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I soggetti legittimati ad agire

In caso di contrasto tra medico e fiduciario sull’interpretazione o applicazione delle DAT, la legittimazione ad adire il giudice tutelare spetterà, anzitutto, al fiduciario stesso, che deve fare tutto quanto è nelle sue possibilità per garantire il rispetto della volontà del rappresentato.

Ulteriori indicazioni sui soggetti legittimati ad agire innanzi al giudice tutelare si debbono rinvenire dall’analisi della disposizione di cui all’art. 4, 5° comma, l. 219/17. Il legislatore non ha direttamente individuato il giudice competente a decidere la questione, né il rito da seguire, né ha individuato i soggetti legittimati ad adire il giudice, ma si è limitato a fare rinvio a quanto stabilito nell’art. 3, 5° comma.

Pare quindi potersi affermare che il legislatore non abbia voluto differenziare la platea dei legittimati ad agire a seconda che il conflitto nasca in presenza o in assenza di DAT.

Si deve pertanto ritenere, e la soluzione pare ragionevole, che la legittimazione ad agire relativamente alle questioni di interpretazione ed applicazione delle DAT spetti a tutti i soggetti indicati nel 5° comma dell’art. 3.

In caso di contrasto tra fiduciario e medico in ordine all’applicazione delle DAT, quindi, devono ritenersi legittimati ad agire, oltre al fiduciario, il rappresentante legale della persona interessata, il medico, la struttura sanitaria ed i soggetti di cui agli articoli 406 e seguenti del codice civile, ossia il coniuge della persona incapace o la persona stabilmente convivente con lui, i suoi parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo, nonché il pubblico ministero.

La circostanza secondo cui il pubblico ministero ha il potere di promuovere i giudizi di cui all’art. 3, 5° comma e 4, 5° comma, significa che, ai sensi dell’art. 70 c.p.c. il suo intervento nelle cause suddette è sempre necessario, a pena di nullità, ed ai sensi dell’art. 71 c.p.c. deve pertanto essere posto in grado di intervenire, tramite la comunicazione degli atti di causa47.

perplessità il fatto che le Linee guida citate attribuiscano al medico, ad un tempo, la qualità di parte del giudizio in caso di conflitto con il fiduciario (o con il rappresentante dell’incapace) e la qualità di consulente/informatore, soprattutto se si pensa che la relativa pronuncia potrebbe assumere rilevanza in un’eventuale giudizio di responsabilità del medico stesso per violazione della volontà dell’incapace.

47 Nello stesso senso v. M. NOCCELLI, La cura dell’incapace tra volontà del paziente, istituti di tutela ed organizzazione del servizio sanitario, in <www.federalismi.it>, al

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Ai sensi dell’art. 72 c.p.c., inoltre, nelle cause che avrebbe potuto proporre, il P.M. ha gli stessi poteri delle parti, ivi incluso quello di proporre impugnazioni48.

La partecipazione del P.M. nelle cause aventi ad oggetto la tutela della volontà del soggetto incapace e l’interpretazione/applicazione delle DAT appare opportuna e la scelta del legislatore è quindi condivisibile, in considerazione della delicatezza e rilevanza degli interessi in gioco e dei valori coinvolti. Si ricorda, poi, che nel caso Englaro, a tutela del soggetto incapace, e per contrastare eventuali conflitti di interesse del suo tutore (che nella specie agiva innanzi al giudice tutelare al fine di ottenere il riconoscimento della volontà dell’incapace di interrompere le cure), la Cassazione49 ha preteso l’integrazione del contraddittorio nei confronti di un curatore speciale da nominarsi ex art. 78, 2° comma, c.p.c.

Alla luce di tale approdo dovrebbe ritenersi che nei giudizi relativi alla interpretazione e applicazione/disapplicazione delle DAT, così come nei giudizi di cui all’art. 3, 5° comma, debba sempre essere integrato il contraddittorio nei confronti di un legale rappresentante dell’incapace o di un curatore speciale nominato ai sensi dell’art. 78 c.p.c., in quanto litisconsorte necessario (quanto meno qualora non si ritenesse sufficiente, come ha mostrato di fare la Cassazione nella pronuncia succitata, il coinvolgimento della figura del protutore, ove presente).

Una soluzione diversa, nel senso della superfluità della nomina di un curatore speciale per l’incapace e della sua necessaria partecipazione al giudizio, potrebbe trarsi, ora, dalla necessaria partecipazione del pubblico ministero. Non è previsto che il fiduciario debba informare i congiunti dell’incapace dello sviluppo della malattia, sicché, specialmente nel caso in cui il fiduciario sia anche tutore dell’incapace, terzi soggetti potrebbero rimanere ignari di quanto accade e degli sviluppi processuali della vicenda relativa al proprio congiunto, rimanendo di fatto impossibilitati a promuovere eventuali giudizi o ad intervenirvi.

