II.1 Un processo ancora sessualmente differenziato
«Il processo di socializzazione è imprescindibilmente alla base della vita della società, in quanto è il modo attraverso il quale l'uomo diventa un essere sociale a tutti gli effetti.»180 Infatti,
«ogni società garantisce il proprio futuro e la propria sopravvivenza attraverso la capacità di incidere sulla formazione degli individui e soprattutto delle nuove generazioni»181. La
socializzazione consiste nella trasmissione della cultura caratterizzante una società, ossia di valori, sistemi simbolici e norme, mediante l'educazione della persona finalizzata al suo adeguato inserimento in strutture e reti di relazioni sociali, come la famiglia, la scuola e il lavoro. «Per questo motivo la socializzazione implica l'esistenza di soggetti socializzatori, che mediano tra l'individuo e il sistema sociale»182 e puntano a integrare il primo al secondo. In particolare,
la socializzazione al genere è il processo che educa maschi e femmine alle identità e ai ruoli di genere socialmente accettati, condivisi e attesi e fa sì che essi li interpretino nel modo più congruo possibile.
L'attuale pratica socializzativa si presenta ancora strettamente connessa allo schema di genere dicotomico ed eterosessuale e all'impianto stereotipico che quest'ultimo porta con sé. Infatti, non solo appare utopica la prospettiva di un'educazione completamente indifferenziata e neutrale che vada oltre il genere crescendo femmine e maschi in modo del tutto paritario, ma risulta tale purtroppo anche l'aspirazione ad impartire una formazione quantomeno libera dai più tradizionalistici stereotipi di genere. Se ciò non è ancora possibile la causa risiede nel fatto che le istituzioni socializzatrici, come famiglia e scuola, sono portatrici di una cultura di genere ancora fortemente basata sull'impostazione binaria e antitetica e sull'interpretazione standardizzata e conservatrice delle identità e dei ruoli di genere. Gli attori socializzatori, innanzitutto genitori e insegnanti, subiscono, anche inconsapevolmente, l'influenza culturale di luoghi comuni e pregiudizi: essi sono condizionati dalla conoscenza del sesso dell'individuo con cui si rapportano poiché questa attiva una serie di associazioni di genere prevalentemente semplicistiche e convenzionali che li orienta verso scelte sessualmente differenziate e
180I. Crespi, Processi di socializzazione e identità di genere. Teorie e modelli a confronto, Milano, Franco Angeli
2008, p. 11.
181Ibidem. 182Ibidem.
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specifiche nei confronti di coloro che hanno innanzi. Oltre a ciò, si può ipotizzare che i soggetti con funzione socializzativa siano al contempo intenzionati a trasmettere le identità e i ruoli di genere che reputano consoni al sesso dell'individuo da formare, in quanto hanno a propria volta accettato e, almeno parzialmente o inconsciamente, condiviso e attuato le interpretazioni di genere correnti.
Tale meccanismo è grave nella misura in cui contribuisce a riprodurre disuguaglianze sociali tra maschi e femmine anche dove naturalmente non sono presenti, ad esempio a livello di percezione di sé, di percezione ed esercizio delle proprie capacità, di scelte scolastiche e successivamente lavorative, di assunzione dei ruoli familiari e di accesso alle risorse in ogni ambito sociale. Infatti, come si vedrà nel terzo capitolo dedicato propriamente alle discriminazioni tra uomo e donna, l'impostazione di genere assunta e condivisa, ma anche quella consciamente rifiutata e che, nonostante ciò, continua ad agire in maniera implicita, influiscono sull'esistenza quotidiana delle persone all'interno della società. In altre parole, l'interpretazione socio-culturale delle identità e dei ruoli di genere e la presenza dei corrispettivi stereotipi orientano in maniera decisiva, e talvolta impercettibilmente sottile allo stesso tempo, la socializzazione, provocando conseguenze negative come lo squilibrio di risorse materiali e simboliche, oltre che di possibilità.
Di seguito approfondiamo brevemente le due premesse dalle quali partire per comprendere il modo in cui gli attori socializzatori, primi tra i quali i genitori, intraprendono il processo di socializzazione al genere nei confronti delle nuove generazioni.
