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Matteo Al Kalak

All’illustre Albano Biondi modenese prima che storico e storico prima che ogn’altra cosa

Caro professore,

La vicenda di Guido e Pindaro Rangoni penso le sarebbe pia-ciuta molto. A suggerirmi di raccontarla a lei è stato un perso-naggio con cui forse ora percorre in lungo e in largo l’oltre-mondo e che, a quanto si legge, le fu in vita tanto caro da ri-vendicarne l’onore.1

Era circa la metà degli anni Settanta del Cinquecento e, men-tre si credeva che Modena e le sue campagne fossero ormai al

* Il caso su cui ci si soffermerà in questa sede è parte di una più ampia ricerca sul movimento eterodosso modenese, i cui risultati sono ora raccolti in M. AL KALAK, L’eresia dei fratelli. Una comunità eterodossa nella Modena del Cinquecento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2011. Queste le sigle usate in nota: ACDF = Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede; ASMO = Archivio di Stato di Modena.

1 Cfr. A. BIONDI, Il Pasquillus extaticus di Celio Secondo Curione nella vita religiosa

italiana della prima metà del Cinquecento, in: Umanisti, eretici, streghe. Saggi di storia moderna, a cura di M. Donattini, Modena, Archivio storico del Comune di

riparo dalle fascinazioni più pericolose del dissenso religioso, un libretto capace di attrarre uomini di ogni condizione e cultura prese a circolare con insospettata intensità. Una caccia senza precedenti mostrò all’Inquisizione quanto l’eterodossia dei mo-denesi fosse radicata, e se libelli e scritti filoriformati erano spesso diventati prove di colpevolezza,2 mai come in quel caso lo sguardo dei giudici si concentrò sui passaggi di mano di uno specifico testo: l’incriminato e sospettatissimo Pasquino in estasi.

La denuncia partì da un parroco preoccupato per la salute del suo gregge. Francesco Magnani, rettore dell’antica chiesa di Santa Maria di Marzaglia, aveva segnalato all’inquisitore Eliseo Capys3 che i nobili Pindaro e Guido Rangoni – padre e figlio4 – erano al centro di un esteso reticolo di contatti e complicità che aveva finito per convogliare tra le mura del loro palazzo i

pa-2 Per il caso modenese sia sufficiente ricordare il ruolo svolto dal Beneficio di

Cristo e dal Sommario della Sacra Scrittura all’interno del movimento eterodosso.

Cfr. per tutti C. GINZBURG-A. PROSPERI, Giochi di pazienza. Un seminario sul

«Beneficio di Cristo», Torino, Einaudi, 1975; gli abbondanti riferimenti alla

diffusione del Beneficio e al coinvolgimento del vescovo Giovanni Morone in Il

processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, a cura di M. FIRPO-D. MARCATTO, Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contempo-ranea, 1981-1995 (ora in nuova edizione), e S. PEYRONEL RAMBALDI, Dai

Paesi Bassi all’Italia. «Il Sommario della Sacra Scrittura». Un libro proibito nella società italiana del Cinquecento, Firenze, Olschki, 1997.

3 Di origini veneziane, Eliseo Capys si formò nel convento della città natale e, per la perizia teologica dimostrata, fu ascritto tra i famigliari dell’arcivescovo di Praga. Prese parte ai lavori del Concilio di Trento. Cfr. J. QUETIF-J. ECHARD, Scriptores ordinis Praedicatorum recensiti, t. II, Lutetiae Parisiorum, apud J.B.Ch. Ballard [et] N. Simart, 1721, p. 179. Qualche nota sul suo inquisitorato bolognese in G. DALL’OLIO, Eretici e inquisitori nella Bologna del Cinquecento, Bologna, Istituto per la storia di Bologna, 1999, pp. 385-388.