Ci si potrebbe chiedere, poi, se tutti i soggetti che sopra si è individuati come muniti di legittimazione ad agire in caso di contrasto tra fiduciario e medico

seguente link < https://bit.ly/2AE4hCu>; in senso contrario cfr. le Linee guida per l’applicazione della l. 219/17 predisposte da Trib. Mantova, 13 aprile 2018, cit. 48 Si ricorda che nel caso Englaro l’impugnazione del P.M. avverso la decisione resa dalla Corte di appello di Milano in sede di rinvio successivamente alla pronuncia di Cass. 21748/07, cit., è stata dichiarata inammissibile da Cass., sez. un., 13 novembre 2008, n. 27145, Foro it., Rep. 2008, voce Pubblico ministero civile, n. 2; Famiglia e dir., 2008, 1085, con nota di F. TOMMASEO, Procedimenti camerali e impugnazioni del Pubblico Ministero: davvero inammissibile il ricorso per Cassazione proposto nel caso Englaro?

49 Cfr. Cass., ord. 20 aprile 2005, n. 8291, Foro it., 2005, I, 2359, con nota di G. DE MARZO, cui si rinvia per ulteriori riferimenti.

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dispongano di qualche strumento processuale per contestare l’interpretazione delle DAT (e la conseguente loro applicazione/disapplicazione) compiuta concordemente dal medico e dal fiduciario.

La lettera dell’art. 4, 5° comma, l. 219/17, facendo riferimento alle ipotesi di «conflitto tra il fiduciario e il medico», parrebbe escludere una simile possibilità, verosimilmente sulla base di un bilanciamento in cui il diritto di autodeterminazione esercitato dall’incapace tramite le DAT e la nomina del fiduciario è stato considerato prevalente rispetto al diritto dei congiunti del malato a non perdere il rapporto parentale, nonché rispetto al loro interesse ad esprimersi in ordine al percorso terapeutico.

L’accordo tra medico e fiduciario, tuttavia, non garantisce sulla conformità della decisione assunta alla volontà dell’incapace, in quanto le DAT, come ogni documento, sono suscettibili di interpretazione.

Pare d’altra parte indubbio che i congiunti dell’incapace abbiano il diritto a non perdere ingiustamente il proprio caro ed abbiano, specularmente, interesse a far sì che la vita di questo non si protragga per effetto dell’applicazione di terapie che egli non avrebbe voluto. Per evitare che (o quanto meno per limitare i casi in cui) le DAT vengano applicate male (e quindi la volontà dell’incapace sia frustrata), nonché per evitare che simili fatti pregiudizievoli, sia pure incolpevolmente, si producano ad opera del fiduciario e del medico come conseguenza di un’errata (ma concorde) interpretazione/applicazione delle DAT, dovrebbe sostenersi che sia da riconoscere in capo ai soggetti di cui all’art. 3, 5° comma, l. 219/17, o quanto meno al rappresentante legale dell’incapace (ove diverso dal fiduciario) o ad un curatore speciale, la

possibilità di contestare, ricorrendo al giudice tutelare,

l’applicazione/disapplicazione delle DAT posta in essere concordemente da medico e fiduciario (con una forzatura della lettera della legge operata sulla base di un’interpretazione guidata dal principio costituzionale di tutela della libertà, della dignità e della volontà dell’incapace, nonché sulla base del principio di ragionevolezza).

Un argomento a sostegno del riconoscimento della legittimazione ad agire innanzi al giudice tutelare in capo ai soggetti suddetti anche in caso di accordo tra medico e rappresentante dell’incapace (sia esso il fiduciario o il soggetto di cui all’art. 3, 5° comma), al fine di contestare le scelte di quest’ultimo, può ricavarsi anche dalla lettura dell’art. 410, 2° comma, c.c., secondo il quale, in caso di scelte o di atti dannosi ovvero di negligenza dell’amministratore di sostegno nel perseguire l’interesse del beneficiario, quest’ultimo, il P.M. ed i soggetti di cui all’art. 406 c.c., possono ricorrere al giudice tutelare. Parrebbe irragionevole non riconoscere una simile possibilità ai medesimi soggetti in caso di scelte relative al fine vita assunte da parte del rappresentante dell’incapace. Si consideri, peraltro, che la stessa l. 219/17 fa riferimento alla figura dell’amministratore di sostegno (ed alla relativa disciplina) là dove,

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nell’art. 4, 4° comma, prevede che, «nel caso in cui le DAT non contengano l’indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia divenuto incapace, le DAT mantengono efficacia in merito alla volontà del disponente» e «in caso di necessità, il giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di sostegno, ai sensi del capo I del titolo XII del libro I del codice civile».

