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b) alla sentenza del 24 giugno 1994, n 263, in cui è stata dichiarata non fon data la questione di legittimità dell’art 2 del D.L n 16/1993, sollevata con

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riguardo agli artt. 3 e 53 Cost., sull’assunto che la norma impugnata riguar-

dasse (genericamente) il regime catastale, volto a fornire un criterio di calcolo

per l’applicazione di singole imposte e non la disciplina di uno specifico pre-

lievo

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plificare i procedimenti di accertamento nonché a prevenire un notevole contenzioso; re- stando, comunque, esclusi dal reddito agrario i proventi di quelle attività che sono invece produttive di reddito di impresa».

54 Secondo la Corte, con la norma denunciata «il legislatore (…) rimane nell’ottica ti-

pica del catasto, sistema che già a suo tempo ha superato positivamente il vaglio di costi- tuzionalità (sentenza n. 16 del 1965) e la cui finalità è quella di fissare in valori obiettivi, rappresentati dalla c.d. rendita catastale, l’attitudine del bene a produrre reddito. (…). Il criterio, presumibilmente ispirato dalla constatazione di una scarsa attuale rappresentati- vità del mercato delle locazioni in ordine alla potenziale capacità di produrre reddito da parte del bene, in presenza di una contingente situazione legislativa quale quella connessa al regime vincolistico degli alloggi, si discosta indubbiamente da quello codificato nell’art. 15 del D.P.R. 10 dicembre 1949, n. 1142; questo pone, infatti, a base del calcolo “il cano- ne annuo di fitto, ordinariamente ritraibile”, salvo i casi, pure previsti per legge, in cui un siffatto calcolo non sia possibile, vale a dire quando la locazione non esista o abbia carat- tere d’eccezione (così l’art. 27 del medesimo D.P.R. n. 1142/1949). Ma tutto ciò non è sufficiente per dedurre la illegittimità costituzionale del criterio seguito, per contrarietà al principio della capacità contributiva, tanto più che ciò che viene qui in discussione non è la disciplina di una specifica imposta, quanto un sistema come quello catastale, volto a definire valori, i quali hanno la limitata funzione di fornire una base di riferimento gene- rale per l’applicazione delle singole imposte, secondo la disciplina apprestata per ciascuna di esse dal legislatore, sicché sarà piuttosto nell’ambito della regolamentazione delle sin- gole imposte che si potrà verificare il rispetto del predetto canone costituzionale. è pur vero che i criteri di determinazione delle tariffe di estimo e delle rendite catastali, ove non ispirati a principi di ragionevolezza, potrebbero, benché le tariffe e le rendite non siano di per sé atti di imposizione tributaria, porre le premesse per l’incostituzionalità delle singo- le imposte che su di essi si fondino. Peraltro, nel momento in cui, per determinare tariffe di estimo e rendite catastali, si abbandona il tradizionale ancoraggio al reddito ritraibile e si privilegia il valore di mercato del bene, si opera una scelta procedimentale alla quale non è logicamente estraneo il rischio di determinazione di rendite catastali tali da supera- re per la loro misura il reddito effettivo, sicché imposte ordinarie, che a tali rendite si rifa- cessero, porterebbero ad una sostanziale progressiva erosione del bene. Ma, a parte il fat- to che, al di là di generiche doglianze di non razionalità, le ordinanze non prospettano profili idonei a concretamente evidenziare una incongruità dei criteri di determinazione dei valori adottati nella norma denunciata rispetto al fine che con essi si è inteso persegui- re, è importante rilevare la transitorietà della disciplina denunciata, peraltro ripetutamen- te sottolineata anche dalle ordinanze di rimessione e superata, a partire dal 1995, dai nuovi criteri indicati dal legislatore, e cioè il valore di mercato insieme al valore locativo, nei quali si è evidentemente tenuto conto della più recente evoluzione legislativa che ten- de, come è noto, a superare il regime vincolistico delle locazioni». In argomento, per

