, motivando semplicemente nel senso che l’ente, oltre ad aver integralmente risarcito il danno, «ha anche comprovato l’adozione di modelli organizzativi idonei a prevenire la commissione di ulteriori

reati, all’uopo dimettendo ampia documentazione donde risulta che l’impresa Coletto s.p.a. ha allontanato Coletto Galliano dall’amministrazione e dalla rappresentanza dell’ente, abbandonando definitivamente le condotte criminose che il suo legale rappresentante pro tempore aveva assunto per avvantaggiare la società». Ancora più di superficie appare l’accertamento del Trib. Milano, 30 aprile 2004, (in A. FIORELLA, LANCELLOTTI, La responsabilità dell’impresa per i fatti dell’amministratore, Torino, 2004, p. 327 e ss.), secondo cui «va rilevata la ricorrenza, quanto alle società “S.p.A. …” e “S.r.l.”, delle condizioni di cui all’art. 12, commi 2 e 3, d. lgs. citato, ossia del risarcimento del danno operato da dette società e dalla loro predisposizione, come risulta dagli atti, di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della stessa specie». Quindi, Trib. Lucca, 26 ottobre 2004, cit., p. 340: s’è in particolare ritenuto di poter concedere la riduzione della sanzione pecuniaria ex art. 12 per avere la società prodotto, prima della celebrazione del giudizio abbreviato, il codice etico corredato «da un modello di organizzazione, gestione e controllo avente lo scopo dichiarato di eliminare o quanto meno ridurre al minimo i rischi di coinvolgimento dell’impresa in reati previsti dal codice civile e in reati societari previsti dal d. lgs. n. 231 dell’8 giugno 2001 [sic!], commessi da persone che lavorano nell’interesse dell’impresa stessa». Nel medesimo provvedimento l’idoneità è quindi ammessa sulla base di “perizie giurate” prodotte dalla medesima società, con le quali veniva dichiarato che «il codice etico adottato è strumento idoneo a consentire alla società di agire nella perfetta legalità […], che esso e il relativo regolamento di esecuzione è strumento lodevole ed atto al fine che si propone e che l’organo di controllo è qualificato al fine di verificarne l’effettiva applicazione […]».

In una diversa prospettiva – che si rivela invece assolutamente condivisibile – vanno invece letti quei provvedimenti che compiono una ricostruzione “approssimativa” dell’idoneità del modello, per decidere della sussistenza o meno dei presupposti per l’adozione delle misure cautelari: per es. Trib. Milano, sez. riesame, 14 dicembre 2004, cit., che annullava il provvedimento di applicazione delle misure cautelari ritenendo che «al di là delle modifiche necessarie in sede di attuazione (e soprattutto del maggior dettaglio delle sanzioni previste e delle procedure in concreto imposte con particolare riguardo agli obblighi di informazione) [corsivo nostro], la circostanza che la società abbia presentato un modello che ricalca i contenuti previsti dalla legge è elemento tale da essere valutato in senso contrario alla sussistenza attuale di un pericolo per condizioni oggettive della struttura organizzativa e amministrativa della società». E’ infatti chiaro che la “pericolosità” dell’ente dal punto di vista delle esigenze cautelari non potrebbe esser collegata all’esistenza in genere di un rischio di commissione di illeciti, quale sarebbe in sé l’assenza dei modelli, pena la sovrapposizione dei presupposti tra i gravi indizi di colpevolezza e il pericolo di reiterazione(sul punto G. PAOLOZZI,

Vademecum per gli enti sotto processo, cit., p. 151; A. BASSI, T. E. EPIDENDIO, Enti e

responsabilità da reato, cit., p. 424). Inoltre, l’impossibilità di una tale conclusione è imposta dall’art. 13 che, con riferimento al reato del subordinato, richiede per l’applicazione delle misure interdittive l’esistenza di “gravi” carenze organizzative: queste non possono però coincidere con la assenza dei modelli, vanificandosi diversamente il significato della norma che per quelle misure presuppone un maggior disvalore (sul punto M. MASUCCI, La responsabilità amministrativa degli enti, in Tribunale, cit., p. 82). La conferma di tale impostazione si

l’idoneità dei modelli debba essere «valutata ed apprezzata soltanto

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