4 Pindaro Rangoni, figlio di Guido senior e Anna Valentini, aveva ricevuto dal matrimonio con Violante tre eredi: Fabrizio, Guido junior, e – secondo i costituti inquisitoriali cui ci si rifarà qui di seguito – Ercole, morto in tenera età. Cfr. P. LITTA, Famiglie celebri d’Italia, Milano, Giusti, 1819, Rangoni di Modena, tav. II.

trimoni librari di uomini di dubbia ortodossia.5 Nella dimora nobiliare sulle rive del Secchia avevano trovato rifugio i volumi scampati alla stretta inquisitoriale abbattutasi contro il capitano Tommaso Bonvicino e molti altri dissidenti del distretto di Sas-suolo. La pessima fama che Bonvicino si era acquistato aveva portato all’immediata estradizione del sassolese a Roma, dove era stato giudicato dalla congregazione del Sant’Uffizio e punito probabilmente con un periodo di confino a Malta (1567).6 A sette anni da quella vicenda, che aveva agitato gli inquisitori non meno che la diplomazia estense (Bonvicino era il luogotenente del signore di Sassuolo Ercole Pio),7 incartamenti chiusi e non più riaperti sembrarono riprendere vita.

Era dal 1574 che don Magnani aveva reso noto ai frati di san Domenico i suoi sospetti e non ci volle molto perché emerges-se con chiarezza che i libri erano davvero il centro della trama. Bastò ascoltare la deposizione resa dal prete il 4 febbraio di quell’anno per toccare con mano la pericolosità dei torchi da cui uscivano, più o meno clandestinamente, testi anticattolici e riformati. Il vecchio e malfermo Pindaro Rangoni aveva chiesto

5 La denuncia di don Magnani è in ASMO, Inquisizione, 7, 25 (cfr. in particolare il costituto del 26 febbraio 1575).

6 Su Bonvicino si vedano A. ROTONDÒ, Anticristo e Chiesa romana. Diffusione e

metamorfosi d’un libello antiromano del Cinquecento, in: ID., Studi di storia ereticale del

Cinquecento, vol. I, Firenze, Olschki, 2008, pp. 45-199; A. PROSPERI, Lorenzo

Penni: un incisore calvinista nella Modena del Cinquecento, in: Tracce dei luoghi, tracce della storia. L’Editore che inseguiva la Bellezza. Scritti in onore di Franco Cosimo Panini,

Roma, Donzelli, 2008, pp. 227-238; AL KALAK, L’eresia dei fratelli, cit., pp. 221-226. Per il processo subìto a Roma e le misure che ne seguirono: ACDF,

Sant’Officio, St. St., EE 1-a; ACDF, Sant’Officio, Decreta 1565-1567; ASMO,

Avvisi e notizie dall’estero, 6.

7 A sua volta trattenuto nelle carceri inquisitoriali romane e rilasciato con la promessa di consegnare Bonvicino e gli altri dissidenti che trovavano riparo in territorio sassolese. Cfr. ASMO, Avvisi e notizie dall’estero, 6. Ercole Pio fu signore di Sassuolo dal 1555 al 1571.

al parroco di poter consultare l’Indice dei libri proibiti per far pulizia nella propria biblioteca («voleva vedere se negli suoi libri ne haveva dei prohibiti perché li voleva abbrugiare») e, temendo di essere ormai prossimo alla morte, desiderava – forse per mo-tivi più patrimoniali che spirituali8 – «vivere secondo la santa madre Chiesa». Guido Rangoni, figlio di Pindaro, era stato in-vece assai meno rassicurante, sino al punto di ingaggiare con don Magnani una disputa a dir poco singolare:

Alle volte mi ha domandato che cosa io adopero a fare i miei sermoni allo altare – riportò il parroco – et io li dissi che adope-rava la Catena aurea di San Tomaso, Nicolò da Lira et molti altri sermonarii; il che sentendo detto messer Guido disse: Oimè per-ché non adoperate dei libri moderni come io ne ho visti di quelli del Buonvicino et di don Pietro Giovanni [Monzone], quale furo-no perseguitati dai frati et i quali libri furofuro-no portati a mio frate e a me?9