In argomento, degna di nota risulta, inoltre, una giurisprudenza più recen-

te, in cui la Corte – pronunciandosi sulla legittimità costituzionale dell’art. 41,

co. 3 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 – , ha confermato la ragionevolezza

e la legittimità del criterio di determinazione dei redditi fondiari, precisando

altresì come l’accertamento catastale costituisca l’unico metodo di determina-

zione possibile degli stessi, posta l’incompatibilità di ulteriori forme di accer-

tamento (e, particolarmente, dell’accertamento sintetico), la cui applicazione

risulta preclusa laddove il reddito del contribuente, ancorché superiore a

quello dichiarato, abbia, esclusivamente, natura agraria

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quanto di nostro interesse, giova, peraltro, segnalare come l’articolo esaminato sia stato, successivamente, oggetto di modifiche da parte dell’art. 4 del D.L. 2 marzo 2012, n.16.

55 Il riferimento attiene, particolarmente, all’ordinanza 10 dicembre 1987, n. 482 e alla

sentenza 25 luglio 1995, n. 377. In base a questa giurisprudenza, nel caso in cui il tenore di vita del contribuente risulti sproporzionato rispetto al reddito dichiarato, non è possi- bile ad ulteriori accertamenti, laddove il reddito prodotto: a) abbia esclusivamente natura fondiaria; b) sia stato correttamente quantificato (anche per le deduzioni); e c) non vi sia alcun elemento di prova dell’esistenza di altre o diverse fonti reddituali. Diversamente, se la capacità di spesa del contribuente manifesta il possesso di un reddito superiore a quello "effettivo" realmente conseguito nell’esercizio delle attività agricole e, dunque, il possesso di un reddito diverso da quello denunciato, diventa legittimo l’accertamento sintetico «in base ad elementi e circostanze di fatto certi», fatta salva la facoltà del contribuente di for- nire la prova della provenienza del maggior reddito determinato o determinabile sinteti- camente. Da parte sua, la Corte di Cassazione, nel tempo, ha consolidato un orientamen- to volto a riconoscere, a certe condizioni, la legittimità dell’accertamento sintetico in capo all’agricoltore. In argomento si v., ad esempio, la sentenza 8 maggio 2003, n. 7005, in cui si afferma che: «Ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (e, nella specie, DD.MM. 19 settembre 1992 e 19 novembre 1992), l’amministrazione delle finanze può legittimamente procedere con metodo sintetico alla rettifica della dichiarazione dei reddi- ti di un coltivatore diretto comprensiva del solo reddito agrario del fondo da lui condot- to, quando da elementi estranei alla configurazione reddituale prospettata dal contribuen- te (nella specie, la proprietà di un’autovettura e di un appartamento, e, comunque, qualo- ra il reddito accertabile si discosti di almeno un quarto da quello dichiarato, ai sensi del 4° comma del detto art. 38) si possa fondatamente presumere che ulteriori redditi con- corrano a formare l’imponibile complessivo, salva la facoltà del contribuente di dimostra- re, a norma del 6° comma dell’art. 38, che il reddito accertato, maggiore del reddito fon- diario dichiarato – determinato sulla base della rendita catastale, e quindi in ipotesi anche inferiore a quello effettivo –, deriva dallo sfruttamento del fondo e non è pertanto sogget- to ad ulteriore imposizione». Motivazione analoga può riferirsi alle sentt. 11 gennaio 2006, n. 328 e 30 gennaio 2007, n. 1920. Sugli stessi profili, da ultimo, si v. la sentenza 16 maggio 2014, n. 10747, secondo cui: «quando da elementi estranei alla configurazione reddituale prospettata dal contribuente (disponibilità di autoveicoli non inerenti all’atti- vità agricola, tenore di vita, ecc.) si possa fondatamente presumere che ulteriori redditi concorrano a formare l’imponibile complessivo» incombe al contribuente l’onere di de- durre e provare che i redditi effettivi frutto della sua attività agricola sono sufficienti a giustificare il suo tenore di vita, ovvero che egli possegga altre fonti di reddito non tassa-

In una diversa prospettiva, ancora significativa risulta la storica sentenza 31

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