L’ampliamento della platea dei legittimati ad agire per la verifica della corretta attuazione delle DAT anche in caso di accordo tra fiduciario e medico tutelerebbe i congiunti ed il malato stesso anche da eventuali comportamenti scorretti del fiduciario, magari dettati da cinico interesse (conflittuale con quello del rappresentato).

Potrebbe d’altra parte sostenersi, però, che il legislatore ha costruito la figura del fiduciario, attribuendo al disponente il potere di indicare una persona di sua fiducia, proprio nell’ottica di garantire al disponente stesso di affidare efficientemente ad una ed una sola persona la attualizzazione, interpretazione e la tutela delle sue volontà, in virtù di un inutitus personae particolarmente forte.

Consentire a terzi soggetti di instaurare un giudizio avente ad oggetto l’interpretazione e l’applicazione/disapplicazione delle DAT in mancanza di disaccordo tra medico e fiduciario (e quindi contro la volontà espressa dal fiduciario) rischierebbe pertanto di svuotare di senso la figura ed il ruolo del fiduciario stesso e inevitabilmente potrebbe avere ripercussioni negative sullo stesso malato, a causa del protrarsi del tempo in cui rimarrebbe sottoposto a cure magari non volute, nelle more del giudizio.

La riflessione su tale aspetto della disciplina va quindi approfondita, tenendo sempre presente che la corretta interpretazione/applicazione delle DAT si traduce in una questione di vita o di morte per l’incapace, oltre che di rispetto della sua dignità e volontà.

L’alternativa all’ampliamento dell’accesso al giudizio tutelare suddetto sembrerebbe da rinvenirsi nel sollevamento di una questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, 5° comma, l. 219/17, analoga (sia pure nella diversità delle fattispecie) a quella di cui a Trib. Pavia, ord. 24 marzo 2018, cit.50. 7. Il rito camerale.

50 Si segnala che M. PICCINNI, op. cit., 1121, commentando il provvedimento di Trib. Pavia citato nel testo, ha affermato che nei casi in cui «non c’è contrasto tra la prospettiva del personale curante e quella del soggetto chiamato a ‘fare le veci’ del paziente (secondo l’espressione utilizzata dall’art. 4, 1° comma, l. n. 219/2017), l’intervento giudiziario sembra a chi scrive inutile o, addirittura, dannoso, e quindi da escludere».

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Abbiamo visto che il legislatore ha espressamente rimesso alla cognizione del giudice tutelare51 le questioni inerenti la tutela della volontà (relativa ai trattamenti sanitari da ricevere) dell’incapace che non ha lasciato DAT e le

questioni relative alla risoluzione di possibili contrasti sulla

interpretazione/applicazione delle DAT stesse (art. 3, 5° comma e art. 4, 5° comma, l. 219/17).

Nei relativi giudizi troverà quindi applicazione la disciplina del rito camerale, di cui agli artt. 732 e 737 ss. c.p.c. 52.

Si tratta di un processo (meglio, di uno schema di processo) a cognizione sommaria, semplificato, in cui le forme del contraddittorio non sono predefinite, in cui il giudice ha rilevanti poteri istruttori53, dominato dall’assoluta discrezionalità del giudice nella determinazione delle sue modalità di svolgimento (quindi non regolato dalla legge) 54, destinato a