Per prima cosa, come già accennato, è opportuno tenere in considerazione il fatto che, da una parte, gli adulti presuppongono una concezione di genere socialmente e culturalmente preimpostata che spesso mettono in pratica senza neppure essere intenzionati a farlo. Ciò vale in particolar modo per le convinzioni, per lo più semplicistiche, che essi assumono inconsciamente e che quindi emergono in maniera sottile, indiretta, istintiva e non mediata. Questa è la tesi proposta da Fine in Maschi = femmine. Contro i pregiudizi sulla differenza tra
i sessi183 e sostenuta mediante una corposa esposizione di studi che dimostrano proprio il
verificarsi di associazioni implicite nella mente umana e l'influenza che queste esercitano sulle scelte e sui comportamenti. Ella scrive:
se tutte le nostre azioni e i nostri giudizi nascessero da credenze e valori meditati e consapevolmente avallati, allora non solo il mondo sarebbe un posto migliore, ma anche questo libro sarebbe molto più breve. Gli psicologi sociali che hanno chiarito il modo in cui i processi impliciti ed espliciti
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interagiscono per formare percezioni, sentimenti e comportamento sottolineano l'importanza di capire "che cosa accade nella mente senza un'autorizzazione esplicita". E questo è particolarmente importante quando le associazioni implicite non concordano con le convinzioni più moderne della mente conscia. Gli atteggiamenti impliciti giocano un ruolo importante nella nostra psicologia. Essi distorcono la percezione sociale, si insinuano nel nostro comportamento, influenzano le nostre decisioni: e tutto ciò, senza che ce ne accorgiamo.184
Infatti, sebbene si manifesti una formale parità di diritti tra uomini e donne, gli squilibri e le discriminazioni continuano ad esistere e questo ci suggerisce la presenza di una frattura tra quanto si afferma e quanto si fa, tra quanto si crede di pensare e quanto si pensa:
oggigiorno nelle società sviluppate maschi e femmine agli occhi della legge - e senza dubbio agli occhi della maggior parte dei genitori - nascono con lo stesso status e hanno diritto alle stesse opportunità. Tuttavia questo atteggiamento egualitario è molto recente ed è riflesso in modo inadeguato nella distribuzione del potere politico, sociale, economico e talvolta persino personale tra i due sessi.185
È manifesto che femmine e maschi vengano cresciuti ed educati secondo modalità diverse, le quali fanno capo a riferimenti di genere oppositivi e standardizzati. Spinte da specifici ideali di genere e dalle correlative aspettative sociali, «le menti dei genitori sono cambiate solo parzialmente. Senza averne intenzione, e senza rendercene conto, forse valutiamo bambini e bambine in modo differente, e per qualità differenti, già a poche ore dalla nascita.»186
Dall'altra parte, allo stesso tempo, è necessario tenere conto del fatto che spesso i soggetti socializzatori tendono a considerare ovvie e naturali le fondamentali connotazioni di genere e, proprio per questo, ad attuarle anche intenzionalmente al fine di trasmetterle alle nuove generazioni. La motivazione di tale socializzazione volontaria non risiede chiaramente nell'intento di perpetuare le discriminazioni tra uomini e donne, ma in quello di rispondere ad un'esigenza sociale e culturale profonda: la diversificazione dei due sessi e la loro immediata riconoscibilità. Infatti, come abbiamo già spiegato in precedenza, la dimensione di genere è particolarmente rilevante per la società, nel cui profondo si radica. Non a caso, l'appartenenza di sesso e quella di genere costituiscono le informazioni che per prime cerchiamo di desumere, anche involontariamente, quando incontriamo qualcuno. Esse rappresentano insieme ancora una valida e fondamentale linea di demarcazione attorno a cui si coordina l'esistenza e dalla
184Ivi, p. 238. 185Ivi, p. 240. 186Ivi, pp. 240-241.
72 quale, quindi, le persone difficilmente prescindono.
