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I sognatori: il Moro, il Trovati, Cravero, Signor Unverdorben, D’Agata

Arriviamo infine, all’ultimo punto di questo capitolo riguardo il problema dei personaggi ne La Tregua, analizzando le figure che Levi ci mostra nel capitolo « I sognatori ».

Sono queste pagine solcate da significati diversi e sovrapposti; il gusto del ritratto a tutto tondo s’unisce al fascino sottile del racconto, a suo modo fantastico, di piccole biografie d’eccezione, ed infine, nella scoperta di ossessioni diverse e comuni ad un tempo, al senso vivo della pietà.314 Così Grassano presenta i personaggi del capitolo, che formano i compagni di camerata di Levi quando si ammala a Katowice, stravaganti e quasi fiabeschi di cui si nota la “follia, più o meno scoperta”315 che li caratterizza. L’autore ne parla con ironia e con il solito occhio naturalista e interessato alle sfaccettature dell’animo umano; caratteristiche che tratta con rispetto e che spesso donano ai suoi personaggi una dimensione fantastica. Infatti i compagni di camerata di Levi sono circa una ventina ma di questi prende in esame solo alcuni, come nel capitolo de « I sommersi e i salvati » di Se questo è un uomo.

Il primo che viene presentato è il Moro di Verona, che introduce appunto come il “personaggio di maggior formato”316 come a sottolinearne questo carattere romanzato. Lo descrive come un “gran vecchio scabro dall’ossatura da dinosauro”317, arrabbiato con tutti, compreso se stesso e grande bestemmiatore, lo scrittore lo paragona a un cavallo per la forza con cui si

314 GRASSANO G., cit., p. 54

315 GUIZZI A., cit., p. 89

316 LEVI P., Opere I, cit, p. 287

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tiene. Viene presentato per la sua “grandezza bieca”318, e paragonato a Capaneo e Calibano, due personaggi, il primo mitologico presente anche nella

Divina Commedia di Dante319 e il secondo tratto da un’opera di Shakespears:

La Tempesta.

Che fosse cinto da una disperata demenza senile, non v’era dubbio: ma c’era grandezza in questa sua demenza, e anche forza, e una barbarica dignità, la dignità calpestata delle belve in gabbia, la stessa che redime Capaneo e Calibano.320

Poi troviamo Ambrogio Trovati, detto Tramonto come nome d’arte di cui il personaggio va molto fiero e che gli calza alla perfezione. Non distingue più il vero e il fantastico a causa delle frustrazioni della sua vita fallita321, infatti “nei suoi discorsi, il vero, il possibile e il fantastico erano intrecciati in un groviglio vario e inestricabile.”322 Il teatro diventa una valvola di sfogo323 ma anche l’immagine del grande nemico che lo perseguita e complotta contro di lui:

Il teatro, a sua volta, era un simbolo oscuro, uno strumento tenebroso di perdizione, la manifestazione esterna di una setta sotterranea, malvagia e onnipresente, che impera a danno di tutti, e che viene a casa tua, ti prende, ti mette una maschera, ti fa diventare quello che non sei e fare quello che non vuoi. Questa setta è la Società: il gran nemico, contro cui lui Tramonto aveva combattuto da sempre, e sempre era stato sopraffatto, ma ogni volta era eroicamente risolto.324

Il suo soprannome è Tramonto, perché la Società, attraverso due messaggeri lo aveva ingannato, gli avevano rubato tutto, persino l’immagine e le parole;

318 GUIZZI A., cit., p. 89

319 Presente nell’Inferno fra i bestemmiatori contro Dio nella parola .

320 LEVI P., Opere I, cit, p. 288

321 GRASSANO G. cit., p. 54

322 LEVI P., Opere I, cit, p. 289

323 GUIZZI A., cit., p. 89

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“erano stati loro a farlo tramontare e a battezzarlo Tramonto”325. Il Trovati aveva ucciso uno dei due messaggeri e raccontava e riviveva il suo processo “in una sorta di sacra rappresentazione”326.

