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Servio uno e trino: una questione di metodo?

Appendice L’uso di plerumque.

4. Servio uno e trino: una questione di metodo?

Nelle pagine iniziali di questo lavoro abbiamo richiamato l’attenzione sulla figura di Servio e, in modo particolare, sul suo trovarsi al crocevia fra grammatica, esegesi e metricologia. In questo modo cercavamo di giustificare la scelta del taglio che avevamo scelto di dare alla ricerca, vale a dire l’aver selezionato, all’interno del vario materiale che ci offre il commento a Virgilio, unicamente i passi che affrontanto tematiche metricologiche o prosodiche. Nel corso della nostra ricerca, nell’esaminare le note serviane abbiamo visto Servio più volte ribadire la peculiarità della sua figura: non dimenticare mai di essere, oltre che un commentatore, anche un grammatico e come grammatico servirsi, laddove gli risultasse utile se non necessario, delle sue competenze in campo metricologico al fine di spiegare una norma o di giustificare un’eccezione. Ancora abbiamo osservato come le osservazioni di metrica presenti nel commento sono così squisitamente metricologiche da poter affermare che se, per ipotesi, non possedessimo opere come il De centum metris o il De metris Horatii, nonostante il loro esiguo numero il carattere di quelle note ci porterebbe comunque a intuire la presenza di un Servio metricologo accanto al grammatico e al commentatore. Si è visto, infine, come, soprattutto le osservazioni prosodiche si inseriscano nel solco della tradizione artigrafica, dalla quale Servio, in alcuni casi, si allontana, proponendo spiegazioni originali, spesso sostenute proprio dalle sue competenze in campo metricologico.

Quanto è emerso nel corso del lavoro non ha fatto altro che confermare la singolarità del caso serviano che avevamo preso come presupposto. Tuttavia, in sede conclusiva, piuttosto che ripercorrere i sentieri appena tracciati, sarà opportuno chiedersi che significato possa avere il riconoscimento di tale peculiarità. Vale a dire: ora che abbiamo attraversato il commento a Virgilio alla ricerca delle competenze metriche e prosodiche messe in campo, e ne abbiamo esaminato le modalità di funzionalizzazione è forse il caso di capire che ricaduta possa avere tutto ciò sul piano del metodo.

Se qualcosa di interessante, infatti, è venuto fuori da un lavoro del genere, io credo sia innanzitutto aver mostrato quanto sia utile non separare le opere minori di Servio dalle osservazioni prosodiche e metricologiche contenute nel commento. In qualche punto della tesi ho osservato come, a mio parere, limitarsi a uno solo dei due versanti impedisca di avere una visione complessiva – e articolata, “mobile” direi – delle competenze serviane243

. A ciò occorre, però, in questa sede, aggiungere una precisazione: se la svista più grande è appunto separare il Servio grammatico e metricologo dal Servio esegeta, un errore di non minore intensità sarebbe operare il confronto fra i passi delle opere minori e le affermazioni contenute nel commento

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soltanto in un verso, con i primi a illuminare i secondi e non viceversa. È necessario muoversi in entrambe le direzioni244. Con la dovuta attenzione, però, poiché non dobbiamo dimenticare che le informazioni di carattere metrico e prosodico contenute nel commento assai spesso sono mosse dall’attenzione – cui più volte ci siamo richiamati – all’eccezione, tipica di un’opera di carattere esegetico. Come dire che, se nelle note di prosodia e metrica è il grammatico che parla, è pur sempre l’esegeta a suggerire al primo di cosa parlare. Sembrerà con quest’ultima affermazione che si corra il rischio di separare nuovamente il commentatore dal grammatico. In realtà vogliamo semplicemente porre l’attenzione sulle diverse finalità del commento a Virgilio rispetto alle altre opere. Una volta, però, che avremo ricordato a noi stessi di non trascurare questo dato di partenza, potremo serenamente confrontare passi delle opere minori con passi del commento e viceversa.

Dobbiamo poi tornare a considerare il concetto di funzionalizzazione intorno al quale abbiamo strutturato il nostro lavoro. La funzionalizzazione delle competenze prosodiche e metricologiche nelle pagine precedenti è stata adoperata unicamente come criterio interno per l’analisi dei passi del commento, al fine cioè di vedere come e perché Servio impieghi una data competenza. Essa però può essere usata anche quando estendiamo il nostro raggio di osservazione, tuttavia con le dovute precauzioni. La funzionalizzazione è infatti un ulteriore filtro attraverso il quale Servio formula le sue osservazioni nel commento. Determinarne il grado – ciò che abbiamo tentato di fare nel nostro lavoro – è un passo preliminare prima di ogni confronto con altri luoghi siano questi luoghi del commento stesso o delle opere minori serviani o di altri testi grammaticali. La valutazione delle funzionalizzazioni è insomma una delle chiavi per vedere come Servio operi nella sua singolarità trinitaria di esegeta, grammatico e metricologo.

