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Sonno e apprendimento

CAPITOLO 2: IL SONNO

2.5 Sonno e apprendimento

Tra le teorie che cercano di spiegare le funzioni del sonno e delle quali abbiamo accennato all’inizio del capitolo, abbiamo quella dell'omeostasi sinaptica che sostiene l'idea che il sonno sia il prezzo pagato dal cervello per la plasticità, che è la capacità del cervello di cambiare la sua struttura (Hennevin, Huetz, & EdelinE, 2007). Gli autori di questa teoria sostengono che durante un episodio di veglia l'apprendimento richiede un rafforzamento delle connessioni in tutto il cervello, il che aumenta il fabbisogno cellulare di energia. Durante il sonno, quindi, l'attività neuronale spontanea rinormalizza la forza sinaptica netta e consente lo sviluppo delle reti neuronali, ripristinando anche l'omeostasi cellulare.

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Quindi l’omeostasi coinvolge in maniera diretta le onde lente nel sonno, le quali rinormalizzerebbero la forza sinaptica. Questa ipotesi è supportata da studi su animali che suggeriscono che il potenziamento della rete sinaptica avviene durante la veglia e la depressione durante il sonno. Secondo tale ipotesi, l’esperienza di veglia è accompagnata da un netto aumento della forza sinaptica e le onde lente durante il sonno rinormalizzano la forza sinaptica a un livello base mentre aumentano il rapporto segnale rumore della connessione sinaptica (Murphy, et al., 2011).

Anche gli studi sull’uomo validano tale teoria, come per esempio le ricerche di Tononi e colleghi che hanno lavorato proprio sul significato dell'attività delle onde lente e sulla sua regolazione omeostatica (Tononi e Cirelli, 2003). L'ipotesi è la seguente ed è strutturata in base a quattro step principali:

− primo, la vigilanza è associata al potenziamento sinaptico in diversi circuiti corticali;

− secondo, Il potenziamento sinaptico è legato alla regolazione omeostatica dell'attività a onde lente;

− terzo, l'attività ad onde lente è associata al downscaling sinaptico;

− quarto, il downscaling sinaptico è legato agli effetti benefici del sonno sulle prestazioni (Tononi & Cirelli, 2003).

Quindi, il ruolo che l’attività ad onde lente sembrerebbe avere, è quello di determinare un downscaling su ogni neurone, abbassando in questo modo la forza di tutti i neuroni. Per “downscaling sinaptico” si intende una riduzione proporzionale nella forza di tutte le sinapsi che convergono sullo stesso neurone. In questo modo si ha un beneficio in

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termini di richiesta di spazio ed energia, di apprendimento e memoria.

Infatti, quando ci svegliamo i circuiti neurali preservano una traccia delle precedenti esperienze ma sono anche efficienti nel ricalibrare la forza sinaptica e il ciclo può ricominciare. Il downscaling sembrerebbe determinare un beneficio sull’apprendimento aumentando il rapporto segnale-rumore in circuiti cerebrali rilevanti (Tononi & Cirelli, 2017).

Proprio il fenomeno del downscaling sinaptico in particolare, potrebbe offrire informazioni sui benefici del sonno riguardante l’acquisizione e il consolidamento della memoria (Tononi & Cirelli, 2014).

Anche un altro gruppo di ricercatori, guidati da Dang-Vu, ha dimostrato che l’intensità del sonno è regolata in risposta ai cambi nella forza sinaptica durante la veglia, suggerendo perciò che le SWA siano correlate all’apprendimento e plasticità sinaptica (Dang-Vu, et al., 2008). Nello specifico, gli autori usando simultaneamente EEG e risonanza magnetica funzionale (fMRI), hanno individuato i cambiamenti transitori nell'attività cerebrale associata a onde lente (>

140 V) e onde delta (75-140 V) durante il SWA in 14 volontari umani non privati del sonno. A tali onde sono stati associati significativi aumenti dell'attività di diverse aree corticali, inclusa l’area prefrontale mediale inferiore, precuneo e aree cingolate posteriori. Questo studio dimostra che SWA non è uno stato cerebrale di inattività o riposo, ma piuttosto uno stato attivo durante il quale l'attività cerebrale è costantemente sincronizzata con l'oscillazione lenta in specifici cerebrali regioni. La sovrapposizione parziale tra il modello di risposta relativo alle onde lente e la rete di modalità predefinita di risveglio è coerente con l'affascinante ipotesi che le risposte cerebrali sincronizzate

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con l'oscillazione lenta ripristinano i modelli di attività simili a microrisvegli che facilitano le interazioni neuronali (Dang-Vu, et al., 2008).

