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La spatha del Museo di Aquileia

Nel documento Le armi romane nella decima regio (pagine 139-143)

Tra la collezione dei militaria del museo di Aquileia vi è una lama identificata dal numero di inventario 372324 che si può attribuire ad una spatha piuttosto che ad un gladio date le dimensioni che presenta. Il reperto è in buono stato di conservazione ma è mutilo della parte finale della lama fatto che crea non pochi problemi per l’identificazione dell’arma e che di fatto rende impossibile formulare un’ipotesi di datazione.

La spatha, arma derivata probabilmente dal mondo celtico, si diffonde nell’esercito romano durante il I secolo d.C. come arma in dotazione alla cavalleria dato che le dimensioni maggiorate rispetto al gladio rendevano più facile colpire i nemici appiedati dalla sella del cavallo.

Spathæ di questo periodo sono state rinvenute a Rottweil in Germania e a Newstead in Inghilterra e, anche se in alcuni casi frammentarie, hanno una lunghezza compresa tra i 62,2 cm e i 76,8 cm e una larghezza compresa tra i 3 cm e i 3,5 cm184.

I ritrovamenti sembrano indicare che durante il II secolo d.C. le spathæ si allunghino maggiormente, testimoni di ciò sono due lame rinvenute a Canterbury lunghe rispettivamente 87 cm e 91,5 cm caratterizzate, la più corta, da scanalature, la più lunga invece da una nervatura centrale saldata come rinforzo185.

La maggioranza dei rinvenimenti di spathæ sono riconducibili alla fine del II secolo d.C. e per tutto il III secolo d.C. in corrispondenza della scomparsa del gladio, che cessa di esistere in questo periodo.

Le spade di questo periodo sono state classificate in due gruppi da Günter Ulbert che le ha divise in base alle misure delle lame; le spathæ con lama stretta e lunga rientrano nel gruppo “Straubing/Nydam” e misurano dai 65 cm agli 80 cm di lunghezza e sono larghe al massimo 4,4 cm. Il secondo gruppo, chiamato “Lauriacum/Hromowka”, si compone di lame più corte e larghe con una lunghezza compresa tra i 55,7 cm e i 65,5 cm ed una larghezza compresa tra i 6,2 e i 7,5 cm186.

184 BISHOP M.C., COULSTON J.C.N., 2006, p. 82. 185 BISHOP M.C., COULSTON J.C.N., 2006, p. 130. 186 BISHOP M.C., COULSTON J.C.N., 2006, pp. 154-156.

L’utilizzo delle spade lunghe continua ininterrottamente anche durante il IV secolo d.C., quest’arma ormai è la principale tipologia di lama diffusa nell’esercito romano e i reperti di questo periodo possono esser fatti rientrare nelle due categorie ideate da Ulbert.

Interessante è la continuazione dell’utilizzo delle spade corte, iniziata verso la fine del II secolo d.C. con armi caratterizzate da un pomolo ad anello e che permane fino al IV secolo d.C. con le cosiddette semispathæ187 descritte da Vegezio delle quali però pare non ci siano riscontri archeologici. Va detto che questo tipo di spade, anche se presentano lunghezze simili a quelle dei gladi, non non hanno nulla in comune con la tradizionale lama legionaria dato che morfologicamente appaiono più simili alle spathæ lunghe188.

Per quanto riguarda la spatha aquileiese si possono tentare dei confronti analizzando la lama. Questa presenta un doppio filo parallelo ed una sezione piatta, osservando attentamente la frattura si può notare che è collocata in un punto dove il doppio filo scende ancora parallelamente, quindi è supponibile che la lama continuasse dritta e che la frattura non sia avvenuta in prossimità della punta dove il doppio filo solitamente tende a convergere.

Data la condizione della lama la sua lunghezza non può essere determinata, possiamo soltanto confrontarla cercando spathæ con misure analoghe partendo dalla sua larghezza che misura 3,6 cm anche se probabilmente in origine doveva essere leggermente più larga dato che la corrosione ha intaccato diffusamente il filo.

Le spathæ che presentano larghezze simili sono state raggruppate da Ulbert nella tipologia da lui definita “Straubing/Nydam” e comprende lame datate tra la fine del II secolo d.C. e il III secolo d.C. Altro elemento che potrebbe rivelarsi utile per la datazione, se si confermasse l’ipotesi di contemporaneità e di appartenenza al medesimo oggetto, è un’impugnatura in osso conservata sempre tra i militaria aquileiesi e che Feugère identifica come pertinente ad una spatha.

Lo stesso studioso poi ne fornisce una datazione compresa tra il III secolo d.C. e il V secolo d.C. affermando che però i confronti fatti depongono a favore di un

187 VEGEZIO, (Epitome rei militaris II, 16).

inquadramento nel periodo più antico189. (L’impugnatura risulta incompleta poiché manca uno dei tre elementi che la componevano, ovvero la guardia; la lunghezza del manico e del pomolo però corrisponde alla lunghezza del codolo della lama (entrambi di 15,5 cm) e ciò potrebbe deporre a favore del fatto che questa impugnatura reperto potesse appartenere, se non a quest’arma in particolare, ad una spatha con caratteristiche simili).

7.1 La spatha rappresentata

Le spathæ godono di una rappresentazione iconografica abbastanza diffusa soprattutto nelle stele funerarie di cavalieri, è il caso della lastra tombale dell’eques Tito Flavio Basso appartenente all’ala Noricorum, datata al I secolo d.C., dove egli si fa rappresentare a cavallo nell’atto di travolgere e colpire con la lancia un nemico. Sul fianco destro del cavaliere è appesa una spatha caratterizzata dalla lunga lama e dall’impugnatura composta da guardia, manico e grosso pomolo.

Una spatha con pomolo non più tondeggiante ma appiattito è scolpita nella stele funeraria di Nigro eques dell’ala Pomponiana risalente al periodo Tiberio-Claudio e conservata al museo di Bonn. Anche Nigro porta l’arma sul fianco destro mentre è rappresentato nell’atto di colpire con la lancia un nemico che però, contrariamente agli altri casi, non è rappresentato nel rilievo190.

Sempre di periodo Tiberio-Claudio è la stele funeraria di Vonatorice, cavaliere dell’ala Longiniana, conservata a Bonn. Qui il milite è rappresentato nell’ormai nota posizione tipica dell’iconografia del cavaliere e la spatha, sempre appesa al fianco destro, appare tipologicamente analoga a quella rappresentata nella stele di Nigro191.

Una spatha simile alle due osservate in precedenza è scolpita appesa al fianco destro di Caio Romanio Capitone eques dell’ala Noricorum sul rilievo della sua stele funeraria conservata a Mainz e datata al periodo Neroniano192.

189 FEUGÈRE M., 2012-2013, p. 319. 190 COULSTON J.C.N., 1988, p. 76, fig. 12. 191 COULSTON J.C.N., 1988, p. 78, fig. 14. 192 COULSTON J.C.N., 1988, p. 80, fig. 16.

Infine un’altra spatha è rappresentata nel rilievo di una stele conservata al museo di Colonia come quella di Flavio Basso ed appartenente ad un cavaliere anonimo; l’ipotesi di datazione la colloca tra il periodo di Nerone e il primo periodo Flavio. Anche in questo caso il cavaliere è rappresentato nella ormai tipizzata scena dove travolge un nemico col cavallo e si appresta a colpirlo con la lancia. La spatha, anche in questo caso appesa al fianco destro, presenta un’impugnatura differente rispetto a quelle precedenti dato che il pomolo non è più tondo o appiattito ma ovale193.

Nel documento Le armi romane nella decima regio (pagine 139-143)