Nelle intenzioni di Guido, i libri «moderni» di Bonvicino e di don Pietro Giovanni Monzone (personaggio in odore di eresia su cui torneremo) avrebbero dovuto guidare la predicazione del rettore di Marzaglia, quasi a voler riportare la storia ai quaresi-mali cripto-riformati di Bernardino Ochino, Bartolomeo della

8 Motivazioni simili avevano animato gli ultimi istanti di vita di un altro Rangoni – Giovanni –, morto esule a Sondrio religionis causa. Sulla sua vicenda e il ruolo rivestito nella comunità eterodossa modenese, si vedano A. ROTONDÒ, Atteggiamenti della vita morale italiana del Cinquecento. La pratica

nicodemitica, «Rivista storica italiana», LXXIX (1967), pp. 991-1030, ora in: ID.,

Studi di storia ereticale, cit., vol. I, pp. 201-247; C. BIANCO, La comunità di «fratelli»

nel movimento ereticale modenese del ’500, in: «Rivista storica italiana», XCII (1980), pp. 621-679; M. AL KALAK, Gli eretici di Modena. Fede e potere alla metà del

Cinquecento, Milano, Mursia, 2008.

9 Questa e le citazioni precedenti sono tratte da ASMO, Inquisizione, 7, 25, costituto del 4 febbraio 1574.

Pergola e Giovanni Francesco da Bagnacavallo.10 La stagione, per Modena e per l’Italia, era tuttavia un’altra e il parroco pensò immediatamente di riferire ogni cosa agli inquisitori. Che il pre-te non fosse incline a coprire le malefatpre-te degli illustri parroc-chiani risultò subito evidente agli stessi Rangoni, che cercarono di dissuadere il religioso adottando i metodi cui erano soliti ri-correre in occasioni simili. Anticipando di oltre mezzo secolo gli sgherri manzoniani, Guido e Pindaro avevano proceduto a far tenere sotto osservazione don Magnani, ordinando di pian-tonare la sua abitazione giorno e notte. L’inquisitore Desiderio da Modena, nello scrivere ai colleghi ferraresi il 3 gennaio del ’75, consigliava di muoversi con cautela e circospezione perché quei «maligni spiriti i quali vogliono vivere in spiritu libertatis et dire sfazatamente le heresie» iniziavano a sospettare della dela-zione di Magnani («l’hano in sospetto che li habb[i]a deposti al Santo Officio per luterani»): bisognava dunque evitare che il «povero prete» venisse ammazzato «avanti il tempo».11

In un modo o nell’altro le cose dovettero trovare un loro esi-to: don Magnani conservò la sua incolumità e di fronte al cre-scente potere dell’Inquisizione romana la nobile casata dei Rangoni poté ben poco. Come era accaduto a un altro esponen-te della famiglia – quel Giovanni Rangoni che era morto in esi-lio a Sondrio dopo una scomunica più volte procrastinata –, il sacro tribunale riuscì a vincere le ormai tenui resistenze degli Estensi, sempre più minacciati di perdere la loro capitale.12

10 Per la predicazione modenese dei tre si veda Il processo inquisitoriale, cit.; ROTONDÒ, Atteggiamenti, cit., pp. 234 sgg., in part. nota 88 e C. BIANCO,

Bartolomeo della Pergola e la sua predicazione eterodossa a Modena nel 1544,

«Bollettino della Società di Studi Valdesi», CLI (1982), pp. 3-49.

11 La lettera è conservata nell’incartamento contro Guido Rangoni (ASMO,

Inquisizione, 7, 25).