51 Le Linee guida predisposte da Trib. Mantova, 13 aprile 2018, cit., affermano che il giudice territorialmente competente, «in difetto di indicazioni normative, vada individuato nel giudice del luogo in cui ha il domicilio il soggetto della cui situazione giuridica si discute», e, a quanto si evince, ritengono che il giudice tutelare debba decidere in composizione monocratica, affermando che «quanto alla forma, il Giudice Tutelare emetterà un decreto, eventualmente munito della clausola di cui all’art. 741 c.p.c. Occorre sottolineare che, in caso di contrasto tra i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale sul minore circa gli interventi sanitari da praticare, dovrà essere invece proposto da costoro ricorso al Tribunale in composizione collegiale ai sensi dell’art. 316 c.c. ai fini della composizione del conflitto esistente fra di essi». 52 La riflessione della dottrina processualcivilistica sul processo camerale è stata (ed è) ricchissima. Si veda, ex multis, A. CARRATTA, voce Processo camerale (diritto processuale civile), in Enciclopedia del diritto - Annali III, Milano, 2010, 928 ss.; ID., I procedimenti cameral-sommari in recenti pronunce della Corte costituzionale, in Riv. trim dir. e proc. civ., 1992, 1049 ss.; A. PROTO PISANI, I diritti e le tutele, ESI, 2008, 190 ss.; ID., Lezioni di diritto processuale civile, cit., 663 ss.; L. LANFRANCHI, La roccia non incrinata, Giappichelli, 2011, passim; L. MONTESANO, «Dovuto processo» su diritti incisi da giudizi camerali e sommari, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1989, 915 ss.; V. DENTI, La giurisdizione volontaria rivisitata, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1987, I, 431 ss.; L.P. COMOGLIO, Difesa e contraddittorio nei procedimenti in camera di consiglio, in Riv. dir. proc., 1997, 719 ss.; F. TOMMASEO, Giudizi camerali de potestate e giusto processo, in Famiglia e dir., 2002, 233 ss.; R. TISCINI, L’accertamento del fatto nei procedimenti con struttura sommaria, in <www.judicium.it>, 2010, passim.

53 Cfr., ex multis, E. FABIANI, I poteri istruttori del giudice civile, ESI, 2008, 668 ss. Con specifico riferimento ai giudizi camerali di cui alla l. 219/17, si vedano le Linee guida predisposte da Trib. Mantova, 13 aprile 2018, cit., secondo cui «ove ritenuto necessario, il Giudice Tutelare potrà dare corso ad una istruttoria anche in forme semplificate, eventualmente ricorrendo ad ausiliari o informatori tecnici».

54 Si veda, in questi termini, A. PROTO PISANI, I diritti e le tutele, cit., 215 ss., ove si legge che «gli unici aspetti di questo processo predeterminati dalla legge sono: la forma del ricorso con cui i provvedimenti sono richiesti (art. 737 c.p.c.); la necessità, ove siano di competenza di un giudice collegiale, della nomina di un giudice relatore ‘che riferisca in camera di consiglio’ (art. 738, comma 1, c.p.c.); la necessità, ove debba essere sentito il pubblico ministero, che gli atti siano comunicati allo scopo di

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concludersi (di norma) con un decreto motivato reclamabile e in ogni tempo modificabile e revocabile (quindi non idoneo ad acquisire la definitività ed immutabilità propria del giudicato formale e sostanziale). La struttura di tale procedimento è congeniale alla trattazione di questioni di c.d. volontaria giurisdizione, ossia a quella che è stata definita come una sorta di amministrazione del diritto privato, avente ad oggetto la gestione di interessi privati e non controversie su diritti o status55.

Al contrario, «il proprium del processo a cognizione piena predisposto per la tutela giurisdizionale dei diritti e degli status si coglie nella predeterminazione legislativa delle forme e dei termini (e dei corrispondenti poteri, doveri e facoltà processuali delle parti e del giudice) in tema di allegazioni relative a domande, eccezioni e fatti, di meccanismi di conoscenza del fatto, di termini a difesa delle parti nei vari momenti del processo. Strettamente coerente a queste caratteristiche, e alla previsione di mezzi di impugnazione, è lo sfociare del processo a cognizione piena nel giudicato formale e sostanziale»56.

Come abbiamo già visto supra, pare oramai pacifico (in virtù dell’evoluzione giurisprudenziale culminata nella nota Cass. 21748/07 e della successiva l. 219/17) che le questioni devolute al giudice tutelare dagli articoli 3 e 4 della l. 219/17 abbiano ad oggetto l’accertamento della volontà dell’incapace e la tutela del suo diritto soggettivo a vedere rispettata la propria volontà ed autodeterminazione in ordine ai trattamenti diagnostici e sanitari da ricevere al ricorrere di determinate situazioni di fatto ed in presenza di determinate patologie. Tali controversie possono vedere contrapposti il medico, il P.M., il rappresentante dell’incapace, gli altri soggetti di cui all’art. 406 c.c., il

