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di Sicurezza delle Nazioni Unite sull’annessione russa della Crimea avrebbe agito con “astuto equilibrismo” (p. 125), in realtà arrampicandosi sugli specchi per contenere l’imbaraz- zo davanti a una palese violazione della sovranità ucraina (un interlocutore cinese all’epoca mi fece notare che l’Ucraina è uno degli Stati più artificiali sulla faccia della terra…). Bradani- ni vede positivamente l’evoluzione della Shanghai Coopera- tion Organization (SCO), che potrebbe contribuire a risolvere il contenzioso indo-pakistano, diventando “una sorta di con- troparte asiatica della NATO” (p. 128), mentre in realtà proprio l’ingresso dell’India e del Pakistan diluisce l’uniformità di in- tenti e la fiducia che esisteva tra i membri precedenti.

Meno convincente appare il testo nell’attacco al ruolo della Commissione Europea e alla Germania con riferimento alla gestione della crisi dell’euro (il paragrafo “Cina e Unione Europea” inizia addirittura con una citazione di Primo Levi riferita alla Shoah). Se la Commissione negli ultimi anni è stata politicamente depotenziata (in favore del Consiglio Europeo), ciò è avvenuto grazie a una scelta comune dei governi degli Stati membri, sempre più gelosi delle rispet- tive sovranità. Se la Germania ha la responsabilità di aver atteso troppo a lungo prima di intervenire nella crisi greca, non c’è traccia nel testo, ad esempio, della scelta di Atene di truccare pesantemente i conti per soddisfare i parametri di Maastricht. Se è vero che di austerità si può morire, è altret- tanto certo che non basta una nuova erogazione di denaro pubblico per fare crescere l’Italia che – come ha ricordato di recente Mario Draghi – ha preso a prestito dalle generazioni future, e i cui problemi strutturali vengono da molto lontano (si veda a proposito The political economy of Italy’s decline di Andrea Lorenzo Capussela).

Tra gli aneddoti riportati nel libro, Bradanini ricorda l’in- tervento di un accademico cinese in occasione di una cena in Ambasciata, a sostegno della tesi secondo cui l’Italia sareb- be un paese in via di sviluppo, tra la sorpresa degli astanti. Ma basta in effetti leggere i rapporti della Banca Mondiale su tematiche di sviluppo per accorgersi che l’Italia, non pa- ragonabile ai paesi più poveri o agli Stati falliti, presenta in effetti – relativamente ad altri paesi occidentali – fenomeni

tipici di contesti non pienamente moderni, dall’elevata quo- ta di economia sommersa all’evasione ed elusione fiscale di- laganti, dal mancato controllo di intere porzioni del territorio nazionale alla corruzione facilitata da una selva di norme e regolamenti. Soprattutto, almeno un terzo del paese non ha mai conosciuto logiche di accumulazione capitalistica, bensì un’economia di prebende, che entra inevitabilmente in crisi quando diminuisce la spesa pubblica. C’è, d’altro canto, un terzo del paese il cui apparato produttivo ruota attorno al traino tedesco, e che ha saputo approfittare dell’euro per ri- strutturare in maniera efficiente il proprio business. A volte il testo sembra contraddirsi: da un lato, riguardo alla parte- cipazione ai progetti promossi sotto l’egida della Belt and Road Initiative, si afferma che “tenersi alla larga da Bruxelles e contare sulle proprie forze è per l’Italia la strada migliore” (p. 173) – ignorando i problemi di scala che affliggono le aziende italiane quando si confrontano con gli appalti pub- blici delle agenzie multilaterali – , ma dall’altro si riconosce che Pechino presta ascolto all’Italia quando “quest’ultima (talvolta capita) fa sentire la sua voce a Bruxelles sui dossier d’interesse cinese” (p. 193). In verità, Bradanini riconosce an- che i limiti della visione poco lungimirante dei governi ita- liani, non in grado di anticipare i segnali dell’avvento cinese sulla scena globale (ricordiamo che Pechino chiese di acce- dere al GATT nel 1986, ed entrò nell’Organizzazione mondia- le del commercio nel 2001).

Non mancano nel testo alcune imprecisioni (ad esempio, l’Asian Infrastructure Investment Bank non è “il principale veicolo di finanziamento” della Belt and Road Initiative - p. 173), e l’editore avrebbe potuto curare meglio alcuni passag- gi dell’editing (le fonti online sono indicate con il mero URL, e viene inserita una casa editrice in un elenco di autori le cui opere vengono passate in rassegna). E se a volte – non es- sendo un libro accademico – ci si chiede a quale pubblico si rivolga l’autore, la risposta finale è forse la migliore possibile: al cittadino italiano, sovente così poco informato su temi di politica estera, che desideri apprendere da un osservatore privilegiato in quale direzione procedano non solo la Cina, ma anche l’Italia, l’Europa, il mondo e tutti noi. 

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