A partire dalla denuncia di Magnani, gli indizi di colpevolezza raccolti dai frati domenicani erano molti: sotto il «portego della ostaria» Guido Rangoni aveva contestato la «indulgentia manda-ta dal papa», coinvolgendo popolani e conmanda-tadini;13 il predicatore Francesco da Cremona, giunto a Marzaglia su mandato del ve-scovo di Modena Sisto Visdomini nella quaresima del 1574, ri-cordava distintamente che Guido «non monstrò un minimo segno di esser christiano, anzi vedendo passar il Santissimo Sa-cramento se ne stava dritto in piedi con il capello alla traversa in testa».14 Quando poi le discussioni con il rettore piegavano ma-le, Rangoni non aveva dubbi sull’argomentazione da addurre: l’autorità da invocare per confutare le tesi del prete era sempre quella dei libri, dei ‘suoi’ libri.15 Per Guido il giorno del giudizio

Rangoni. Da Roma il cardinale di Pisa consigliò prudenza ai giudici modenesi (ASMO, Inquisizione, 7, 25, lettera del 22 maggio 1574); eseguita la cattura da parte del podestà di Modena, quest’ultimo oppose una qualche resistenza alla consegna, tanto da provocare il ricorso di frate Eliseo Capys al segretario ducale Giovanni Battista Nicolucci (ASMO, Inquisizione, 293, lettera del 24 febbraio 1575). Poco dopo il governatore di Modena Antonio Bevilacqua inviava una missiva interlocutoria al sovrano (ASMO, Rettori dello Stato, Modena, 93, lettera del 4 marzo 1575), seguita dalla consegna di Guido Rangoni agli inquisitori il 16 marzo 1575 («Hoggi – scriveva l’inquisitore di Ferrara al duca – m’è stato dato il Rangone con il quale con quella maggior dolcezza et prestezza che giustamente sarà possibile trattarò la causa sua et d’ogni buono successo restarò sempre ubligatissimo a Vostra Eccellentia Illustrissima»; ASMO, Inquisizione, 1, 5, III).

13 ASMO, Inquisizione, 7, 25, costituto di don Francesco Magnani del 14 maggio 1574.

14 ASMO, Inquisizione, 7, 25, costituto del 2 gennaio 1575.

15 Lo ribadì più volte don Magnani: «Messer Guido […] disse che non biso-gnava […] né operare né observare cerimonie de perdono perché erano tutte inventioni de predetti fratri et papi […] Il quale Guido sequitando la sua opi-nione et impugnando la mia mi disse ch’egli haveva alchuni belli libri che in-segnavano il contrario di quello che io insegna […] Messer Guido […] bestemia et fa professione d’amazare pretti et frati. E quanto a me lo tengo

venne presto. Mentre da Roma si soprintendeva all’iter proces-suale, curando che i colpi di coda del dissenso fossero ricondot-ti all’obbedienza, il Sant’Uffizio modenese disponeva l’arresto di Rangoni e avviava gli interrogatori di rito.

Le prime battute, nel marzo del ’75, furono riservate alle di-scussioni che Guido aveva intrattenuto con i contadini di Marza-glia riguardo al «cogliere la semenze di felece» e ai rimedi amorosi smerciati da frati di dubbia onestà.16 Quelle ammissioni non era-no però quanto i giudici volevaera-no sentire. I testimoni escussi e le prove raccolte promettevano molto di più: ai frati bastò pronun-ciare il nome di uno dei complici di Guido – quel don Pietro Giovanni Monzone richiamato sopra – per vedere l’imputato ar-rossire e, di fatto, autodenunciarsi. A quel punto, fu questione di qualche giorno. Il 28 marzo 1575 agli inquisitori si dischiuse la

per homo eretico per haver datto favori al Bonvicino et alli libri suoi et di don Pietro Giovani ambi duoi eretici manifesti et il detto Guido s’è avantato d’haver recapitato li libri de quei eretici publicamente et in più luogi» (ASMO,

Inquisizione, 7, 25, costituto del 26 febbraio 1575).