Perciò, per ricapitolare, ogni volta che usiamo un passo del commento per un raffronto, dovremo ricordare, innanzitutto, che esso si trova all’interno di un’opera di carattere esegetico; in secondo luogo determinarne il grado di funzionalizzazione. Solo a questo punto il passo potrà essere impiegato.

Vi è infine un ultimo aspetto che il lavoro sulle funzionalizzazioni può metterci in condizione di scorgere. Più di una volta abbiamo cercato di comprendere le ragioni che hanno spinto Servio a compilare le note di carattere metrico e prosodico: laddove, infatti, l’informazione sembrava rispondere a un mero intento compilatorio, abbiamo cercato di mostrare che vi possono essere altri motivi oltre a quelli puramente “tironiani”; inoltre, quando un’osservazione sembrava contraddire altri luoghi del commento abbiamo cercato di leggere le motivazioni – definite in qualche caso, pur virgolettando l’espressione, di natura psicologica245 – che hanno portato Servio ad

244 E, ampliando il raggio d’azione, i passi metricologici e prosodici del commento potranno essere utili

a illuminare anche luoghi di altri grammatici.

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inserire in quel passo informazioni in contraddizione con altre e dunque, dal punto di vista delle fonti impiegate, a preferire una fonte a un’altra. Per fare ciò, oltre a tener presenti ancora una volta la figura serviana nella sua totalità, dobbiamo non dimenticare e tenere sempre ben chiara la destinazione del commento. Sotto la luce fornita dal tentativo di leggere le motivazioni alla base di una nota, l’opera esegetica di Servio può suggerirci infatti, benché solo attraverso un debole riflesso, la pratica dell’esegesi in aula. Nella maggior parte delle note esaminate, infatti, si ha l’impressione che quelle osservazioni di carattere grammaticale, prosodico o metricologico siano state originate da un’occasione – reale, forse, o anticipata, prevista dal commentatore; che nascano comunque da un’esperienza effettivamente praticata di insegnamento, come se, attraverso di esse, ci fosse dato di vedere il grammatico rispondere alle domande dei suoi allievi, prendere poi appunti, compilare schede relative ai quesiti più frequenti nel corso delle sue lezioni, infine far confluire tutto questo materiale nel commento.

Tale occasionalità che i lemmi del commento mantengono o riproducono è strettamente imparentata con l’attenzione all’eccezione di cui si è già parlato. Alla luce di tutto ciò pertanto non ci sforzeremo più di tentare di risolvere le contraddizioni presenti nel commento, ma cercheremo di vedere in ogni passo la risposta del commentatore a una determinata sollecitazione (un vocabolo inusitato, un particolare uso virgiliano....), che lo porta a preferire una fonte un’altra, a usare l’informazione più opportuna, più adatta in quel momento.

Ora, è proprio il particolare terreno in cui ci muoviamo, l’opera di carattere esegetico, a darci la possibilità di risolvere le contraddizioni nei passi di taglio grammaticale e metrico-prosodico. Tenendo ben presente tale contesto potremo allora allargare la prospettiva della nostra indagine – come in qualche caso abbiamo fatto – al rapporto fra le opere minori di Servio e il commento, qualora passi delle une contraddicano passi dell’altro e viceversa. E, volendo tentare un ulteriore affondo, l’aver presente che determinate osservazioni fatte da un grammatico possono essere le risposte a determinate domande, potrà suggerire, anche se in misura minore, come comportarsi di fronte, per esempio, a passi contraddittori in opere artigrafiche: diciamo in misura minore poiché nelle opere artigrafiche è più difficile scorgere l’occasione, l’eccezionalità, ciò che ci è dato di fare invece in un testo esegetico.

5. Indici

Sono qui di seguito riportati tre indici di passi serviani: un Indice dei termini metrici

e prosodici, un Indice delle parole, e infine l’Indice dei passi del commento a Virgilio discussi.

Riguardo ai primi due è opportuno fornire qualche indicazione per la consultazione. Nel primo si troveranno, assieme a termini come anapaestus o ecthlipsis, la cui valenza tecnica è evidente, anche parole di uso comune che Servio – e la trattatistica in genere – usa nel commento con una sfumatura tecnica: per esempio verbi come addo, e, naturalmente, corripio o parole come finis, longitudo, ratio.

Nel secondo indice abbiamo incluso nel vocabolo generico ‘parole’ sia nomi comuni e nomi propri a proposito dei quali, nel commento, Servio faccia osservazioni di carattere metrico o prosodico, sia verbi (edo, per esempio), pronomi (hic, ille...), preverbi (con,

ob), singole sillabe o singole lettere, soggetti a considerazioni dello stesso tipo.

Accanto ai passi serviani possono comparire anche passi del cosidetto Servio Danielino: in questo caso, a fini distintivi, i numeri sono in corsivo.

A fini pratici abbiamo usato le seguenti abbreviazioni: ‘A’ per indicare i passi del commento all’Eneide, ‘E’ per i passi del commento alle Bucoliche, ‘G’ si riferisce al commento alle Georgiche.

I passi dei primi due indici che sono stati discussi anche nel nostro lavoro sono contrassegnati da un asterisco.

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