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Uno specchio dell’Italia degli anni Cinquanta: alunni e ambiente scolastico a Villa Cadè (Reggio Emilia)

ed ambientali, dalla presenza di determinate personalità al suo interno. Quello che emerge all’esterno di tale microcosmo è una serie di com- portamenti più o meno forzati e di maniera che mascherano i bisogni

fondamentali di ciascuna persona che lo compone2.

Pur mantenendo costanti le variabili comuni come spazi, tempi, strut- tura, materiali, la classe e i suoi componenti rappresentano un mondo a sé. Questo microcosmo, che vede maestri e allievi condividere tempo, emozioni, sapere, è un universo composito che riunisce persone di pro- venienze ed estrazione disparate che tuttavia, per qualche ora, vivono nello stesso spazio e s’impegnano in un lavoro comune.

Il maestro è figura centrale, più spesso guida ed esempio da seguire o da imitare; a volte, letteralmente, ‘cattivo maestro’, modello negativo di pigrizia, inettitudine, indifferenza e, in alcuni estremi casi, disumanità.

Nel rapporto maestro-allievo la classe è punto d’incontro tra generazio- ni: adulti e bambini entrano in relazione, anche in conflitto, ma partendo da un terreno comune che tenta di abbattere, almeno in parte, le barriere che spesso separano il mondo adulto da quello infantile. Entrano in gioco i temi dell’autorità, della gerarchia, della disciplina; come anche quelli della collaborazione, del sostegno morale e affettivo, dello spirito di gruppo.

La classe si apre verso l’esterno e allude, con i microeventi che ospita al suo interno, alle macrostrutture esterne: le relazioni familiari, la com- posizione e le tensioni della società, il sistema politico3.

Le diverse angolature da cui possiamo cogliere la figura del maestro evidenziano ricchezza o povertà culturale, severità o dolcezza, passione nell’insegnare o mera ripetitività. A volte sono riversati sull’insegnante il merito o la colpa per l’amore o l’avversione provata dagli allievi nei confronti della scuola o di una certa disciplina4.

Una ricerca rappresentativa per quanto riguarda l’importanza del tipo di personalità del docente nell’interazione con gli allievi è quella di Rosa Barbara Aibauer che, anche se un po’ datata, evidenzia l’esistenza di una stretta correlazione tra i tratti apprezzati degli insegnanti e l’età degli allievi. Secondo questa ricerca, gli allievi dagli undici ai tredici anni

2 http://www.provincia.torino.gov.it/istruzione/cesedi/riflettere/dwd/doc/premes-

sa/operat4.doc (ultima consultazione 9 maggio 2015).

3 http://www.giuntiscuola.it/lavitascolastica/magazine/articoli/cultura-e-pedago-

gia/maestri-e-maestre-al-cinema/ (ultima consultazione 9 maggio 2015).

4 F. De Vivo, P. Zamperlin, A scuola nell’Italia di ieri. Ricordi di vita scolastica tra ’800

e ’900, Padova, Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Scienze dell’Educazio-

apprezzano maggiormente nell’insegnante comportamenti caratterizzati dalla giustizia, mentre salendo con l’età, sono maggiormente apprezzati

atteggiamenti di comprensione, fiducia e amicizia5.

Da alcune interviste emerge che le differenze di trattamento tra i figli dei contadini e braccianti rispetto ai figli delle famiglie più agiate venivano maggiormente percepite dai ragazzi durante le ore di lezione o in occasione di ricorrenze, feste scolastiche o recite. Un testimone ci racconta di aver notato un differente approccio dell’insegnante nei pro- pri confronti rispetto ad altri compagni, figli di persone socialmente o economicamente ‘importanti’, come la figlia del maresciallo o la figlia dell’industriale, verso i quali, a suo parere, l’insegnante rivolgeva miglior cura nella relazione e maggiore considerazione delle capacità. Questo probabilmente derivava dall’essere seguiti a casa, aspetto che una fami- glia in difficoltà economiche non poteva permettersi, dovendosi dedicare completamente all’attività lavorativa.

Anche un contesto gioioso e spensierato come la recita o la festa po- teva essere fonte di differenze tra i bambini: il testimone ci racconta che, nelle recite, le parti più ambite erano sempre assegnate a ‘figli/figlie di’ e che per gli altri rimanevano parti marginali o addirittura nulla. Un bam- bino, soprattutto a quei tempi, non aveva certo il coraggio né l’educazio- ne per protestare e far valere le proprie ragioni, ma è normale pensare che tutti ci tenessero ad essere protagonisti.