16 ASMO, Inquisizione, 7, 25, costituto del 18 marzo 1575. Durante la deposizione Guido riferì di un episodio occorso a suo fratello. Un certo frate Bernardino – disse – aveva consegnato a Fabrizio Rangoni una formula da scrivere su un’ostia che, somministrata a una donna, l’avrebbe costretta ad amarlo. Di fronte all’accaduto, Guido portò tutto al suo confessore che gettò nel fuoco gli strumenti magici. Per la diffusione di questi e altri riti stregoneschi in territorio modenese si vedano, nella vasta produzione a riguardo, C. GINZBURG, Stregoneria e pietà popolare. Note a proposito di un processo

modenese del 1519, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», Lettere

storia e filosofia, s. II, XXX (1961), pp. 269-287, ora in ID., Miti emblemi spie.

Morfologia e storia, Torino, Einaudi, 1986, pp. 3-28; A. BIONDI, Streghe ed eretici

nei domini estensi all’epoca dell’Ariosto, in ID., Umanisti, cit., pp. 67-97; ID., La

signora delle erbe e la magia della vegetazione, in Cultura popolare nell’Emilia Romagna,

vol. V, Medicina, erbe e magia, Milano, Silvana Editoriale, 1981, pp. 185-203; M. DUNI, Tra religione e magia. Storia del prete modenese Guglielmo Campana

porta rimasta lungamente serrata e la lingua di Guido si sciolse. Oltre ad Aretino, Erasmo, Alfonso de Valdés e molti libri di umanità, le letture di Rangoni includevano, come i frati sapevano fin dall’inizio, il Pasquino in estasi di Celio Secondo Curione.17

La satira curioniana non era nuova a Modena e vi erano pre-cisi indizi della sua circolazione tra uomini di estrazione sociale e culturale diversa.18 Erano però molti anni che nelle stanze dell’Inquisizione non compariva più lo spettro di Pasquino, e toccò a Guido Rangoni restituirgli carne e sangue: «Ho letto Pa-squino et Morforio in estesi – ammise – e questo è il più nefan-do libro che mai mi habbi letto».19 Anche se l’imputato non se ne rendeva conto, lo sfaldamento di ogni possibile difesa era avviato: a Rangoni non restò che confessare accusando tutti co-loro che, in un modo o nell’altro, lo avevano condotto all’incontro con Pasquino.

Mi ha prestato questo Pasquino in hestesi un preto dei Passari-ni credo che si domanda don Benedetto che sta da San Pietro, homo di statura grande, biondo e bello e credo de ità de 30 anni et […] mi diede questo libro questa estade passata in casa sua di

17 Sul Pasquino mi limito a segnalare, come già in precedenza, BIONDI, Il Pasquillus extaticus, cit., e la ricca raccolta Ex marmore. Pasquini, pasquinisti,

pasquinate nell’Europa moderna. Atti del Colloquio internazionale

(Lecce-Otranto, 17-19 novembre 2005), a cura di C. Damianaki-P. Procaccioli-A. Romano, Manziana, Vecchiarelli, 2006. Per un’analisi della nutrita bibliografia curioniana si veda l’intervento di Lucio Biasiori in questo stesso volume.

18 I processi inquisitoriali modenesi annoverano, tra i fruitori del Pasquino, i tessitori Antonio Maria Ferrara e Paolo da Campogalliano, il bresciano Gian Giacomo Tabita (forse uno stampatore) e Andrea Antonello Luci. Cfr. rispettivamente ASMO, Inquisizione, 7, 4; 3, 15; 3, 12; 3, 34. Al di là delle specifiche occorrenze processuali è verosimile che la satira di Curione avesse una buona circolazione negli ambienti eterodossi cittadini.

