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Il Sol Levante sulla tavola italiana: intervista allo chef

Nel documento Cultura Commestibile (pagine 124-128)

Capitolo V: Tra tradizione e innovazione

5.3 Il Sol Levante sulla tavola italiana: intervista allo chef

Dopo aver analizzato la conoscenza e la percezione che ha il consumatore italiano della cucina giapponese, è stata svolta un’intervista53 a uno chef giapponese attivo in Europa e Italia dagli anni novanta. Lo chef Tatsumoto Katsuya, dopo essere stato cuoco all’interno della marina militare giapponese, aver lavorato presso il mercato ittico di Ōsaka e in diversi ristoranti giapponesi, ha iniziato a svolgere il ruolo di cuoco prima in Spagna e poi in Italia, a Milano, dove nel 2001 fonda l’Associazione Culturale Tōzai che ancora oggi costituisce un importante ente di mediazione tra la cultura giapponese e quella italiana promuovendone l’interazione e lo scambio, incentrandosi in particolare sulla gastronomia. Lo chef Tatsumoto infatti non limita la sua attività a quella di cuoco, ma insegna l’arte culinaria giapponese, in particolare la preparazione di sushi e sashimi, agli italiani con corsi di gruppo e individuali anche a domicilio. L’intervista si è svolta via e-mail in lingua italiana e comprende diciannove domande sull’attività svolta dallo chef, sulla cucina giapponese tradizionale e in quale forma sia arrivata in Italia.

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5.3.1 Non solo sushi

L’attività dello chef Tatsumoto si concentra principalmente sull’insegnamento e sulla preparazione di sushi per i clienti italiani. La sua infatti non è solamente un’attività di ristorazione, ma anzi mira precipuamente alla diffusione e alla miglior comprensione di quella che è la cucina giapponese e delle sue caratteristiche principali. Alla domanda “Come pensa di aver contribuito alla diffusione della cucina giapponese in Italia?” lo chef ha infatti risposto: “Penso in modo positivo, infatti il mio lavoro non si svolge in un ristorante, ma invece insegno, diffondendo la cucina giapponese in questo paese”.54

Tuttavia, nonostante l’attività di innumerevoli chef che come lui contribuiscono alla diffusione del Giappone sulle tavole italiane, quella che è la cucina “autentica” rimane confinata in gran parte al suo paese d’origine, principalmente perché, come sostiene lo chef “non è facile trovarla e costa tanto, ma cerchiamo di avvicinarla ai clienti del luogo adattandola in alcune caratteristiche importanti”. Come si è visto, vi sono tuttavia moltissimi metodi per adattare una cucina al gusto di un nuovo paese, dagli ingredienti alle preparazioni, dalle ricette alla presentazione. Lo chef Tatsumoto attua questo processo di creolizzazione culinaria “trasmettendo il messaggio che nel paese di origine si mangia bene tanto quanto in quello di arrivo. Si deve conoscere anche tutto del cibo del paese che ci ospita per essere in grado di creare un equilibrio tra i due gusti con le caratteristiche che hanno in comune”, facendo avvicinare quindi le due gastronomie e mettendo in risalto i sapori comuni.

Avendo lavorato in diversi sushi bar in Giappone, afferma che l’arte della preparazione del sushi sia la sua specialità e ne offre infatti diverse tipologie nel suo menù. I clienti italiani sembrano infatti prediligere i piatti a base di sushi su tutti quelli facenti parte della gastronomia giapponese, tanto da rappresentare la pietanza di punta della sua attività. Tuttavia il cliente giapponese ordina più di frequente piatti a base di brodo o pasta, quindi zuppe, udon e ramen. In questo caso quindi trovano riscontro i risultati tratti anche dal sondaggio: il consumatore italiano associa la cucina giapponese prevalentemente al sushi, quando invece per quello giapponese è molto più variegata e sfumata. Nonostante ciò lo chef ritiene che il sushi sia decisamente il piatto giapponese più rappresentativo della gastronomia nipponica all’estero.

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125 Tra i vari piatti che si possono trovare nei ristoranti giapponesi in Italia, alcuni sono rielaborati e modificati per meglio adattarsi al gusto del consumatore italiano, altri invece rimangono più fedeli alla tradizione tentando di conservare parte della loro “autenticità”. Nel corso dei capitoli precedenti ci si è posti più volte una domanda fondamentale: “In cosa risiede l’autenticità della cucina giapponese?”. Secondo lo chef intervistato, un piatto giapponese può essere considerato autentico solo nel momento in cui è preparato nel paese d’origine, infatti sostiene che “in un paese straniero non sarà mai autentico, anche perché l’acqua e l’aria non possono essere le stesse”. L’autenticità risiederebbe quindi negli ingredienti che se non coltivati sul suolo giapponese, con tecniche autoctone, perdono l’elemento che li rende tipicamente nipponici. Anche l’acqua gioca un ruolo fondamentale in quanto, essendo la cucina giapponese “una cucina che elimina gli eccessi e aggiunge il minimo indispensabile, in modo che il condimento non copra il cibo”, la qualità del suo sapore influenza in maniera decisiva quello della pietanza: zuppe, brodi, tè e perfino qualsiasi prodotto bollito risentono nel loro sapore della qualità dell’acqua, come i vegetali della terra e dell’aria. Una simile autenticità non è quindi esportabile e rimane di conseguenza legata al paese d’origine.

