La pratica del c.d. sexting riunisce in sé una varietà di condotte, tutte caratterizzate dallo scambio tramite le tecnologie informatiche di contenuti di carattere erotico. Un approccio ampio al fenomeno vi fa rientrare sia immagini fotografiche e riprese video, sia messaggi di testo di carattere allusivo. Numerose sono infatti le definizioni che la letteratura giuridica e so- ciopedagogica ha dedicato a tale fenomeno40. La descrizione più ristretta di sexting di cui qui
si farà uso, tuttavia, lo limita alla produzione, possesso o cessione di immagini o video di carat- tere pornografico (latamente) autoprodotti41. Il concetto di autoproduzione viene qui inteso in
un’accezione ampia, che abbraccia – a prescindere dal dato materiale di colui o colei che attiva e tiene fisicamente la fotocamera – sia i materiali prodotti da un minore raffiguranti se stesso, sia quelli da altri prodotti su di lui/lei col relativo consenso. Si pensi al minore che si scatti dei
selfie, ovvero a quello che consapevolmente si faccia riprendere dal partner, oppure a situazioni
ibride dove l’uno attivi la videocamera e l’altro la regga. Come si vedrà nel prosieguo, tale dato materiale ha tuttavia talvolta dato adito a diversi trattamenti penalistici.
Una distinzione va ulteriormente praticata tra sexting c.d. “primario” e “secondario”. Men- tre con il primo termine si indicano quei materiali volontariamente scambiati tra due o più soggetti, con il secondo si fa riferimento all’inoltro non consensuale di tali materiali ad ulte- riori persone42. Il sexting primario ha spesso luogo nell’ambito di una relazione, sebbene questo
elemento non sia sempre presente43. Rispetto ai casi di pedopornografia come tradizionalmen-
te intesi, il sexting inverte il rapporto di offensività tra la condotta primaria (la realizzazione dell’immagine e la sua eventuale volontaria cessione a una persona) e quella secondaria (l’ul- teriore diffusione della stessa, contro la volontà del minore). Il danno ai diritti di personalità del minore va infatti ricondotto prevalentemente, se non unicamente, a quest’ultima condotta. Per esemplificare la situazione, si pensi al minore che invii una propria foto intima al partner, e questi – dopo la fine della relazione – la condivida con vari comuni amici.
Pur non essendo di per sé una pratica confinata ai minori di età, il presente contributo si limiterà a trattare di questi ultimi; con l’avvertenza, tuttavia, che pure i fenomeni di sexting secondario tra adulti (c.d. revenge porn, sebbene tale termine si presenti inesatto)44 necessitano
di adeguata repressione penale, al cui difetto ha pure voluto sopperire l’introduzione dell’art. 612-ter c.p.
Difficile risulta determinare l’effettiva ricorrenza del sexting tra minori; gli studi empirici effettuati conducono infatti a risultanze parzialmente contrastanti o eccessivamente vaghe45.
Ciò consegue sia all’ampiezza di definizioni, che rende i dati tra loro difficilmente comparabili, sia alla relativa “novità” della pratica, sia alla notevolissima sensibilità del tema. Pare infatti lecito chiedersi se i dati che taluni studi riportano non risentano della delicatezza propria dell’argomento, in particolare se raccolti nell’ambito di focus group e interviste faccia a faccia con minori, di conseguenza potenzialmente sottostimando l’effettiva incidenza di tali pratiche. Pare tuttavia di poter affermare che non si tratti affatto di un fenomeno marginale46. Il titolo
40 Cfr. Lenhart (2009); Sacco et al. (2010); Ringrose et al. (2012); Lievens (2014a), p. 254. 41 Salvadori (2017), p. 793.