Quindi, queste e molte altre prove suggeriscono che il sonno, sia il sonno REM (Stickgold & Walker, 2005) che il sonno ad onde lente (Huber, Ghilardi, Massimini, & Tononi, 2004) può giovare o facilitare l'apprendimento e la memoria (Ambrosini & Giuditta, 2001). Il sonno sembra essere correlato alla plasticità del cervello (Maquet, Schwartz,

& Passingham, 2003) (Tononi & Cirelli, 2006), e la ricerca estesa ha sostenuto l'idea che il sonno migliora la capacità di imparare e ricordare (Walker & Stickgold, 2004). In particolar modo, il sonno ha dimostrato di migliorare la capacità di richiamare la lingua parlata (Fenn &

Nusbaum, 2003), i ricordi spaziali (Ferrara, Iara, & De Gennaro, 2006) (Peigneux, Laureys, & Fuchs, 2004), schemi uditivi (Gottselig, Hofer-Tinguely, & Borbely, 2004) e infine le abilità motorie (Stickgold, 2006), (Peters & Smith, 2007).

Inoltre, l'omeostasi degli SWA ha dimostrato di essere fortemente correlata con il miglioramento delle prestazioni nel compito dopo il sonno, confermando in tal modo un legame tra gli SWA e apprendimento, come riportato da Bellesi (Bellesi, Riedner, Garcia-Molina, Cirelli, & Tononi, 2014).

Espongo solo pochi esperimenti a riprova della connessione tra sonno e plasticità, come i compiti di apprendimento mnemonico condotti dal gruppo di Molle (2004) nel quale gli autori presumevano che l'apprendimento induca specifici cambiamenti nell'attività neuronale durante il sonno e che ciò serva al consolidamento dei ricordi appena

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acquisiti. Per specificare tali cambiamenti, gli autori hanno misurato la coerenza elettroencefalografica (EEG) durante l'esecuzione di un compito di apprendimento dichiarativo (associazioni di coppie di parole) e il sonno successivo. Rispetto a una condizione di controllo, le prestazioni di apprendimento sono state accompagnate da un forte aumento della coerenza in diverse bande di frequenza EEG. Durante il sonno successivo (NREM), la coerenza è aumentata solo marginalmente in un'analisi globale delle registrazioni EEG. Tuttavia, è stato riscontrato un aumento notevole e robusto della coerenza dipendente dall'apprendimento quando le analisi sono state eseguite in modo temporizzato al verificarsi di oscillazioni lente (<1 Hz). In particolare, le semi-onde positive alla superficie dell'oscillazione lenta risultanti dalla depolarizzazione corticale diffusa erano associate a una coerenza nettamente potenziata dopo l'apprendimento nelle bande a oscillazione lenta, delta, a fuso lento e gamma. Quindi i risultati identificano la fase depolarizzante delle oscillazioni lente nell’uomo come un periodo di tempo particolarmente rilevante per il ritrattamento dei ricordi nel sonno (Molle, Marshall, Gais, & Born, 2004).

Anche Pugin sostiene che lo SWA è associato a plasticità corticale perché è regolato localmente in base all’esperienza. In particolare i cambiamenti locali degli SWA di cui parlano sarebbero associati a processi di apprendimento che implicherebbero specifiche regioni del cervello (Pugin, et al., 2015).