Si coglie la frustrazione vissuta da bambina per non aver ricevuto le stesse attenzioni o le stesse opportunità di alcuni compagni e, oggi, la ras- segnazione della persona matura, consapevole di non aver potuto vivere certe occasioni, irripetibili, che per i bambini significano molto: una parte individuale in una recita, una attenzione in più dell’insegnante.

Si legge, dentro alle parole, una sofferenza ormai sbiadita, rassegnata, ma ancora viva, di chi sa di aver patito una ingiustizia e che ciò che ha perso, purtroppo, non gli verrà restituito:

...che poi allora c’era distinzione, c’era il bambino figlio dei ricchi, che ne avevamo 3 o 4 [in classe]. Adesso ci sono i problemi con gli immigrati. Allora c’erano i figli dei ricchi e quelli dei contadini, e i figli dei casànt 6. Io era una mezza via...

5 R.B. Aibauer, Die Lehrerpersönlichkeit in der Vorstellung des Schülers, Regensburg,

Habbel, 1954.

6 I casànt erano braccianti giornalieri, non avevano proprietà terriere né disponibili-

Intervistatrice – Quindi l’insegnante, secondo Lei, faceva differenze? Sì, sì, questo qua lo notavamo, che questi qua erano sempre un po’ più pri- vilegiati

Intervistatrice – Privilegiati nel senso che gli insegnanti avevano più accor- tezze nell’insegnare?

Mah... nell’insegnare o perché erano più curati con gli indumenti, non lo so, so che un pochino c’era questa discriminazione [...] questo qua me lo ricordo ancora [...] la figlia di M. o la figlia del maresciallo erano una personalità nel paese, perciò venivano considerate... forse avevano anche più basi, può darsi che venissero seguite di più a casa. I miei, ghìven gnàn teimp a guaderòm [non avevano nemmeno il tempo di badare a me]... non guardavano neanche se venivo a casa con i quaderni, quasi, mio padre perché faceva il pollivendo- lo, mia madre perché semmai lavorava in campagna o aiutava lui. Perciò a scuola non è che seguissero i bambini, come si fa adesso, a guardare cosa hai preso o non hai preso...7

...le feste di Natale! Si facevano le recite sia a scuola che in parrocchia [...] mi ricordo che io ero fra quelle che non mi davano mai niente [di parti nella recita], o poco nelle recite...

Una volta me ne hanno data una, ma ero in parrocchia e mi sono volate via tutte le arance nel cestino, non so perché... Poi c’era la figlia del maresciallo... quella lì era sempre tra gli angioletti, mè en gh’era mai (io non c’ero mai) in mezzo agli angioletti, venivamo proprio distinti, non so il motivo: o perché ero grassa o perché non ero la figlia privilegiata, delle gran parti... ‘la madon- nina’ non me ne è mai toccato [farla].

Intervistatrice – In effetti anche quello si ricorda...

Sì, sì, è discriminante... Eh, i bambini sì, perché ci tieni ad essere protagoni- sta! Invece io non sono mai stata protagonista!...8

Altri testimoni offrono diverse letture, come questa fonte iconografi- ca, sul ruolo e significato della recita scolastica. Esse rappresentano una occasione anche per testimoniare i differenti metodi didattici utilizzati dagli insegnanti nello svolgimento delle attività. La Fig. 5 ritrae un grup- po classe, durante una recita, che mostra manufatti di propria produzio- ne, a testimonianza del carattere didattico che riveste l’evento.

7 Si veda Allegato 11. Intervista n. 12 a L. P., p. 000 del presente lavoro. 8 Ibidem.

Fig. 5. Alunni in posa durante una recita con manufatti di loro produzione

Le testimonianze di questa ricerca evocano differenti microcosmi, per effetto dell’impostazione pedagogica, dei metodi didattici utilizzati, dell’approccio relazionale degli insegnanti, dell’assenza dei docenti tito- lari, della varietà caratteriale degli alunni.

2.1 La centralità dell’insegnante

Il microcosmo classe risente del tipo di programma svolto e della me- todologia didattica utilizzata dall’insegnante.

La Costituzione Italiana del 1948, all’art. 33, primo e secondo capo- verso, recita:

L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione...