42 Cfr., tra i vari, Villacampa (2017), p. 10.
43 Già nel 2009, alcuni focus group sul tema organizzati negli Stati Uniti rilevavano come lo scambio di immagini possa avvenire anche al di
fuori di una relazione sentimentale, ad esempio nei confronti di soggetti con i quali si auspica di sviluppare una maggiore intimità: Lenhart (2009), p. 2
44 La distribuzione secondaria e non consensuale dei materiali pornografici, c.d. revenge pornography, può infatti avvenire a prescindere
da una volontà di vendetta (revenge). In aggiunta, il termine “porn”, generalmente connotato negativamente, può essere fonte di ulteriore vittimizzazione della persona da cui tali materiali intimi provengano, ponendo esso in ulteriore, cattiva luce la persona già gravemente lesa dalla diffusione delle immagini. Vari ordinamenti esteri che hanno approntato una risposta normativa a tali pratiche hanno pertanto optato per una diversa definizione delle stesse. Cfr. Caletti (2018a), p. 72.
45 Cfr. Salvadori (2017), pp. 793–795; si vedano anche gli studi citati da Lievens (2014a), p. 253; Caletti (2018a), p. 76; Stanley et al.
(2018), p. 2932. Anche con riguardo a fenomeni di estorsione e coercizione sessuale online di minori, nel cui ambito il sexting può essere fatto rientrare qualora il consenso iniziale sia estorto o carpito maliziosamente, l’Europol rinviene una grave mancanza di studi, in particolare di carattere giuridico-comparato, e richiede che la ricerca accademica vi conceda maggiore attenzione; stesso dicasi per l’uso sessualizzato delle risorse tecnologiche da parte dei minori di età: Europol (2017), pp. 7-10 e 20. Sul tema si v. Salvadori (2018) e Schiavon (2017).
46 In tal senso Symons et al. (2018), p. 3837. Per quanto concerne l’Italia, uno studio effettuato nel 2012 da Telefono azzurro ed Eurispes
rilevava come il 25,9% degli adolescenti italiani dai 12 ai 18 anni intervistati avesse ricevuto sms, mms o video di natura sessuale (un
Domenico Rosani Il diritto penale nel cyberspazio
EldErEchopEnalEnElcibErEspacio
criminal lawin cybErspacE
del presente contributo, “send nudes”, fa riferimento a una ricorrente espressione per chiedere scatti intimi47.
Tre ulteriori prospettive sono da considerarsi con riguardo all’incidenza del sexting nella società.
Da una parte, l’effettiva carica lesiva di una diffusione non consensuale di materiali intimi autoprodotti può in parte dipendere dal genere della vittima48. In società più tradizionali o re-
ligiose, una ragazza risente infatti più facilmente di un maggiore danno alla propria reputazio- ne rispetto ai suoi coetanei maschi. Alcune indagini qualitative hanno confermato l’esistenza di tali “doppi standard” anche tra i minori49.
Allo stesso tempo, il fenomeno dell’online dating (dicasi, in generale, la conoscenza di potenziali partner romantici tramite strumenti digitali, pratica in cui può inserirsi il sexting) appare più diffuso in contesti minoritari, quali quello LGBTI (lesbiche-gay-bisessuali-tran- sgender-intersex) o quello degli eterosessuali sopra una certa età50. In particolare per giovani
non-eterosessuali, un forte incoraggiamento a esplorare la propria sessualità online può infatti risultare dallo stigma e dalla discriminazione che essi non raramente ancora incontrano nel mondo offline51.
In ultimo, si noti come la letteratura scientifica sempre più valuti il sexting in termini di normalità, considerandolo, entro determinati termini, come una legittima componente della propria vita sessuale52. Con il diffondersi delle tecnologie, pure la sperimentazione sessuale
sarebbe infatti migrata verso tali contesti,53 sicché essi rileverebbero a livello di diritti fonda-
mentali, in particolare quelli relativi a libera espressione, sviluppo della personalità e privacy54.
Con riguardo alla percezione che di tale fenomeno hanno i diretti interessati, vari studi ne sot- tolineano l’elemento ludico e sperimentale55. Non da tacere è tuttavia la pressione sociale che
non pochi minori avvertono nei confronti delle richieste dei loro coetanei volte a scambiarsi foto intime; pressione a cui soprattutto le ragazze si troverebbero esposte56. L’allarme sociale –
se non panico57 – che il sexting negli ultimi anni ha causato nel dibattito pubblico, tuttavia, non
si riflette necessariamente in positivo sulla prevenzione dei rischi connessi a tale pratica. Non infondata appare infatti la possibilità che tali allarmi incoraggino le istanze pubbliche a “fare qualcosa” per dare risposta alle aspettative sociali, piuttosto che considerare con attenzione le diverse esigenze e situazioni che si celano dietro tale fenomeno58.