Per quanto possano apparire sempre più aperti e paritari, informali e perfino caotici, i mondi della vita quotidiana, così come quelli della famiglia, dello sport, della scuole e del lavoro, sono organizzati ancora oggi, nelle società occidentali come in quelle orientali, nel Sud come nel Nord del mondo, in base ad alcuni confini fondamentali: quelli che separano, facendoli vivere fianco a fianco, gli uomini e le donne, i bambini e le bambine. [...] Senza forzatura alcuna, possiamo facilmente renderci conto del fatto che le differenze di "genere" - e cioè quelle differenze sociali e culturali che sono organizzate secondo una logica binaria di appartenenza all'una o all'altra delle due classi sessuali "maschio" e "femmine" - rimangono tra quelle più salde ed importanti, sia per la riproduzione della struttura sociale, sia per la gestione delle nostre identità.187
L'ordine di genere ha la caratteristica di essere rigidamente dualistico in quanto assume come riferimento la polarità sessuale biologica: tale schema a specchio non ammette sfumature o sconfinamenti, nonostante la realtà sia in definitiva estremamente variegata rispetto alle uniche due possibilità stereotipate che il modello concede. L'equivocità non è dunque positivamente accettata nella nostra società, anzi, essa mette a disagio e confonde perché non consente a chi la incrocia di trovare una corrispondenza tra sesso e genere e, di conseguenza, di modulare coerentemente le proprie aspettative e i propri comportamenti. In altre parole, poiché è socialmente accettato e condiviso sviluppare attese e atteggiamenti diversificati secondo il sesso e il genere degli individui con i quali si ha a che fare nella vita di tutti i giorni, pratica che appunto presuppone un'identificazione precisa e inequivocabile tra l'appartenenza sessuale e quella di genere, allora di fronte ad una condizione che sia di accennata incertezza o di totale indecifrabilità ci si trova in difficoltà. Per queste ragioni culturali, i genitori non possono e non vogliono correre il rischio del mancato riconoscimento sociale del sesso del proprio figlio e del genere ad esso corrispondente. Dal momento che la società in cui gli stessi attori socializzatori sono cresciuti si aspetta coerenza tra sesso e genere e chiarezza nel comunicare tale coincidenza, essi considerano naturale questo ragionamento, tanto da essere i primi a ritenerlo un'esigenza imprescindibile.
Tenendo dunque in considerazione che la socializzazione, sia formale che informale, parte da precise presupposizioni culturali di genere e veicola, volontariamente e involontariamente, identità, ruoli e stereotipi ad esse connessi, passiamo ad analizzarne alcune fasi. In tale percorso facciamo riferimento a numerosi esperimenti citati da Fine188 che risultano molto utili al fine di
187R. W. Connell, Questioni di genere, cit., p. 7.
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esemplificare alcuni aspetti del processo educativo e socializzativo.
Esso ha inizio ancor prima che il neonato venga alla luce in quanto parte dalla mente dei genitori. In questa fase di attesa il bambino esiste già nel loro immaginario, infatti essi si domandano, ad esempio, se sarà femmina o maschio, a chi assomiglierà e cosa farà nella vita. Naturalmente, nell'ottica di un tale fantasticare, ciò che ha davvero fatto la differenza è stata la possibilità di conoscere il sesso del feto prima del parto, poiché questa innovazione «ha permesso di anticipare le operazioni di costruzione e definizione della sua identità di genere»189.
In questo modo, i genitori possono maturare delle aspettative di genere nei confronti del futuro nascituro, alle quali far corrispondere comportamenti e decisioni coerenti.
Immaginare o sapere il sesso del bambino prima della nascita produce delle attese basate sul genere solitamente stereotipate, le quali sono state confermate da un sondaggio svolto da Emily Kane nel 2006 su quarantadue genitori190: ipotizzare che il neonato sarà un maschio porta
a configurarsi un futuro nel quale si interagirà con un bambino attivo e amante dello sport, mentre se la protagonista della fantasia è una femmina ci si aspetta l'instaurazione di un legame affettivo forte e intimo. Similarmente, nel 1988 la sociologa Barbara Rothman ha condotto una ricerca su un gruppo di madri191 attraverso le cui interviste ha messo in evidenza che, tra di esse,
quelle ignare del sesso del feto descrivevano quest'ultimo in maniera neutrale, invece quelle consapevoli di tale attribuzione tendevano già a definire i maschi come attivi, vigorosi ed energici e le femmine come non violente, non troppo energiche e non eccessivamente attive, riproponendo dunque la dicotomia stereotipica di genere.
Significativo è anche l'esito di uno studio condotto sugli annunci di nascita nel 2004 dai ricercatori della McGill University, che hanno analizzato all'incirca quattrocento annunci di questo tipo pubblicati da coppie di genitori su due giornali del Canada192. Quello che emerge è
il diverso sentimento emotivo espresso a seconda del sesso del nascituro: orgoglio per un maschio, felicità per una femmina. Viene suggerito dagli studiosi «che la nascita di una figlia susciti con più forza quei sentimenti caldi e indistinti che hanno a che vedere con l'attaccamento, mentre il maggiore orgoglio per la nascita di un figlio deriva dalla convinzione inconscia che un maschio migliorerà la posizione nel mondo sociale»193. Inoltre, secondo una ricerca condotta
nel 2002 da John Jost194, gli annunci di nascita dei maschi vengono pubblicati in misura
189E. Ruspini, Le identità di genere, cit., p. 63.
