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PUNTO DI CONTROLLO

Capitolo 14 Spectral shift

L’osservare il terreno con geometrie di acquisizione differenti comporta che gli spettri dei segnali retrodiffusi presentino uno shift di cui è necessario tenere conto in modo da effettuare una coregistrazione spettrale delle due scene.

L’origine del problema dello spectral shift risiede nella differenza tra lo spettro di riflettività della superficie illuminata e quello dei dati.

Lo spettro del bersaglio è funzione delle sue proprietà fisiche, come ad esempio la riflettività radar (radar cross-section) ed è indipendente dalla geometria d’acquisizione.

Al contrario lo spettro dei segnali retrodiffusi ricevuti dai sensori dipende dalle caratteristiche dell’acquisizione.

Fig. 14.1 (Hanssen, 2001): spectral shift comportato da un diverso angolo d’incidenza.

Spectral shift in range

Si consideri che se i sensori osservassero uno stesso punto esattamente con lo stessa

geometria d’acquisizione le fasi sarebbero identiche e quindi la loro differenza sarebbe nulla (non sarebbe quindi possibile né avrebbe senso ottenere un interferogramma).

Nel caso invece l’acquisizione slave avvenga da una posizione diversa da quella master si verifica una traslazione nel numero d’onda (wavenumber shift): il wavenumber oggetto risulta traslato nello spettro slave rispetto a quello master.

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Fig. 14.2 (Hanssen, 2001): spectral shift, N sta per noise, rumore.

Più specificatamente il problema comportato dal wavenumber shift consiste nel presentare gli spettri oggetto delle due acquisizioni oltre ad una parte comune (common band) anche due parti che non si sovrappongono, che, ai fini interferometrici, rappresentano rumore.

Si rende quindi necessario prima della generazione dell’interferogramma applicare alle scene un filtro passabanda per eliminare queste due code in modo da aumentare il rapporto segnale rumore (SNR signal to noise ratio).

Un rapporto segnale rumore più alto consente un miglioramento della coerenza, quindi, in definitiva, uno srotolamento della fase meno problematico.

Si consideri la relazione approssimata tra la frequenza f del segnale e il numero d’onda in ground range 𝑘𝑔𝑟𝑜𝑢𝑛𝑑 (Gatelli et al., 1994):

eq. 14.1 𝑘𝑔𝑟𝑜𝑢𝑛𝑑 =4𝜋 𝜆 sin 𝜗 − 𝛼 = 4𝜋𝑓 𝑐 sin 𝜗 − 𝛼 𝑚−1 dove 𝜗 è l’angolo d’incidenza, α la pendenza locale,

𝜗 − 𝛼 l’angolo d’incidenza locale il termine 4𝜋

𝜆 corrisponde al numero d’onda k in slant range, e si ricorda che 1𝜆 = 𝑓𝑐

Differenziando rispetto all’angolo d’incidenza 𝜗 si ottiene la corrispondente variazione del numero d’onda in ground range (Gatelli et al., 1994):

eq. 14.2

𝛥𝑘𝑔 =

4𝜋𝑓𝛥𝜗

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La limitata ampiezza della banda consente la sostituzione f con la frequenza centrale 𝑓0 ed è quindi possibile ritenere valida l’approssimazione (Gatelli et al., 1994):

eq. 14.3

𝛥𝑘𝑔 = 4𝜋𝑓0𝛥𝜗

𝑐 cos 𝜗 − 𝛼

Dato che però in realtà il segnale non è monocromatico una variazione dell’angolo di vista comporta una traslazione dell’intero spettro corrispondente alla banda centrata in 𝑓0. Esprimendo la variazione del numero d’onda in ground range in termini di frequenza l’ampiezza dello spectral shift in range è approssimabile come (Small, 1998):

eq. 14.4

𝛥𝑓𝑟 ≈ 𝑓0

𝛥𝜗 tan 𝜗 − 𝛼

Si noti che lo spectral shift corrisponde alla frequenza locale delle frange dell’interferogramma.