In tal senso, voci autorevoli hanno evidenziato come una politica repressiva, che si limiti a invitare ad astenersi da certe pratiche, non necessariamente si rifletterebbe in una effettiva riduzione dei rischi59. Lo Stato dovrebbe pertanto dar seguito ai propri obblighi di tutela
con altre e più adeguate modalità, in particolare consolidando nei giovani, per il tramite dei
notevole incremento rispetto al 10,8% dell’anno precedente); si noti tuttavia l’ampia definizione, che non richiede che tali materiali siano effettivamente autoprodotti. A sua volta, il 12,3% degli adolescenti aveva dichiarato di aver inviato materiali a sfondo sessuale: Telefono
azzurro ed Eurispes (2012), p. 18 e passim. Un’indagine del 2018 ha invece rilevato che il 7% dei ragazzi di 11-16 anni intervistatiavrebbe ricevuto “immagini o messaggi di carattere sessuale”: Mascheroni e Ólafsson (2018), p. 36.
47 Si permetta di rinviare alla definizione fornita a proposito da Urban Dictionary.
48 Lievens (2014a), p. 254, invita ad evitare tale termine, “vittima”, per definire la persona danneggiata dal sexting o bullizzata, preferendo a
tal fine il più neutro “target”.
49 Uno studio internazionale cita ad esempio un ragazzo italiano (Carlo, 17 anni) intervistato durante un’indagine qualitativa: “Se una foto
nuda di me dovesse andare in giro per il web, no problem… per una ragazza è diverso… la sua reputazione sarebbe in pericolo…” (traduzione dell’autore dall’articolo inglese): Stanley et al. (2018), p. 2935. Parlano di un “doppio standard” Symons et al. (2018), p. 3850.
50 Rosenfeld e Thomas (2012), p. 540.
51 Symons et al. (2018), p. 3852, con ulteriori riferimenti; gli autori evidenziano al contempo come sia difficile considerare tale variabile negli
studi empirici, data la sensibilità del tema. Si v. anche la panoramica di scritti scientifici pubblicati tra il 2009 e il 2013 proposta da Döring (2014). Sul tema cfr. Noto La Diega (2019) e Zalnieriute (2019).
52 Symons et al. (2018), p. 3837; Bulger et al. (2017); Shariff (2015), p. 77; Lievens (2014a), p. 254; Villacampa nota tuttavia come gli studi
che riconducano il sexting alla normalità siano più diffusi in Europa rispetto agli Stati Uniti: Villacampa (2017), 12 e 18.
53 Shariff (2015), p. 77; Bulger et al. (2017), p. 759.
54 Shariff (2015), p. 77; Bulger et al. (2017), p. 759. Segue tale impostazione, riconducendo il sexting alla libertà di espressione e privacy
così come riconosciute ai minori dalla Convenzione ONU anche ai fini dell’esplorazione della propria sessualità, Lievens (2014a), p. 268. In tal senso pure l’autorevole opinione di Tobin e Parkes (2019), p. 449.
55 Stanley et al. (2018), p. 2934 s., che riferiscono come molti dei ragazzi intervistati nel corso dell’indagine qualitativa considerino il sexting
come un fenomeno normale.
56 Gli stessi ricercatori rilevano come tale pratica, sebbene percepita come normale, riproduca stereotipi sessisti: Stanley et al. (2018), p. 2920;
cfr. anche Shariff (2015), p. 69, e Lenhart (2009), p. 8.
57 Parlano di “moral panic” sia Villacampa (2017), p. 11, sia Lievens (2014a), p. 253. 58 Bulger et al. (2017), pp. 752 e 753.
59 Ad esempio, è stato osservato come le politiche di educazione sessuale diffuse negli Stati Uniti basate sull’astinenza sessuale abbiano fatto
canali educativi formali e informali, quelle competenze di carattere emozionale e psicosociale per decidere se, con chi, entro quali limiti e in che modo, (non) scambiare proprie immagini intime con soggetti loro vicini60.