190C. Fine, Maschi = femmine. Contro i pregiudizi sulla differenza tra i sessi, cit., pp. 233-236. 191Ivi, p. 237.
192Ivi, pp. 238-239. 193Ibidem.
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superiore a quelli delle femmine. È dunque lecito riflettere e interrogarsi: «oggi non pensiamo che un sesso sia più importante dell'altro; tuttavia, a livello implicito, è possibile che i maschi continuino a essere tenuti in maggior considerazione?»195
La scoperta del sesso consente, oltre che di maturare aspettative circa il carattere del futuro bambino, anche di scegliere i colori, i vestiti, gli arredi e i giochi considerati socialmente più adeguati ai maschi e alle femmine. Ciò fa emergere la presenza di norme sociali implicite orientate secondo il genere, alle quali difficilmente ci si sottrae. Infatti,
sarà capitato a ognuno di noi di dover comprare un regalo per un nascituro: chi ha optato per un vestitino rosa o per un bambolotto se il bambino è maschio? Quanti hanno cercato di mettere in forse l'identità di genere culturalmente condivisa (ciò che noi pensiamo sia "giusto", "adatto", "appropriato" per un bambino o una bambina) con un dono "poco conveniente"?196
È dunque chiaro che «le associazioni di genere dei genitori sono già consolidate ben prima che il futuro padre possa persino concepire l'idea di un figlio»197 e che «le convinzioni riguardo
al genere - sia consce che inconsce - stanno già forgiando le aspettative sugli interessi e sui valori del bambino che verrà, condizionando la percezione che la madre ha dell'esserino scalciante dentro di lei, e plasmando la comunicazione della madre con il nascituro.»198
Dopo la nascita l'approccio socializzativo non cambia, continuando a riportare una costante e radicata dualità di genere, oppositiva e stilizzata. Ne è impregnato, innanzitutto, l'ambiente fisico di cui i bambini sono circondati: i colori, gli abiti e i giocattoli sono fattori tangibili in cui si può toccare con mano la diversificazione sessuale. Ad esempio, la stanza e gli oggetti maschili sono solitamente più azzurri, mentre quelli femminili più rosati. Inoltre, i vestiti sono fatti per comunicare esplicitamente l'appartenenza di genere in quanto i genitori «non vogliono sentirsi chiedere continuamente se il loro piccolo è un bambino o una bambina: tale domanda sorge in caso di ambiguità»199, ambiguità indesiderata per gli adulti e, ancor prima di
loro, intollerabile per la collettività. Nell'ambito materiale rientrano anche tutti gli strumenti con cui i bambini interagiscono, compresi i libri e i media più in generale. Tali mezzi socializzativi risultano ancora intrisi di una concezione di genere tradizionalista, ossia delle semplificate e convenzionali schematizzazioni con cui i generi vengono pensati e rappresentati; essi veicolano pertanto messaggi distinti in base al sesso di bambini e ragazzi.
195Ivi, p. 239.
196E. Ruspini, Le identità di genere, cit., p. 63.
197C. Fine, Maschi = femmine. Contro i pregiudizi sulla differenza tra i sessi, cit., p. 238. 198Ibidem.