Considerando al solito gli slant range delle due acquisizioni paralleli (far-field approximation) si ha che:

eq. 14.5

𝛥𝜗 ≈𝐵⊥ 𝑅 e quindi (Small, 1998; Ferretti et al., 2007): eq. 14.6

𝛥𝑓𝑟 ≈ 𝑓0 𝐵⊥ R tan 𝜗 − 𝛼

E’ importante ribadire che il differenziare rispetto a 𝜗 non è da intendersi nel senso che una variazione dell’angolo di vista comporti una traslazione di 𝛥𝑓 della banda: indica invece che il segnale retrodiffuso contiene componenti spettrali diverse dello spettro di riflettività del terreno (Gatelli et al., 1994).

Per inciso non si tralascia di evidenziare che quindi la sovrapposizione degli spettri

diminuisce all’aumentare della lunghezza della componente perpendicolare del baseline, fino ad un valore, detto critical baseline, che ne comporta la completa decorrelazione.

E’ bene precisare che il significativo miglioramento nel grado di correlazione delle due scene consentito dal filtraggio (senza l’introduzione di opportuni accorgimenti che qui per brevità si omette di descrivere (Gatelli et al., 1994; Fornaro e Monti Guarnieri, 2002)) avviene a spese di una diminuzione della risoluzione in slant range comportata dalla minore ampiezza della banda (cfr. eq. 5.2) (Gatelli et al., 1994; Hanssen, 2001).

La dipendenza dalla pendenza locale complica notevolmente l’implementazione del filtraggio, e per questo solitamente come superficie di riferimento si assume un piano a pendenza costante, ma si consideri che in caso di morfologia accentuata il non tenerne conto potrebbe addirittura comportare perdite localizzate di coerenza e un degrado della risoluzione spaziale dell’interferogramma (Ferretti et al., 2007; Fornaro e Monti Guarnieri, 2002).

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Una modellizzazione appropriata è necessario avvenga linea per linea in range oppure per patches di limitata estensione (Hanssen, 2001).

Per effettuare lo spectral shift tenendo conto della variabilità della pendenza locale sono possibili diversi approcci, si è scelto di riportare quello proposto da Bamler e Davidson (Bamler e Davidson, 1997; Bamler e Davidson, 1999) perché, nonostante non sia quello implementato in SARscape, si ritiene che si presti meglio di altri all’enucleazione degli aspetti principali del problema.

Lo schema dell’algoritmo è quello in fig. 14.3, lo si descrive a livello concettuale, senza entrare troppo nei dettagli, con i richiami analitici principali a latere per non appesantire la trattazione:

Fig. 14.3 (Bamler e Davidson, 1997) slope adaptive spectral shift filtering: 𝑢1 e 𝑢2 sono le due scene slc, con i,

k s’indicano le coordinate SAR range e azimuth.

1) data la disponibilità di un DEM sufficientemente accurato da descrivere le variazioni locali di pendenza lo si esprime rispetto alla geometria d’acquisizione della coppia in un interferogramma sintetico 𝜑 (analogo a quello utilizzato per il flattening, si ricorda che la fase è srotolata); altrimenti è comunque possibile generare l’interferogramma sintetico considerando la frequenza locale delle frange dell’interferogramma (non ancora srotolato), corrispondente al gradiente della fase. La frequenza locale delle frange dell’interferogramma sintetico ne riflette lo spectral shift, si rimanda a (Bamler e Davidson, 1999; Fornaro e Monti Guarnieri, 2002) per la descrizione dell’approccio. 2) demodulazione: si moltiplicano (eq. 14.7) entrambe le scene per il coniugato complesso

dell’interferogramma sintetico in modo che risultino shiftate in frequenza rispetto alla pendenza locale.

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3) rimozione dallo spettro di ognuna delle due scene delle parti non correlate tramite l’applicazione di un filtro passa basso nel dominio della frequenza (con la stessa ampiezza di banda per entrambe le scene)

4) modulazione: rappresenta l’inverso della demodulazione, con una moltiplicazione complessa si risomma ad ognuna delle due scene metà della fase corrispondente alla topografia precedentemente rimossa in modo che al momento della generazione dell’interferogramma questo risulti già spianato (eq. 14.8)

5) generazione dell’interferogramma (eq. 14.9)

Quindi invece che spianare l’interferogramma si rimuove la fase corrispondente al DEM sottraendola ad ognuna delle due scene.