I programmi per le scuole elementari e materne del 1945, Decreto Luogotenenziale 24 maggio 1945, n. 459, riportano che

Per l’attuazione di questo piano educativo, che mira soprattutto a prepara- re il fanciullo alla vita civile, non è quindi sufficiente all’insegnante la sola cultura umanistica, su cui si è fatto finora quasi esclusivo assegnamento per la sua preparazione professionale. Necessita all’educatore un alto senso di responsabilità sociale che l’induca, nella scuola e fuori, ad essere maestro

di vita, esempio di probità in ogni sua manifestazione. Solo così egli potrà intendere l’invito, che gli viene da questi programmi, di considerare l’inse- gnamento come una missione di civiltà. Avrà pure bisogno – sia detto ben chiaro – di una tecnica educativa, cioè di un metodo didattico che dovrà sempre perfezionare, sia meditando sul proprio insegnamento e sui risultati ottenuti, sia partecipando con attivo interesse al movimento pedagogico ita- liano e straniero. [...] Le avvertenze che precedono ciascuna delle materie d’insegnamento offrono libero campo di studio, perché non vi si consigliano metodi particolari, né vi si danno minute prescrizioni. L’insegnante potrà seguire vie diverse da quelle indicate, purché riesca a dare quei risultati che si attendono dalla sua azione educativa...

Risulta difficile affermare se i programmi Washburne abbiano avu- to positivo riscontro nella pratica scolastica del tempo. Possono essere molteplici le ragioni del loro parziale fallimento, tra cui individuiamo innanzitutto il disorientamento di un corpo docente appena uscito dalle imposizioni del fascismo. A questo vanno aggiunte le difficoltà di tutto un popolo a vivere e operare per la ricostruzione di un paese che la guer- ra aveva diviso, dilaniato e distrutto9.

I Programmi didattici per la scuola primaria, dpr 14 giugno 1955, n.

503, con riferimento alla libertà di insegnamento, recitano:

Le indicazioni attinenti al secondo aspetto dei programmi (la via o metodo da seguire per il raggiungimento degli scopi dell’istruzione primaria) non hanno il medesimo carattere normativo delle precedenti; poiché lo Stato, se ha il diritto e il dovere di richiedere l’istruzione obbligatoria, non ha una propria metodologia educativa...10

Interessanti studi sono stati condotti sugli stili ed atteggiamenti edu- cativi degli insegnanti e le relative esperienze e comportamenti degli al- lievi.

Tra le prime ricerche in tal senso troviamo quelle di Harold Homer

Anderson et al.11, i quali distinguono due stili di insegnamento: lo stile

9 http://www2.comune.venezia.it/tuttoscuola/timeline/testi/1945_Washburne.htm

(ultima consultazione 9 novembre 2014).

10 http://www.edscuola.it/archivio/norme/decreti/dpr503_55.html (ultima consulta-

zione 9 novembre 2014).

11 H.H. Anderson, J.E. Brewer, M.F. Reed, Studies of teacher’s classroom personalities,

iii, Follow up studies on the effect of dominative and integrative contacts on children’s behav- ior, «Applied Psychology Monographs», 1946, 11, 3-156.

dominante e lo stile sociale-integrativo. Tali ricercatori hanno verificato che questi stili generano tipiche reazioni negli allievi. In particolare, il comportamento dominante degli insegnanti, per esempio, dare ordini, consigliare, criticare, inizialmente correlato a resistenze tra gli allievi, dopo circa cinque mesi non solo accresce la resistenza, ma tende ad in- centivare negli allievi un comportamento analogo.

Quando invece l’insegnante si rapporta alla classe secondo lo stile sociale-integrativo e cioè incoraggia, considera i desideri degli scolari, è cordiale, gli allievi tendono a manifestare comportamenti positivi, come comunicare spontaneamente le proprie esperienze, partecipare attiva- mente.

Secondo Charles W. Gordon12, la classe scolastica è concepita come

un sistema sociale. L’insegnante, in tale sistema sociale, si trova di fronte al compito di dover corrispondere alle aspettative dal sistema esterio- re, derivanti da norme e da obiettivi dell’organizzazione scolastica, e da quelle provenienti dal sistema interiore, come le aspettative personali de- gli allievi date dai loro interessi e condizioni.

Gordon distingue negli insegnanti tre tipici stili di comportamento: il tipo strumentale-specialistico, il tipo espressivo o centrato sugli allievi, il tipo strumentale-espressivo o integrale.

L’insegnante, impostando il proprio compito educativo nella classe sul sistema esteriore, applica uno stile strumentale-specialistico o un sistema di rendimento orientato al raggiungimento degli obiettivi scolastici. In questo caso, egli è più interessato al rendimento degli allievi rispetto ai loro bisogni o interessi e ne deriva che i suoi atteggiamenti nei confronti degli scolari sono piuttosto rigidi e severi.

L’insegnante che adotta il sistema interiore, tiene presenti in modo prioritario gli interessi e i bisogni dei singoli allievi o del gruppo.

