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Serse e la resa dei conti: come Erodoto estende l’assenza di responsabilità di Serse in Eschilo alla monarchia persiana

εὖ γὰρ ἴστε, παῖς ἐμὸς

πράξας μὲν εὖ θαυμαστὸς ἂν γένοιτ' ἀνήρ, κακῶς δὲ πράξας, οὐχ ὑπεύθυνος πόλει, σωθεὶς δ' ὁμοίως τῆσδε κοιρανεῖ χθονός. (Pers. 211-214)

Voi sapete bene che mio figlio, se avrà successo, sarà ammirato da tutti, ma se

cadrà…eppure, lui non ha da render conto ai cittadini. Basta che si salvi e resterà, come prima, a capo di questa terra.

In questi versi che seguono il sogno premonitore di Atossa, precedente alla notizia della disfatta di Serse, la regina persiana ipotizza le sorti a cui potrebbe andare incontro il figlio. Il periodo è strutturato in modo tale che al πράξας μὲν εὖ faccia riscontro il κακῶς δὲ πράξας: tale contrapposizione tra agire positivo e negativo lascerebbe presupporre che ad un’azione vincente corrisponda l’ammirazione, mentre un intervento fallimentare comporti un esito disastroso per il responsabile. Eppure il seguito non conferma quanto ci saremmo aspettati; piuttosto il potere del giovane sovrano non sembra essere messo affatto in discussione: οὐχ ὑπεύθυνος πόλει.

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Pertanto, nell’ottica di Atossa, la situazione resterebbe immutata e il potere non risulterebbe messo in discussione anche nel caso in cui Serse fosse responsabile di una catastrofe.

Per esimerlo da qualsiasi peso, viene impiegato il termine composto ὑπεύθυνος44 preceduto dalla negazione.

Era inevitabile che questa parola nell’Atene del V sec. richiamasse l’attenzione degli spettatori sul concetto di euthyna, ovvero la resa dei conti a cui erano soggetti tutti coloro che avevano incarichi di carattere politico. L’indagine dell’operato avveniva, di solito, al termine dell’impegno assunto. Le iscrizioni testimoniano come, specialmente nel V sec, gli euthunoi godessero di una certa autorità: la maggior parte dei decreti in cui viene stabilito l’ammontare della multa imposta dalle figure in questione risale proprio al secolo in cui visse Eschilo45.

Alla luce di questo, non sembra affatto casuale l’impiego eschileo del termine in questione che potrebbe aver suggerito il diverso peso dell’operato dell’autorità politica nella democrazia ateniese e nella monarchia persiana.

A questo punto nasce spontanea una domanda: l’assenza della resa dei conti nei

Persiani è estendibile alla monarchia persiana in generale o solo all’azione di Serse?

Per poter rispondere a questo interrogativo è opportuno riprendere in esame i versi iniziali dell’elenco dei sovrani persiani fatto da Dario:

{Δα.} τοιγάρ σφιν ἔργον ἐστὶν ἐξειργασμένον μέγιστον, ἀείμνηστον, οἷον οὐδέπω τόδ' ἄστυ Σούσων ἐξεκείνωσ' ἐμπεσόν, ἐξ οὗτε τιμὴν Ζεὺς ἄναξ τήνδ' ὤπασεν, ἕν' ἄνδρα πάσης Ἀσίδος μηλοτρόφου ταγεῖν, ἔχοντα σκῆπτρον εὐθυντήριον.

44 Il termine è attestato anche in Prom. 324, Coeph. 715. 45 Vd. Mc Dowell 1978, pp. 170- 172.

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Ecco perché hanno perpetrato un misfatto enorme, indimenticabile, quale mai prima aveva desolato questa città e la piana di Susa, da quando Zeus sovrano sancì il principio che un solo uomo impugni lo scettro del monarca e imperi su tutta l’Asia nutrice di bestiame.

Dario, dopo aver constatato la portata del disastro ai danni della città e della piana di Susa, mette in evidenza l’importanza di un sovrano capace di indirizzare opportunamente il regno; l’aggettivo impiegato è εὐθυντήριος46.

Le parole di Dario, dunque, a differenza di quelle di Atossa, sanciscono una responsabilità nei confronti dei sudditi, pur all’interno di un contesto monarchico. Abbiamo già visto come il padre di Serse elogi da un lato l’operato di alcuni sovrani e denigri, dall’altro, il comportamento di altri.

Un altro luogo dei Persiani in cui è presente un sostantivo con la stessa radice è quello che ritrae Zeus che vigila sugli uomini, punendo la superbia dettata dalla mancanza di saggezza (Pers. 827-828):

Ζεύς τοι κολαστὴς τῶν ὑπερκόμπων ἄγαν φρονημάτων ἔπεστιν, εὔθυνος βαρύς.