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Per quanto riguarda le preferenze di gioco tra maschi e femmine, si evincono sia fasi di uniformità sia fasi di marcata differenziazione di genere, la quale cresce all'aumentare dell'età. La ricerca condotta nel 2009 dalla psicologa Gerianne Alexander e dai suoi colleghi200 ha messo
in luce che i bambini già durante i primi due anni di vita, alla fine dei quali sviluppano la capacità di capire la propria appartenenza sessuale, tendono a interessarsi a giocattoli e a modalità di gioco tipici del proprio genere, tuttavia essa ha evidenziato anche la presenza di momenti dedicati all'interazione con giocattoli caratteristici dell'altro genere. Si è scoperto
che le bambine erano meno interessate al camioncino: lo fissavano meno volte della bambola e meno volte di quanto non facessero i maschietti. Inoltre è stato riscontrato in laboratorio che a un anno di età maschi e femmine - quando vengono presentati loro automobiline, bambole, set di trucco e così via - giocano in modo sessualmente stereotipato. Uno studio, per esempio, ha riscontrato che i maschietti di un anno giocavano più a lungo con dei giocattoli da bambino rispetto alle femmine, mentre le femmine giocavano più a lungo con i giocattoli da bambina rispetto ai maschi. [...] Nonostante le differenze di genere osservate in questo particolare studio, [...] i maschietti trascorrevano comunque il 37% del loto tempo totale di gioco con dei giocattoli da bambina (rispetto al 46% del tempo passato con i giocattoli da bambino). Alla stessa maniera, un altro studio condotto su bambini di un anno ha riscontrato che, anche se i maschietti giocavano maggiormente con i giocattoli da bambino, i due sessi trascorrevano una quantità di tempo simile con i giocattoli da bambina e c'erano le stesse probabilità che scegliessero una palla, una bambola o un'automobilina tra gli oggetti offerti dallo sperimentatore.201
Similarmente, l'indagine Istat del 2011 sulla vita quotidiana dei bambini202 mette in risalto
che nella fascia compresa fra i tre e i dieci anni vi sono forti preferenze di gioco stereotipate in base al genere. Ad esempio, emerge che il 74,6% delle femmine gioca con le bambole e il 50,6% con pupazzi e peluches, mentre tali attività vengono svolte rispettivamente solo dall'1,8% e dal 16,1% dei maschi; viceversa, di questi ultimi il 61,1% gioca con automobiline, trenini e similari e il 32,5% con giocattoli rappresentanti mostri, contro il 5,6% e il 2,4% delle coetanee che fanno lo stesso. Sono ben più numerosi i bambini che giocano a calcio rispetto alle bambine: infatti, si contano il 68,7% da un lato e il 19,5% dall'altro. Invece, è superiore la quantità di femmine che intraprende giochi che inscenano attività domestiche: si tratta del 43% rispetto al 15,1% dei maschi. Differenze molto minori si riscontrano su attività che concernono i videogiochi, le costruzioni e i puzzle, i giochi da tavolo, i giochi di ruolo, i giochi di movimento come ballare,
200C. Fine, Maschi = femmine. Contro i pregiudizi sulla differenza tra i sessi, cit., pp. 250-251. 201Ivi, p. 251.
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pattinare, andare in bicicletta, giocare a palla, ecc., l'uso di plastilina e pongo, gli strumenti musicali, gli animali domestici, il disegno e le figurine. Questi ultimi sono giochi comuni a entrambi e, infatti, meno stereotipati sessualmente. Tuttavia, all'aumentare dell'età di bambini e ragazzi corrisponde l'amplificarsi di preferenze sempre più differenziate in tal senso.
Che tali tendenze sessualmente tipizzate siano il frutto della trasmissione di una determinata interpretazione di genere socio-culturale da parte dell'ambiente in cui i figli crescono viene confermato sopratutto dalla ricerca sopra riportata, riguardante i bambini da zero a due anni: «il motivo è che i bambini così piccoli, per quanto ne sappiamo, non sono consapevoli del loro sesso d'appartenenza, e dunque non possono basare il proprio comportamento su ragionamenti del tipo Io sono una bambina e le bambine non giocano con i
camioncini.»203 Dunque, se essi esplicitano preferenze tipiche del proprio genere e non lo fanno
consapevolmente, ciò può essere causato o da predisposizioni biologiche o dall'influenza del contesto culturale, ipotesi che appare più plausibile in quanto sappiamo che l'ambiente è intriso di una specifica impostazione di genere che veicola in ogni suo ambito, anche indirettamente. Senza dubbio, infatti, è decisivo in tal senso il contributo esterno di genitori e parenti che, come già espresso poc'anzi, si attendono dal nuovo arrivato l'espressione di un'identità di genere socialmente accettata e condivisa e corrispondente alla sua anatomia genitale, motivo per il quale tendono a indirizzarlo verso un tipo di percorso sessualmente definito. Non possiamo fare a meno di evidenziare l'assiduità con cui i familiari propongono al bambino giocattoli e giochi considerati peculiari del suo sesso e alla base dei quali vi è un preciso e atteso ideale di genere. Le persone appartenenti al nucleo familiare, ma successivamente anche gli insegnanti, possiedono una chiara idea delle identità di genere maschili e femminili e le trasmettono mediante la proposta di oggetti materiali appropriati, oltre che con atteggiamenti e comportamenti consoni, come vedremo successivamente.
A indirizzare i bambini e le bambine verso un certo tipo di gioco è lo stesso atteggiamento di genitori