È anche possibile che l’adulto adotti contemporaneamente lo stile espressivo e quello strumentale-specialistico. In questo caso, egli tenderà a prendere in considerazione sia le norme o le mete prestabilite, sia gli interessi e i bisogni dei singoli o gruppi.

Sull’efficienza degli stili espressivo, strumentale ed espressivo-stru- mentale, Gordon riporta, in una ricerca effettuata con allievi del 7° ed 8° anno scolastico, che esiste un rapporto significativo tra la gamma dei

12 C.W. Gordon, The social system of high school, a study in the sociology of adolescence,

Glencoe Ill., Free Press, 1957; C.W. Gordon, Die Schulklasse als ein soziales System in P. Heintz (ed.), Soziologie der Schule, Köln-Opladen, Westdt. Verlag, 1970, pp. 131-160.

comportamenti dell’insegnante nella classe e gli effetti sugli allievi, visti sotto l’aspetto del rendimento e della morale di impegno e comprovano l’affermazione che l’insegnante efficiente persegue diverse mete, realiz- zando in tal modo differenti funzioni. Coloro che realizzano un rigido controllo e danno molta importanza al rendimento, dimostrando la pre- ferenza verso l’atteggiamento strumentale, possono far conseguire agli allievi un alto livello di rendimento, ma a discapito del livello di respon- sabilità, cioè di morale di gruppo.

Gli insegnanti invece a cui premono sia il rendimento che gli inte- ressi dei ragazzi, e sono orientati verso lo stile espressivo-strumentale, raggiungono con gli allievi sia un alto livello di produttività che un alto senso di responsabilità morale.

Da queste ed altre ricerche deriva che il comportamento degli inse- gnanti, visto secondo la dimensione relazionale, si può fondamentalmen- te classificare in base alla dimensione emozionale e alla dimensione di controllo. Per quanto riguarda l’interdipendenza tra i tratti di queste due dimensioni ed i comportamenti degli allievi, è possibile ricavare che all’in- terno della classe si crea una buona atmosfera umana e, di conseguenza, un miglior rendimento scolastico, quando il comportamento degli insegnanti è caratterizzato dai tratti positivi della dimensione emozionale (cordialità, comprensione, incoraggiamento, calore umano) e da poca direttività (per esempio, informazioni, proposte, inviti, anziché ordini, castighi)13.

Nel prossimo paragrafo saranno delineati alcuni prototipi di inse- gnanti, sulla base di quanto emerso dai racconti degli intervistati. 2.2 I prototipi degli insegnanti

Nel volume di Giuseppe Zago Da maestri a direttori didattici alcuni maestri raccontano lo sconcerto provato per essersi trovati di fronte, nel corso della loro professione, a scenari che non si sarebbero aspettati:

Credevo che il lavoro del maestro fosse solo quello di parlare ed impartire lezioni ad una scolaresca tutta attenta e silenziosa [...]; dovetti convincermi, invece, in modo diverso quando l’esperienza mi diede la misura esatta della forza di resistenza, ostinata e costante, che la scolaresca opponeva in ogni minuto delle quattro ore alle parole del maestro se questi non è animato da pazienza, volontà e amore paterno.

13 H. Franta, Relazioni sociali nella scuola: promozione di un clima umano positivo,

E ancora, un altro insegnante:

Avevo letto in qualche posto che i bimbi sono fiori da coltivare, belli, gen- tili, profumati come i fiori. Poveri i miei fiori! I genitori, pieni di miseria, abbruttiti dalle fatiche e dalla guerra recente, [...] i miei fiori, sporchi, mal tenuti, scalzi, si prendevano a zuccate, si sputavano, si dicevano parolacce, bestemmiavano.

In presenza di tali realtà, gli insegnanti erano spesso sprovvisti di suf- ficiente preparazione per affrontarle, per quanto animati da dedizione verso il proprio lavoro, e trovavano enormi difficoltà nel capire, senza l’a- iuto di esperti, quali scolari fossero ritardati per cause socio-ambientali, per tare genetiche o gravi disfunzioni organiche. Gli insegnanti erano quindi consapevoli di quanto fosse importante la conoscenza dei bam- bini, non solo del rendimento scolastico, ma anche dell’ambiente di vita e delle attività in cui si manifestano più liberamente per avviare un frut- tuoso lavoro educativo14.

Le interviste effettuate hanno dato voce alla controparte: gli alunni. Il coro che si è levato ha assolto la maggioranza degli insegnanti, nei confronti dei quali il ritratto tracciato è stato benevolo e positivo; per altri si è potuto constatare che i ricordi scolpiti nelle menti degli alunni portavano la traccia indelebile della durezza e severità del maestro.