19 ASMO, Inquisizione, 7, 25, costituto del 28 marzo 1575, da cui è tratto anche lo stralcio riportato di seguito.

comessione di messer Camillo Cemisello modanese et […] l’urigine di questo libro fu che essendo io a Robiera questa estate passata in casa di messer Camillo Cemisello e dimandandoli io qualche bel libro da legere mi rispose: Se volete vedere il più bel libro del mondo andate da quel prete don Benedetto Passarino da parte mia che vi darà una cosa che molto vi piacerà. E così io an-dai et hebbi detto libro et […] né il prete né quel messer Camillo mi dissero cosa alcuna se non che lo tenesse secreto e così lo ten-ni quindeci giorten-ni et lessi, poi lo rimandai a messer Camillo. E perché da lì a pocco tempo ricercai di nova detto libro da messer Camillo, lui mi rispose che non l’haveva ma che l’haveva dato a uno de Pasini […] Alogiando a Marzaglia in casa de un mio co-gnato il signore Allesandro Orso gentilomo parmesano che studia in Bologna et parlando de varii libri, io le laudai questo Pascquino et lui mi pregò ch’io lo facessi havere et per tal causa io lo do-mandai a messer Camillo et questo giovine de li Orsi disse che ne haveva de li altri prohibiti et che era andato a Venetia a posta per comprarne […] Io sono ignorante ma son homo christiano et ca-tolico perché legendo quel Paschino et udendolo sileratissimo in molte cose, massime de sacramento del altare, io non volsi segui-tare più oltra ma lo resi subito a messer Camillo.

La trama descritta da Rangoni apparve in tutta la sua ampiezza, mostrando un quadro di gravità forse insospettata. Il perno del meccanismo era costituito da Camillo Cimiselli – un nome non affiorato dalle deposizioni di don Magnani – e Guido Rangoni, per quanto pervaso da uno spiccato zelo proselitistico, non rap-presentava che uno dei tasselli di un mosaico decisamente affolla-to. Rangoni si era rivolto su indicazione di Cimiselli a un certo don Benedetto Passerini che gli aveva consegnato il Pasquino. Qualche tempo dopo la restituzione a Cimiselli, Guido aveva re-clamato il libretto nella speranza di poterlo sottoporre a un suo conoscente – Alessandro Orsi –, ma il Pasquino risultò già conse-gnato a un uomo dei Pasini dal solito Cimiselli. A non comparire era invece il più volte citato don Pietro Giovanni Monzone che,

secondo le confessioni di Guido, era stato ospite dei Rangoni quando questi era ancora in tenera età: estraneo al meccanismo di circolazione del Pasquino (ma non di altri libri!), Monzone si do-veva piuttosto considerare un amico di Pindaro Rangoni,20 seb-bene i mesi successivi avrebbero svelato una complicità che sapeva passare di padre in figlio.21

Quando gli inquisitori ebbero chiara la situazione, non restò che avviare a conclusione il processo contro Guido per seguire passo passo le tracce che proprio lui aveva offerto. L’incarta-mento contro Rangoni si sarebbe chiuso la vigilia di Natale con l’abiura dell’imputato e diverse penitenze salutari: in attesa di quel momento era bene non restare con le mani in mano e pre-sto i domenicani iniziarono a vagliare i vari personaggi chiamati in causa dal nobile di Marzaglia.

Appena un giorno dopo la confessione di Rangoni, don Be-nedetto Passerini, cappellano presso il potente e sospettato monastero benedettino di San Pietro,22 comparve davanti al

ve-20 «Mi arcordo anco che già molti anni, già forsi 14 anni, che alogiai a Fossedoda con don Pietro Giovanno sopradetto […] il quale in qui giorni parlò molte cose circa della feda ma io non mi aricordo perché era un putto e so che mi disse di haver libri prohibiti et che lui li legeva et credo ancora che una volta ricercasse mio padre che li salvasse questi libri prohibiti et mio padre non volse e so che mio padre mi ha detto che il detto don Pietro Giovanni haveva molto bene de simili libri» (ASMO, Inquisizione, 7, 25, costituto di Guido Rangoni del 28 marzo 1575).

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