Ciò non significa che non sia possibile gustare la tradizione culinaria nipponica anche in Italia, seppur con un certo grado di variazione. La cucina giapponese è rinomata per essere semplice, ma raffinata, gustosa e al contempo salutare. Lo chef Tatsumoto infatti sostiene che il recente boom della gastronomia nipponica all’estero sia iniziato “a causa del modo di vivere in tutto il mondo che è cambiato: ci sono problemi di obesità, le malattie causate dallo stress, colesterolo… Abbiamo riscoperto il valore della nostra cucina tradizionale che è molto salutare e aiuta anche noi giapponesi stessi”. Nel contesto della nuova era in cui si ricerca sempre più la semplicità, la bontà e soprattutto un’alimentazione salutare, la cucina giapponese ha fornito un mezzo per soddisfare tutti questi requisiti del pasto. Grazie a questo successo a livello internazionale e all’attività di diversi chef giapponesi attivi all’estero, si inizia ad avere sempre più consapevolezza delle caratteristiche fondamentali che rendono la gastronomia giapponese tale.

Si è parlato profusamente delle caratteristiche della tradizione gastronomica giapponese che “è una cucina dove la bellezza del piatto è fondamentale e non serve aggiungere troppi condimenti o sapori eccessivamente forti. L’ingrediente e il suo sapore devono essere naturali” conferendo al piatto una delicatezza che fa risaltare le sfumature dei sapori piuttosto che farne dominare uno solo su tutta la pietanza. Queste caratteristiche di bellezza, semplicità e naturalezza, sono

126 andate a plasmarsi e modificarsi nel tempo, anche a causa dell’influenza esercitata in Giappone dalle gastronomie estere.

Nonostante le nuove ricette e tecnologie importate ad esempio da Cina e occidente, il Giappone ha sempre avuto successo nell’integrare perfettamente ogni nuova pietanza nel sistema culinario autoctono. Infatti piatti come il ramen o il tenpura, derivanti da ricette estere, come si è visto rappresentano per il consumatore italiano piatti tipicamente giapponesi. Secondo lo chef Tatsumoto questo avviene perché “ormai sono passati secoli dall’arrivo del tenpura, quasi nessuno pensa più alla sua origine del sedicesimo secolo. Piatti come il ramen e il curry rice si trovano dappertutto e si mangiano molto spesso. Come per i piatti italiani che utilizzano alcuni ingredienti e ricette che sono state introdotte nei secoli passati, come il pomodoro, il caffè, il riso e tante altre cose. La differenza è che in Italia oggi non c'è più un forte cambiamento, ma la cucina è già stabile, mentre nel paese del Sol Levante sta avvenendo adesso. Credo che nel corso degli scambi internazionali sparirà perfino il nome del paese d'origine di una determinata cucina”.

Attualmente il Giappone sta quindi continuando a vivere diversi cambiamenti non solo a livello gastronomico, dovuti alle influenze della globalizzazione e all’importazione di una moltitudine di nuovi prodotti e nuove cucine. Infatti molti degli alimenti consumati quotidianamente non sono dissimili da quelli popolari in altri paesi, allontanando quindi molte occasioni conviviali da quella che viene considerata la tradizione. Di questi alimenti ve ne sono molti “pane, caffè, vino, latte, come i condimenti, maionese, ketchup… Poi ormai mangiamo anche tanti piatti italiani oltre ad hamburger, wurstel ecc...” e le gastronomie estere che hanno goduto di parecchia popolarità nei diversi periodi sono ugualmente numerose. Prima la cucina cinese, poi quella coreana e più recentemente quella francese e perfino italiana, tutte tradizioni culinarie che hanno in qualche modo esercitato un certo influsso su quella del Giappone e continuano ad esercitarne ancora oggi: “il cibo è legato spesso alla sua cultura, alla moda, come ad esempio, in un certo periodo abbiamo cominciato a mangiare sempre di più italiano, prima ancora che in Italia aumentassero i locali che servivano sushi. Oggi mangiamo molto più italiano di quello che credete. Forse con il crescere dell’interesse, influenzerà ancora la cucina giapponese”. Non è quindi possibile definire un’intera tradizione gastronomica semplicemente elencandone le caratteristiche, in quanto la stessa tradizione si colloca all’interno di un continuo processo di mutamento e scambio reciproco con l’estero. Le tradizioni di diversi popoli e nazioni si influenzano a vicenda, infatti “la stessa cosa che è successa in Giappone con l’introduzione di

127 nuovi ingredienti e ricette, è successa anche al di fuori dell'arcipelago”.

Nel documento Cultura Commestibile (pagine 124-128)

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