In quel periodo,

ancora gran parte degli insegnanti era convinta che il loro compito fosse censire, fermare e mandar fuori dai piedi i somari, gli svogliati, i testoni. Non erano stati attrezzati a capire che il loro compito era esattamente il contrario: fare in modo che i somari imparassero a non ragliare, gli svogliati ad avere voglia di studiare, i testoni a usare la testa per capire e orientarsi nella società. Facile a dirsi, non a farsi15

sentenzia Tullio De Mauro.

Da alcune interviste è possibile cogliere riscontri che evidenziano lo scorrere tranquillo del tempo scolastico e il passaggio quotidiano fami- glia/scuola e viceversa non generava situazioni di malessere.

14 G. Zago (a cura di), Da maestri a direttori didattici, Lecce, Edizioni Pensa Multime-

dia s.r.l., 2007, pp. 516-517.

15 http://www.internazionale.it/opinione/tullio-de-mauro/2015/05/11/buona-scuo-

Nella stessa scuola, nelle classi guidate dall’insegnante severo e anche un po’ manesco, il clima era più teso, i ragazzi faticavano ad aprirsi e il mantenimento della disciplina costituisce, nelle memorie raccolte, il ricordo ricorrente e prevalente riferito a quegli anni.

L’impostazione dell’insegnante nella relazione con gli allievi influen- za il clima della classe, l’apprendimento e il gradimento nella frequenza scolastica da parte degli alunni. Anche l’assenza di una qualsiasi rela- zione tra maestro ed allievi può condizionare lo sviluppo cognitivo ed affettivo-relazionale degli alunni e determinare una disaffezione verso la scuola, con conseguente scarso e lacunoso apprendimento e legame af- fettivo disatteso.

Affrontiamo il prototipo del ‘buon maestro’, che dimostra affetto senza essere paternalista, brillante, ma che lascia spazio agli allievi, com- prensivo quando serve e severo quanto basta, in grado di trasmettere il suo sapere e di stimolare la curiosità, la passione, il desiderio di conosce- re e apprendere16.

Un paio di intervistati hanno espresso il confronto tra l’insegnante dei primi quattro anni che descrivevano severa, dura, che puniva anche per questioni di profitto, con il maestro che ebbero durante la classe quinta, un giovane di 23/25 anni d’età, proveniente da Sant’Ilario, un comune poco distante dalla scuola, che fu considerato dai propri alunni un ‘amico’ per l’approccio innovativo nei loro confronti, caratterizzato da ascolto, dialogo, coinvolgimento, rispetto. Il giovane maestro aveva implementato in classe ‘lo Zibaldone’, un quaderno su cui il capoclasse raccoglieva le osservazioni dei compagni, le criticità che essi evidenziava- no, le problematiche, poiché spesso queste non emergevano spontanea- mente. Si trattava di una modalità didattica e di un approccio relazionale che, per quei tempi e in quel contesto, nessuno aveva ancora utilizzato, di tipo dialogico ed aperto con gli allievi, che teneva in considerazione i loro bisogni e punti di vista; un sistema democratico che dava la possibilità di parola ai ragazzi, per avvicinarsi ad essi e aprire una relazione fatta di ascolto, osservazione, dialogo e rispetto, che può essere ricondotto ad uno degli stili individuati da Anderson, lo stile sociale-integrativo, che gli alunni apprezzarono molto e ricordano ancora oggi in modo molto preciso:

16 http://www.giuntiscuola.it/lavitascolastica/magazine/articoli/cultura-e-pedago-

...Aveva un’altra formazione, preparazione, aveva un dialogo con noi. Lui non ha mai toccato nessuno, mentre la maestra V. era ancora di quelle che ti faceva mettere le mani così e poi con la bacchetta... [...] E quanti schiaffi che dava! [...] C. [il maestro della quinta] aveva fatto ‘Lo Zibaldone’, una cosa fantastica! [...] ‘Lo Zibaldone’ era un libro, un brogliaccio, ed ogni fila aveva il suo. Scrivevamo i vari problemi, comportamenti, tutto quello che era inerente alla scuola. Ognuno poteva scriverci anche qualcosa di suo. [Il maestro] lo leggeva e guardava se c’era qualcosa che non andava. Perché magari non avevamo il coraggio di dirlo... Il capoclasse scriveva quello che suggerivano gli altri alunni. Con lui [il maestro] c’è stato un rapporto...!