‘stendere le sue conclusioni in calce al provvedimento del Presidente’ (art. 738, comma 2, c.p.c.); il potere del ‘giudice’ di ‘assumere informazioni’ (art. 738, comma 3, c.p.c.); la forma di decreto motivato del provvedimento conclusivo, ‘salvo che la legge disponga altrimenti’ (art. 737 c.p.c.); la reclamabilità del decreto innanzi al giudice superiore entro il ‘termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto, se è dato in confronto di una sola parte, o dalla notificazione, se è dato in confronto di più parti’ (art. 739, commi 1 e 2, c.p.c.), nonché da parte del pubblico ministero (contro i decreti del giudice tutelare e quelli del tribunale per i quali è necessario il suo parere) entro dieci giorni dalla comunicazione (art. 740 c.p.c.); la pronuncia sul reclamo nelle stesse forme del procedimento conclusosi con il decreto reclamato (art. 739, comma 1, c.p.c.); l’irreclamabilità dei decreti della corte d’appello e di quelli del tribunale pronunciati in sede di reclamo (art. 739, comma 3, c.p.c.); l’efficacia dei decreti emanati in sede di reclamo e (salvo ragioni di urgenza) dei decreti di primo grado solo quando sono decorsi i termini per proporre reclamo (art. 741 c.p.c.); la modificabilità e revocabilità in ogni tempo dei decreti, con la salvezza però dei ‘diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca’ (art. 742 c.p.c.); la applicabilità di tali regole ‘a tutti i procedimenti in camera di consiglio, ancorché […] non riguardino materia di famiglia o di stato delle persone’ (art. 742-bis c.p.c.)».

55 Cfr., ex multis, C. MANDRIOLI-A. CARRATTA, Diritto processuale civile, IV, XXIV ed., Giappichelli, 2015, 399.

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fiduciario del malato incapace e, comunque, quale litisconsorte necessario, un suo curatore speciale ex art. 78 c.p.c. (almeno se, come notato, non lo si consideri oggi superfluo in ragione della presenza del P.M. - cfr. Cass., ord. 20 aprile 2005, n. 8291, cit.).

Secondo quanto osservato supra (v. § 5), poi, potrebbe sostenersi che i procedimenti promossi ai sensi degli artt. 3 e 4, l. 219/17 potrebbero avere un oggetto anche più ampio e complesso, qualora venissero contestualmente esperite azioni di condanna.

È d’altra parte un fatto ricorrente ormai da decenni che il procedimento camerale sia utilizzato (scelto dal legislatore) per la decisione di vere e proprie controversie su diritti soggettivi, tanto da essere stato definito come «contenitore neutro»57.

Tale prassi, anche legislativa, è aspramente criticata da parte di autorevole dottrina, ancor più alla luce del novellato art. 111, 1° comma, Cost., ai sensi del quale «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge»58, ma sia la Corte costituzionale59, sia la Corte di cassazione60, hanno

57 Si veda A. CARRATTA, La procedura camerale come «contenitore neutro» e l’accertamento dello «status» di figlio naturale dei minori, in Giur. it., 1996, I, 1, 1300.

58 Cfr., ex multis, G. COSTANTINO, Tutela dei diritti e regole del processo, in Riv. dir. proc., 2017, 1431, il quale rileva che «imposta l’applicazione del procedimento sommario di cognizione o del procedimento camerale, la determinazione delle regole del processo è affidata alla discrezione del giudice senza alcuna possibilità di accesso ad un processo con regole predeterminate» e fa notare che ciò stride con il principio costituzionale secondo cui il processo, per essere giusto, deve essere regolato dalla legge; A. PROTO PISANI, I diritti e le tutele, cit., 237, secondo cui «la procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c., da sola (cioè non accompagnata dalla possibilità di ricorso in ogni tempo alla cognizione piena), è strutturalmente e funzionalmente inadeguata ad assicurare la tutela giurisdizionale dei diritti e degli status: sul piano strutturale perché non garantista, sul piano funzionale perché non consente il formarsi del giudicato (formale e sostanziale)»; G. VIGNERA, Saggio polemico sul procedimento ‘volontario’ ex artt. 737 ss. c.p.c., in <www.judicium.it>, passim; ID. Riserva di legge ex art. 111, comma 1°, Cost. e rito camerale uniforme), in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2012, 551 ss.

59 Si veda, ad es., Corte cost. 27 giugno 1975, n. 202, in <www.cortecostituzionale.it>, sull’art. 9 l. 898/1970, in materia di modifica delle condizioni dello scioglimento del matrimonio, per la quale «il procedimento in camera di consiglio non è, di per sé, contrastante con il diritto di difesa»; Corte cost. 30 gennaio 2002, n. 1, Foro it., 2002, I, 3302, con nota di A. PROTO PISANI, Battute d’arresto nel dibattito sulla riforma del processo minorile, che, relativamente all’art. 336, comma 2 ̊, c.c., nel testo allora vigente, in riferimento all’ordinanza di rimessione che aveva ritenuto che «l’applicabilità del rito camerale violi l’art. 111 Cost., in relazione al principio per cui il ‘giusto processo’ deve essere regolato dalla legge, per l’assenza in quel rito di una precisa e puntuale disciplina dei poteri del giudice e delle parti, cui non potrebbe

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