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L’elaborazione tattile è importante nello sviluppo, perché supporta l’esplorazione del mondo fisico e svolge un ruolo importante nella formazione delle relazioni fisiche e nello sviluppo della comunicazione (Cascio, 2010;

Parham e Mailloux, 2010). Una sua alterazione potrebbe quindi

ragionevolmente contribuire ai problemi di sviluppo osservati nell’ADHD.

Come già abbiamo visto, la maggior parte del lavoro in letteratura ha impiegato osservazioni cliniche e questionari per indagare la funzione sensoriale nel suo insieme. Limitate sono invece le valutazioni specifiche del disturbo tattile nell’ADHD. Gli studi condotti finora hanno comunque dimostrato un aumento della “difensiva tattile”15 nell’ADHD, un sintomo comune di iperattività. Ad oggi però non sono state condotte indagini approfondite su specifiche anomalie tattili

in questi bambini.

Alcuni ricercatori sostengono che solo identificando i modelli chiave dell’elaborazione tattile nell’ADHD, sarà possibile sondare i meccanismi sottostanti che portano a questi deficit. Così da poter aiutare gli interventi mirati (Puts, 2017). Gli stessi autori hanno dato un contributo alla ricerca con uno studio pilota condotto su 129 bambini nordamericani, 62 con sviluppo tipico e 67 con ADHD16, di età compresa tra 8 e 12 anni. Sono stati valutati con una batteria di attività vibrotattili composta da undici compiti separati. I compiti sono stati raggruppati come segue: tempo di reazione, soglia di rilevamento, discriminazione di ampiezza, discriminazione di frequenza e giudizio sull’ordine temporale. Sono state registrate risposte alterate, significativamente peggiori, nei bambini con ADHD rispetto a quelli con sviluppo tipico, ma non in tutti i domini indagati. Dall’ipotesi iniziale che prevedeva che i bambini con ADHD fossero peggiori in qualsiasi comportamento tattile correlato al GABA, i dati suggerirono invece che le disabilità tattili nell’ADHD erano specifiche17.

15 La difesa tattile è un complesso di reazioni di allarme, che possono manifestarsi come aggressività, evitamento, ritiro, messe in atto dal soggetto di fronte a stimoli che non sono in realtà minacciosi, come per esempio un abbraccio o il contatto con certi tessuti.

16 Nessun partecipante presentava altri disturbi neurologici.

17 Le alterazioni sembravano essere limitate alla modulazione di informazioni tattili ripetitive, riflettendo potenzialmente rapporti segnale-rumore ridotti relativi alla codifica dello stimolo. In particolare

L’eterogeneità dei risultati portò pertanto a concludere che i bambini con ADHD potevano svolgere normalmente alcune attività tattili. Il peggioramento delle prestazioni in alcuni domini, si ipotizzò potesse essere correlato alla ridotta attenzione, al QI ridotto o a deficit motori. Tuttavia, queste correlazioni non erano in grado di spiegare completamente tutte le differenze segnalate nell’elaborazione tattile.

Appare dunque chiaro come siano necessari ulteriori studi in grado di dare ulteriori contributi alla ricerca di questi aspetti disfunzionali nell’ADHD.

Indagando ad esempio la relazione tra prestazioni e neurofisiologia, tra prestazioni e caratteristiche cliniche. Approfondimenti necessari a sondare il ruolo dei meccanismi corticali e il ruolo che queste anomalie sensoriali svolgono nella vita quotidiana dei bambini con ADHD. Auspichiamo vengano fatte ulteriori indagini in studi più ampi, che indaghino anche sull’effetto di eventuali farmaci assunti dai bambini con ADHD. Nello studio riportato infatti, sebbene ai bambini testati vennero rimossi i farmaci dal giorno prima del test, non è chiaro se avessero avuto comunque qualche effetto sulle misure riportate.

mostravano prestazioni peggiori nei compiti sul tempo di reazione, discriminazione di frequenza simultanea e giudizio sull’ordine temporale senza un vettore stimolo. Sembravano invece avere una normale inibizione laterale, una normale inibizione feedforward e una normale codifica temporale delle frequenze tattili.

CONCLUSIONI

Abbiamo visto come, nonostante le attuali difficoltà di comprensione e diagnosi, il disturbo di elaborazione sensoriale cominci ad essere riconosciuto come un problema serio da individuare e trattare precocemente, perché invalidante per il soggetto. Sembra quindi irrinunciabile la valutazione anche di aspetti di elaborazione sensoriale per guidare i processi di intervento nei bambini con ADHD. Una deficitaria capacità di elaborazione sensoriale può influenzare negativamente l’adattamento dell’individuo alle situazioni quotidiane, la capacità di interagire con l’ambiente, di partecipare alle attività sociali e scolastiche.