Ancora una volta chi parla è Dario che nomina la divinità con l’appellativo di εὔθυνος la cui funzione è quella di ristabilire l’ordine fondato sulla giustizia. Se, dunque, nell’ottica di Dario, il monarca dovrebbe agire in maniera responsabile, in conformità all’ordine super homines, l’assenza della resa dei conti di cui parla

46 Il medesimo termine è presente anche in Suppl. 717, in riferimento al timone della nave:

οὔ με λανθάνει /στολμοί τε λαίφους καὶ παραρρύσεις νεώς,/καὶ πρῷρα πρόσθεν ὄμμασιν βλέπουσ' ὁδόν, /οἴακος εὐθυντῆρος ὑστάτου νεὼς /ἄγαν καλῶς κλύουσα, τοῖσιν οὐ φίλη.

Ecco, riconosco l’alberatura, le fiancate e la prua che con aperti occhi guarda innanzi alla rotta e fin troppo bene, almeno a danno di chi l’ha in odio, la barra intende che sulla poppa regola il corso.

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Atossa perde completamente autorità e credibilità e risulta essere un vano tentativo di protezione del figlio da eventuali giudizi.

Erodoto utilizza il medesimo termine all’interno del confronto relativo alle forme di governo in contesto persiano:

Εἴδετε μὲν γὰρ τὴν Καμβύσεω ὕβριν ἐπ' ὅσον ἐπεξῆλθε, μετεσχήκατε δὲ καὶ τῆς τοῦ μάγου ὕβριος. Κῶς δ' ἂν εἴη χρῆμα κατηρτημένον μουναρχίη, τῇ ἔξεστι ἀνευθύνῳ ποιέειν τὰ βούλεται; (III 80, 2-3)

Poiché sapete fin dove giunse l’arroganza di Cambise, e avete sperimentato anche quella del Mago. Come dunque la monarchia potrebbe essere un’entità ben ordinata, se in essa si fa ciò che si vuole e non si hanno conti da rendere?

(trad. Fraschetti 1990) Δεύτερα δὲ τούτων τῶν ὁ μούναρχος ποιέει οὐδέν· πάλῳ μὲν γὰρ ἀρχὰς ἄρχει, ὑπεύθυνον δὲ ἀρχὴν ἔχει, βουλεύματα δὲ πάντα ἐς τὸ κοινὸν ἀναφέρει. (III 80, 6)

In secondo luogo non fa nulla di quanto fa il monarca: le cariche sono esercitate a sorte; chi ha una carica deve renderne conto; tutte le decisioni sono prese in comune.

(trad. Fraschetti 1990)

La visione di Otane verte sull’opposizione tra l’arbitrio incondizionato del sovrano nella monarchia e il dovere di responsabilità dei politici in un regime in cui il potere non sia accentrato nella mani di uno. A differenza dei Persiani in cui il termine in esame è riferito a Serse, nel passo erodoteo, nonostante l’analogia del concetto, lo storico generalizza ed estende il punto di vista della non dovuta resa dei conti alla monarchia assoluta, poiché in essa è racchiuso il rischio di un esercizio del potere non ispirato alla saggezza e alla moderazione. Inoltre, mentre nella tragedia il Dario di Eschilo risulta avere un comportamento impeccabile e immune da azioni spropositate e fuori misura e quindi, in virtù di

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questo, è anche portavoce della responsabilità del sovrano nei confronti del territorio su cui domina, nel logos tripolitikos l’interlocutore Otane a cui è affidato il discorso si oppone proprio a Dario di cui, come abbiamo visto in precedenza, non vengono taciute azioni accentratrici che misero a rischio il benessere generale rappresentando un precedente della spedizione fallimentare del figlio. Un altro aspetto degno di essere preso in considerazione è la finalità dell’impiego del termine da parte di Erodoto ed Eschilo: mentre Atossa ha come obiettivo quello di scagionare il figlio da eventuali colpe, puntando piuttosto sull’importanza della sua salvezza, Otane intende mettere in luce le caratteristiche negative del regime assolutistico.

Se estendiamo l’analisi del termine al Prometeo, notiamo come, nel verso 324, analogamente ai passi erodotei presi in esame, l’aggettivo ὑπεύθυνος preceduto dalla negazione sia attribuito al monarca47:

τραχὺς μόναρχος οὐδ' ὑπεύθυνος κρατεῖ.

All’irresponsabilità si coniuga un altro aspetto negativo, ovvero l’asprezza condensata nell’aggettivo τραχύς ripreso anche in altri versi:

Διὸς γὰρ δυσπαραίτητοι φρένες· ἅπας δὲ τραχὺς ὅστις ἂν νέον κρατῇ. (Prom. 34-35)

Infatti non conosce pietà il cuore di Zeus: aspro è chiunque da poco abbia il potere.

οἶδ' ὅτι τραχὺς (Prom. 186)

47 Vd. Di Benedetto (1978) che, sulla base dell’impiego del medesimo termine presente nei Persiani,

55 So che è violento.

Ci sono poi anche altre espressioni che indicano durezza e inflessibilità:

ἀκίχητα γὰρ ἤθεα καὶ κέαρ ἀπαράμυθον ἔχει Κρόνου παῖς. (Prom.184-185)

La natura di Zeus è inaccessibile e il suo cuore è chiuso ad ogni voce. πάντως γὰρ οὐ πείσεις νιν· οὐ γὰρ εὐπιθής. (Prom. 333)

Non lo convincerai. Non si convince.

1.4 La barbarie testimoniata da Dario in Eschilo diventa profezia di