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Società benefit: un modello “alternativo”

Il 17 aprile 2015 è stato presentato al Senato il disegno di legge n. 1882 avente per oggetto «disposizioni per la diffusione di società che perseguono il duplice scopo di lucro e di beneficio comune» con il quale si presentava la volontà di inserire all’interno dell’ordinamento italiano le cosiddette Società Benefit132.

L’iniziativa è stata promossa da un gruppo di parlamentari di maggioranza133 che

hanno definito l’Italia «il paese capofila nella diffusione di società con scopo di beneficio comune», in quanto primo in Europa (e ad oggi ancora l’unico) ad aver adottato tale disciplina. Successivamente, il disegno di legge ha acquisito forza legislativa grazie all’inserimento nella legge di stabilità 2016134, il cui contenuto è

stato trasfuso in un insieme di 9 commi (dal 376 al 384)135.

Con l’entrata in vigore della legge di stabilità 2016 sono state introdotte nell’ordinamento italiano le Società Benefit, ossia società che, attraverso l’esercizio di un’attività economica, affiancano al perseguimento dello scopo lucrativo obiettivi di sostenibilità sociale e ambientale136. La disciplina mira a

promuovere la costituzione di società caratterizzate da una “duplice finalità”, ossia

132 Analoga proposta di legge è stata presentata anche alla Camera dei Deputati

(n. 3321) da Silvia Fregolent, in data 23 settembre 2015.

133 Tra cui il Sen. Mauro Del Barba, principale precursore e coordinatore del

progetto di legge. Giova evidenziare che l’iniziativa per la presentazione del disegno di legge è stata sostenuta anche da Navita s.r.l., prima impresa italiana ad ottenere la certificazione di Benefit Corporation rilasciata dall’ente internazionale no profit B-Lab (di cui poi ne è diventata partner) (v. https://nativalab.com/b-corp).

134 L. n. 208 del 28 dicembre 2015, pubblicata nella Gazzetta ufficiale 30 dicembre

2015, n. 302, S.O., entrata in vigore il 01 gennaio 2016.

135 D.LENZI, Le Società benefit, in Giur. comm., 2016, I, 894, descrive l’intervento

normativo come «passato un po’ in sordina».

56 lo scopo di dividere gli utili tra i soci e «l’obiettivo di migliorare l’ambiente naturale e sociale nel quale operano, riducendo o annullando le esternalità negative o meglio utilizzando pratiche, processi di produzione e beni in grado di produrre esternalità positive»; inoltre si aspira che tali società «si prefiggano di destinare una parte delle proprie risorse gestionali ed economiche al perseguimento della crescita del benessere di persone e comunità, alla conservazione e al recupero di beni del patrimonio artistico e archeologico presenti nel luogo ove operano o sul territorio nazionale, alla diffusione e al sostegno delle attività culturali e sociali, nonché di enti ed associazioni con finalità rivolte alla collettività e al benessere sociale»137.

Storicamente le forme societarie previste dalla legge e il processo decisionale delle stesse sono basati sulla creazione di valore per i soli soci, interpretata nei termini di massimizzazione dell’utile, da cui deriva la successiva distribuzione. Tali compiti sono concretizzati dagli amministratori attraverso il potere decisionale di cui sono investiti e da cui deriva la responsabilità degli stessi nel caso di mancato perseguimento degli obbiettivi statutari.

La novità introdotta dalla legge di stabilità 2016 riguarda l’inserimento nello statuto di obiettivi di beneficio comune che sono considerati “aggiuntivi” rispetto al classico obiettivo di divisione degli utili derivanti dall’esercizio dell’attività economica. La previsione statutaria, sebbene non incompatibile con la legislazione preesistente, poteva creare incertezze e sbarramenti in fase di registrazione presso le camere di commercio138. Così l’introduzione delle Società

Benefit concretizza giuridicamente la possibilità di perseguire molteplici finalità (di lucro e di beneficio comune) investendo, da un lato, gli amministratori di più ampia

137 V. il comunicato alla Presidenza del Senato del 17 aprile 2015, che illustra il

d.d.l. n. 1882 (d’ora in poi Relazione illustrativa)

57 discrezionalità nei poteri decisionali, e dall’altro, garantendo agli stessi la possibilità di agire non più soltanto nei confronti dei soci (nell’ottica tradizionale dell’esclusivo fine di massimizzare il profitto), ma anche nei confronti di tutti coloro che - in modo negativo o positivo - sono “toccati” dall’attività svolta. Sono poi i soci stessi a valutare sia le «performance economico-finanziarie», come nelle società tradizionali, sia «le performance qualitative e il raggiungimento degli obiettivi di beneficio comune dichiarati»139.

La nuova Società Benefit cambia il classico modello economico e imprenditoriale delle società e, attraverso le sue caratteristiche, vengono attribuite «legittimità e certezza giuridica a un nuovo modo di fare impresa»140 che

va oltre alla già conosciuta “responsabilità sociale d’impresa” (ossia «l’integrazione su base volontaria dei problemi sociali e ambientali delle imprese nelle loro attività commerciali e nelle loro relazioni con altre parti»141), in quanto

la considerazione da parte della società di problematiche di carattere sociale, ambientale o, più in generale, di beneficio comune costituiscono ora parametro di riferimento vincolante e valido nella determinazione degli indirizzi gestionali142, e

non più solamente mera discrezionalità subordinata - alla fin fine - alla stessa massimizzazione del profitto per gli shareholders.

Taluni hanno osservato che «all’origine della nascita delle Benefit Corporation americane e della volontà di importarle nell’ordinamento giuridico italiano c’è l’intenzione di alcune start up di non tradire il movente originale della decisione di fare impresa: sentirsi parte sana di un sistema complesso

139 Così la Relazione illustrativa, cit., p. 2.

140 ASSONIME, La disciplina delle società benefit, Circolare n. 19 del 20 giugno

2016.

141 Tale è l’originaria definizione di corporate social responsability accreditata in

ambito comunitario nel Libro Verde: promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, COM (2001) 366 del 18 luglio 2001.

58 mantenendo la propria indipendenza economica»143. Perciò si può sostenere che

è stato introdotto un modello “alternativo” e innovativo di società che permette di soddisfare l’esigenza di utilizzare tradizionali strutture e modelli per esercitare l’attività economica (con paradigmi imprenditoriali lucrativi) accompagnata dalla volontà di contribuire con il proprio operato a migliorare (o, comunque, a non peggiorare) l’ambiente e la società in cui la stessa è attiva; tutto ciò è sostenuto dal fatto che Società Benefit è una “qualifica” - e non una nuova forma giuridica - che possono assumere le società lucrative o mutualistiche previste dal c.c.144.

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