Vengono mostrate difficoltà nell’attenzione, nell’apprendimento e nella regolazione delle emozioni. Il primo contributo in questo senso, completo e articolato, nella storia della psicologia dello sviluppo, lo dobbiamo a A.J. Ayres.

Dopo una lunga serie di ricerche e di pratica clinica, aveva concluso che alla base dei disturbi dell’apprendimento (DSA) ci fosse proprio un deficit in una delle aree di integrazione sensoriale. E sappiamo che tra DSA e ADHD vi è una forte comorbilità. Anche in assenza di doppia diagnosi, un bambino con ADHD riscontra sempre difficoltà in ambito scolastico e fatica ad apprendere al pari dei

coetanei con sviluppo tipico.

Recenti ricerche hanno proprio riconosciuto l’importanza dei meccanismi di autoregolazione nel determinare i sintomi di ADHD. Inoltre, l’incapacità di gestire e controllare le proprie reazioni, a causa di difficoltà di comportamento inibitorio e alterata autoregolazione, stimola l’emergere di importanti sintomi emotivi come scarsa tolleranza alla delusione, impazienza, rabbia, ansia ed intense reazioni emotive. Immaginiamo se tutto ciò va a sommarsi alle già tante

altre difficoltà che questi bambini incontrano per esempio in ambito scolastico.

Tuttavia, data la natura multidimensionale dell’ADHD, la ricerca più recente si è in gran parte focalizzata sulle abilità cognitive e comportamentali legate alle funzioni attentive ed esecutive, non prestando molta attenzione al ruolo della

dimensione sensomotoria.

La diagnosi precoce di particolari aspetti dell’elaborazione sensoriale aiuterebbe i clinici a progettare programmi di trattamento specifici. Diagnosi precoce significa anche e soprattutto garantire un miglioramento dello sviluppo e del comportamento adattivo di questi bambini. Unitamente a questo, fondamentale è rendere il bambino consapevole delle proprie difficoltà, aiutandolo nell’acquisizione di una maggiore autoregolazione. È auspicabile che pediatri, neurologi e psicologi considerino in misura sempre maggiore queste modalità di valutazione nella loro pratica clinica quotidiana quando trattano

bambini con ADHD.

In alcuni studi, ricercatori e medici hanno suggerito che l’ADHD può influenzare l’elaborazione sensoriale dei bambini, in particolare la modulazione sensoriale.

In altri studi è stato piuttosto evidenziato come i deficit dell’elaborazione sensoriale, che meritano una diagnosi distinta e a sé stante, siano responsabili di un peggioramento dell’ADHD proprio perché vanno aggiungendosi a sintomi già presenti e debilitanti propri di questa patologia. Quale allora la causa e

quale la conseguenza?

La letteratura è pressoché concorde nel ritenere che i bambini con ADHD possono avere disturbi dell’elaborazione sensoriale che possono contribuire all’apprendimento di risposte inadeguate, suggerendo l’importanza di considerare e studiare l’SPD e il suo possibile contributo alla sintomatologia

dell’ADHD. Nella pratica clinica questa discussione è rilevante perché suggerisce la possibilità di considerare e includere strategie e risorse sensoriali nel trattamento dei sintomi dei bambini con ADHD.

Sebbene osservazioni cliniche e questionari come la CBCL, o strumenti come la Bayley, già in uso nel nostro Paese, possano essere utili per focalizzare gli interventi e valutare l’entità anche di vari disturbi sensoriali, queste valutazioni non sono progettate per indagare la natura neurofisiologica sottostante di questi disturbi, in particolare quelli relativi alle regioni sensoriali primarie.

Probabilmente l’area più cruciale della futura ricerca sul trattamento dell’ADHD sarà quella di ottenere informazioni sugli effetti a lungo termine, positivi e negativi, dei trattamenti, utilizzando studi randomizzati, nonché ulteriori studi basati sulla popolazione con metodologie autocontrollate e studi di follow-up longitudinali. Molte domande nel campo dell’ADHD hanno avuto risposta, molti altri aspetti restano da affrontare. Ulteriori collaborazioni multidisciplinari, l’uso di grandi set di dati nello spirito della scienza aperta sono fondamentali per affrontare la sfida. Del resto i risultati ottenuti fino ad ora devono essere interpretati alla luce di alcune limitazioni, prima fra tutte il piccolo numero di soggetti coinvolti negli studi. Un’altra limitazione è data dalla complessità dell’ADHD ovvero dall’estensione delle comorbilità in questi bambini, che ostacolano un’analisi dell’SPD più specifica. Potrebbe anche essere interessante analizzare il grado in cui i sintomi dell’SPD migliorano quando vengono utilizzati farmaci.

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