Incontriamo in seguito Cravero, di Torino, “mediocre furfante”327 che ha girato di prigione in prigione e ha cercato di truffare anche la famiglia dello scrittore. Levi ne parla con semplice ironia e lo descrive come un personaggio sui

generis, come se fosse l’emblema di un modo di vivere:

Il terzo di San Vittore, il torinese Cravero, era invece un furfante compiuto, incontaminato, senza sfumature, di quelli che è raro trovare, e in cui sembrano prendere corpo e figura umana le astratte ipotesi criminose del codice penale. Conosceva bene tutte le galere d’Italia, e in Italia aveva vissuto (senza ritegno, anzi con vanto) di furti, rapine e sfruttamento.328

Un altro sognatore per eccellenza lo troviamo nel personaggio del Signor Unverdorben, anch’egli “prigioniero di un sogno, anzi di due”329 come il Moro e Tramonto. Si tratta di un “mite ometto di Trieste”330, un musicista incompreso che ha dovuto lasciare il mondo dell’arte per aver copiato quattro battute del

Pagliacci nella sua opera lirica La regina di Navarra, anche se “la sua buona fede era ovvia, lampante, ma su queste cose la legge non scherza. Tre battute sì, quattro no. Quattro battute sono un plagio.”331 Così ha lasciato l’arte ed è andato sui transatlantici di linea, cosa che gli ha permesso di esplorare “mitici mondi”332. Levi davanti a questa figura ha, come suo solito, un occhio

325 LEVI P., Opere I, cit, p. 290

326 Ibid.

327

GRASSANO G. cit., p. 54

328 LEVI P., Opere I, cit, pp. 290-291

329 Ibid. p. 292

330 GUIZZI A., cit., p. 89

331 LEVI P., Opere I, cit, pp. 292

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interessato, da studioso, cercando, per l’appunto, di trarne delle conclusioni, una spiegazione:

È questo il frutto più immediato dell’esilio, dello sradicamento: il prevalere dell’irreale sul reale. Tutti sognavano sogni passati e futuri, di schiavitù e di redenzione, di paradisi inverosimili, di altrettanto mitici e inverosimili nemici: nemici cosmici, perversi e sottili, che tutto pervadono come l’aria. Tutti, ad eccezione forse di Cravero, e certamente di D’Agata.333

D’Agata, un muratore siciliano, è l’ultimo delle figure presentate in questo capitolo, ed è anche l’unico che riesce a rendere reale il suo fantomatico nemico, incarnato nel “terrore delle cimici”334. Aveva preso l’abitudine di dormire di giorno e restare sveglio contro il muro di notte per combattere questo nemico che lo tormentava. Interessante il modo in cui Levi analizza la paura del suo compagno, con pietà ma anche invidia, in quanto “fra tutti noi, D’Agata era il solo il cui nemico fosse concreto, presente, tangibile, suscettibile di essere combattuto, percosso, schiacciato contro il muro”.335 Possiamo vedere come siano presentati attentamente questi personaggi che sono

esemplari a loro modo esaustivi di una umanità sconfitta, oppressa dal passato, o, ugualmente, ossessionata da impossibili riscatti, comunque esiliata dalla storia che si sta mettendo in moto336.

Come per il primo libro, Se questo è un uomo, Levi presenta varie tipologie di personaggi, che testimoniano delle personalità o delle condizioni di vita che vanno al di là della persona stessa. Per questo motivo le figure dei suoi libri, anche grazie al linguaggio usato e ai paragoni con il mondo animale, hanno

333 LEVI P., Opere I, cit, pp. 293-294

334 Ibid. p. 294

335 Ibid.

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una doppia dimensione, in quanto si tratta di personaggi reali che subiscono una torsione allegorico-esemplare.

Possiamo quindi dedurre che questi personaggi sembrano corrispondere a un'idea darwiniana dei rapporti di forza fra gli attori della vicenda umana, che circolava già nel romanzo naturalista ottocentesco, in cui venivano rappresentati gli ambienti più disagiati, ai margini della società per denunciarne le ingiustizie. In questi rapporti di forza vige la regola del più forte, nel quale non esiste il torto o la ragione che solo la legge può distinguere, ma solo l’istinto di ciascuno a difendersi, anche rifacendosi sulla vita altrui. Questa visione viene rappresentata anche da Levi attraverso le figure dei salvati ma anche la figura del Greco che esprime questa lotta dell’uomo contro l’uomo. Un altro fattore che avvicina la scrittura dell’ex deportato torinese al romanzo naturalistico è l’impostazione scientifica della narrazione senza i sentimentalismi tipici del romanticismo. Tuttavia l’autore nella sua narrazione, non utilizza il metodo dell’impersonalità, per cui egli non dovrebbe intervenire nel corso della narrazione; infatti egli vive le esperienze che racconta, gli incontri che fa durante la detenzione e il ritorno, e nonostante il carattere scientifico lascia capire al pubblico il suo giudizio, sia in modo esplicito, sia in modo implicito.

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