Analiticamente (Bamler e Davidson, 1999), indicando con 𝑈1 𝑖, 𝑘 la master e con 𝑈2 𝑖, 𝑘 la slave:

scene demodulate eq. 14.7

𝑈𝑐1 𝑖, 𝑘 = 𝑈1 𝑖, 𝑘 𝑒−𝑗 𝜑 𝑖,𝑘 𝑈𝑐2 𝑖, 𝑘 = 𝑈2 𝑖, 𝑘 𝑒𝑗 𝜑 𝑖,𝑘

La discordanza dei segni dell’esponenziale complesso nelle due equazioni comporta che gli shift avvengano in direzioni opposte, in modo che le parti non correlate di ognuno dei due spettri in range risulti shiftato fuori dall’ampiezza di banda nominale in range

Scene filtrate e nuovamente modulate: eq. 14.8 𝑈𝑓1 𝑖, 𝑘 = 𝑕𝑙𝑝 𝑖 ∗𝑖 𝑈𝑐1 𝑖, 𝑘 𝑒 𝑗𝜑 𝑖,𝑘 2 𝑈𝑓2 𝑖, 𝑘 = 𝑕𝑙𝑝 𝑖 ∗𝑖 𝑈𝑐2 𝑖, 𝑘 𝑒 𝑗𝜑 𝑖,𝑘 2 dove:

𝑕𝑙𝑝 𝑖 è la risposta all’impulso, il pedice lp sta per low pass (passa basso) ∗𝑖 è il simbolo dell’operatore convoluzione in range.

𝑒𝑗𝜑 𝑖,𝑘 2 si considera solo metà della fase perché altrimenti, sottraendola ad entrambe le scene,

sarebbe come sottrarla due volte all’interferogramma. L’interferogramma spiantato 𝑧𝑓 si ottiene quindi come: eq. 14.9

𝑧𝑓 𝑖, 𝑘 = 𝑈𝑓1 𝑖, 𝑘 𝑈𝑓2

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Scattering di volume

Nonostante si sia scelto di considerare trascurabile quest’aspetto (cfr. cap. Coerenza) si ricorda per completezza che si verifica spectral shift in range anche nel caso all’interno di una stessa cella di risoluzione siano contenuti più riflettori ad altezze differenti (Gatelli et al., 1994).

L’entità dello spectral shift è in questo caso proporzionale alla lunghezza della componente perpendicolare del baseline.

Spectral shift in azimuth

Non appena gli spettri delle due scene iniziano ad essere traslati l’uno rispetto all’altro in range, i differenti angoli di squint comportano il verificarsi di uno shift degli spettri anche in azimut.

La differente geometria d’acquisizione comporta una diversa mappatura della superficie illuminata e quindi una diversa sensibilità alle alte frequenze della morfologia, il che si traduce in uno shift nel dominio spettrale della superficie all’interno delle ampiezze i banda degli spettri delle scene.

Fig. 14.4 (Ferretti et al., 2007): in azimuth lo shift degli spettri è comportato da un diverso angolo di squint di master e slave: al centro uno schema del filtro, in basso la banda comune tra le due acquisizioni.

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Anche in azimuth la rimozione delle componenti dello spettro che non si sovrappongono avviene applicando un filtro passabanda, con una procedura leggermente diversa da applicata quella in range.

La differenza tra i centroidi Doppler delle due scene è determinata sia da un differente angolo di squint che dalla convergenza delle orbite: entrambi i fattori comportano lo stesso effetto di far sì che uno stesso punto terreno sia osservato da due posizioni differenti.

Si consideri che un angolo di squint è comportato anche dall’effetto della rotazione terrestre, contenuto dal yaw steering delle antenne ERS che consente di mantenere il fascio d’antenna ortogonale alla proiezione della traiettoria del satellite sulla superficie di riferimento, il che corrisponde ad una simmetria rispetto alla geometria zero-Doppler con una tolleranza del 5%.

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Capitolo 15