Coerentemente con ciò che è stato detto finora si inserisce l’esperimento di Huber (2004), basato sull’apprendimento di un determinato compito motorio compiuto la sera, e che induce un

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aumento locale delle SWA nella corteccia parietale destra durante il successivo sonno. Nell’esperimento i volontari (soggetti normali) apprendevano un determinato movimento di rotazione del polso e venivano testati prima di dormire; venivano poi nuovamente testati per verificare le prestazioni. Il miglioramento delle prestazioni del compito è stato osservato solo su quei soggetti che avevano appreso il compito prima di andare a dormire, mentre quelli che si erano allenati al mattino e sono stati sottoposti al test dopo 8 ore di veglia non mostravano alcun miglioramento. Inoltre, l'aumento post-sonno delle prestazioni era correlato all'aumento locale di SWA nell'area 7 e 40 di Brodmann, aree del cervello che erano state precedentemente evidenziate come coinvolte nel compito di rotazione mediante scansione PET. Entrambe le aree 40 e 70 ricevono input visivi e propriocettivi e sono coinvolti nell’elaborazione delle informazioni sensoriali rilevanti per l’attenzione spaziale. In particolare l’area 7 è fondamentale nel percorso visivo dorsale e processa gli aspetti spaziali della visione correlati ad abilità motorie. Inoltre la specificità dell’emisfero destro evidenziata in entrambi gli esperimenti di EEG e PET è in perfetta sincronia con la specializzazione per compiti spaziali. E il presente lavoro ha dimostrato come le performance in alcuni task percettivi, motori e di categorizzazione migliorino dopo una notte di sonno. Huber e colleghi hanno preso spunto da esperimenti precedenti che indicavano chiaramente l’effetto restaurativo dell’apprendimento percettivo durante il sonno (Mednick, 2002) (Fenn, Nusbaum, & Margoliash, 2003). Perciò gli autori sono riusciti a dimostrare che l'omeostasi del sonno ha in effetti una componente locale, che può essere innescata da

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un compito di apprendimento che coinvolge specifiche regioni cerebrali. Inoltre, si dimostra che l'aumento locale di SWA dopo l'apprendimento è correlato con il miglioramento delle prestazioni dell'attività dopo il sonno. Pertanto, l'omeostasi del sonno può essere indotta a livello locale e può giovare alle prestazioni (Huber, Ghilardi, Massimini, & Tononi, 2004).

Evidenze recenti provengono proprio dal gruppo di ricerca di Huber, in particolare dallo studio di Fattinger (2017) sulla connessione indistricabile tra sonno ad onde lente e apprendimento, dalla ricerca pubblicata su Nature, dal titolo “Deep sleep maintains learning efficiency of the human brain”. Gli autori affermano che il sonno profondo è essenziale per ripristinare la capacità del cervello di apprendere in modo efficiente, specialmente nelle regioni fortemente attivate durante il giorno. Tuttavia, la prova causale negli esseri umani è stata carente a causa dell'incapacità di manipolare la SWA a livello locale. Qui, Fattinger introduce un nuovo approccio al sonno profondo perturbato nella corteccia motoria, in cui la stimolazione acustica è programmata in modo da coincidere esattamente con la fase vulnerabile delle onde lente EEG. Gli sperimentatori hanno preso di mira la SWA nella corteccia motoria primaria (M1), sfruttando i marcatori comportamentali e neurofisiologici noti nella neuroplasticità indotta dall’allenamento motorio. I soggetti dell’esperimento sono stati sottoposti a due sessioni sperimentali in tre diverse valutazioni di apprendimento di una sequenza motoria (toccare il dito) la mattina del giorno 1, la sera dello stesso giorno e la mattina del giorno 2. Durante una sessione sperimentale il sonno è stato perturbato dalla stimolazione

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acustica innescata nelle onde lente locali in M1. I cambiamenti neurali associati all’apprendimento motorio sono stati rilevati mediante stimolazione magnetica transcranica (TMS) e l’eccitabilità corticomotoria è stata quantificata con l’ampiezza delle risposte motorie evocate (MEP), mostrando un notevole aumento e indicando quindi plasticità. Ma non solo, perché anche i marcatori comportamentali di apprendimento motorio hanno mostrato adattamento a più livelli del sistema neuromuscolare. I risultati indicano perciò che entrambi questi marcatori di apprendimento sono significativamente modulati da SWA. Con questo nuovo approccio gli autori hanno dimostrato che una riduzione di SWA in M1 influenza l’apprendimento motorio e le conseguenti risposte adattive del cervello il mattino successivo. (Fattinger, et al., 2017).

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