FONTE: MEF - Ragioneria Generale dello Stato, Rapporto n.° 16-Le tendenze medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio sanitario, 2015, pp 169. È utile notare come le modifiche positive alla produttività del lavoro (una variazione annua di +0,25 rispetto lo scenario base, produce una riduzione del rapporto spesa/PIL dello 0,50% nel 2040147) siano più efficaci nel contenere la spesa pubblica destinata alle pensioni.
In questo senso, allora, una politica che abbia come obiettivo quello di potenziare il contributo dell’immigrazione alla sostenibilità del sistema pensionistico, dovrebbe essere in grado di realizzare aumenti della produttività dei lavoratori e sostenere numericamente la forza lavoro.
Concludendo, l’immigrazione ha sicuramente un impatto positivo nel breve periodo e questo effetto si prolunga su orizzonti temporali più lunghi. Per quanto riguarda il lungo periodo, l’immigrazione non può essere considerato il sostituto di politiche sociali ed economiche valide. Tuttavia può essere una buona risposta se affiancata da politiche di integrazione che prendano a cuore riforme del sistema di protezione sociale, la crescita della forza lavoro e la sua produttività.
Ancora una volta, quindi, la questione cruciale che si pone non è tanto il pensionamento degli immigrati ma il basso importo delle pensioni future. Questo vale per gli immigrati come per gli autoctoni e il rischio per l’Italia, più che quello “d’invasione”, sarà l’aumento delle schiere di poveri.
CONCLUSIONI
Le cronache tendono, nel maggior numero dei casi, a ridurre l’immigrazione agli “sbarchi sulle coste di Lampedusa”. Ma a ridimensionare i toni allarmistici giungono i dati dell’UNHCR: sebbene rispetto il 2014 ci siano stati aumenti degli sbarchi sul territorio italiano, nel 2016 non è possibile constatare con certezza un trend di aumento a causa dell’alternanza del numero di arrivi nel corso dei diversi mesi, inoltre, il totale degli arrivi di maggio 2016 si è mantenuto al di sotto di quelli avvenuti nello stesso mese del 2015.
Perciò, sebbene i richiedenti asilo siano una parte del fenomeno migratorio in Italia è bene ricordare che sono solo il 3% dei più di 5 milioni di residenti regolari e che l’Italia si fa carico solo di una piccola percentuale di rifugiati che, di conseguenza, trovano prima accoglienza in Asia e Africa.
Inoltre è possibile affermare che le “ondate migratorie” in Italia non sono senza fine, ma che l’immigrazione è in calo. Rispetto al 2013 le iscrizioni all’anagrafe dall’estero sono diminuite del 9,7%, mentre le cancellazioni degli stranieri sono aumentate in un solo anno (2013-2014) dell’8,8%.
Non solo l’immigrazione è in calo, ma in Italia la sua stessa struttura sta cambiando: se nel 2007 più della metà degli stranieri richiedeva un permesso di soggiorno per motivi di lavoro, nel 2013 a prevalere sono i ricongiungimenti familiari. Questo vuol dire che a mantenere i saldi migratori in attivo sono i familiari degli stranieri che hanno trovato lavoro prima del 2007, anno d’inizio della forte crisi economica. Donne e studenti, quindi, dovrebbero diventare i primi punti di interesse delle politiche di integrazione.
Non bisogna neppure dimenticare che, dei 5 milioni di residenti stranieri, 4 milioni circa fanno parte della popolazione attiva e il 58% di questa (ovvero circa 3 milioni) è occupata. Gli stranieri in Italia sono il 10,5% degli occupati totali e sebbene le loro occupazioni rientrino nel novero dei lavori usuranti, la loro presenza ha permesso di rafforzare e rivitalizzare settori economici affetti da scarsa offerta di lavoro, come quello agricolo o dei servizi.
La segregazione occupazionale e professionale si riflette nel blocco della mobilità sociale e nelle basse retribuzioni e nulla garantisce che l’inserimento lavorativo dello straniero dipenda dalle sue caratteristiche piuttosto che da quelle del mercato del lavoro.
Gli imprenditori stranieri in Italia sono più di 630 mila, ovvero l’8,3% del totale e la loro dinamicità ha permesso di registrare negli anni di maggiore crisi (2009-2014) un aumento del numero di imprenditori del 21%. La loro presenza nel tessuto produttivo italiano ha favorito l’apertura a nuovi mercati e a nuove opportunità commerciali, oltre che a mantenere in vita molte delle unità produttive del made in Italy agro-alimentare.
Inoltre nel 2013 i contribuenti stranieri hanno versato 6,7 miliardi di Irpef e nello stesso anno 10,5 miliardi di contributi previdenziali che, sommati alle altre imposte, hanno fatto registrate delle entrate per le casse dello Stato pari a 16,6 miliardi di euro. A fronte, quindi, di una spesa per gli immigrati pari a 13,5 miliardi il saldo per la bilancia pubblica è risultato positivo. Se in aggiunta ai 16,6 miliardi si considerano i cumuli di contributi versati e non riscattati nel momento in cui viene lasciato il territorio italiano, le entrate per lo Stato aumentano ulteriormente.
Dei 13,5 miliardi, solo 2 miliardi circa sono imputabili a trasferimenti economici nel settore assistenziale, mentre la spesa pensionistica per immigrati non supera i 900 milioni. Questo perché, gli stranieri in Italia, hanno in media un’età inferiore di 10 anni rispetto gli autoctoni: ciò li rende scarsi fruitori del sistema previdenziale, ma bisognosi di misure che guardino alle componenti più deboli della società (donne, bambini, giovani e stranieri) che in Italia hanno una bassa copertura finanziaria.
Non è semplice stabilire in maniera assoluta e univoca i benefici e i costi dell’immigrazione in Italia. I numerosi dati presentati permettono di osservare che la manodopera immigrata risponde a dei bisogni specifici della domanda di lavoro, che la manodopera italiana non soddisfa. Ciò dimostra che tra le due forze lavoro non esiste una perfetta sostituibilità e che la presenza immigrata non ha un ruolo significativo nell’influenzare le probabilità di perdere l’occupazione. Sicuramente la popolazione immigrata rappresenta uno shock di offerta che provoca -considerando gli effetti di equilibrio economico generale- una riduzione del prezzo del fattore abbondante (lavoro poco qualificato) e un aumento dei fattori che diventano scarsi. Seguendo questa logica, saranno i lavoratori qualificati a beneficiare maggiormente dell’immigrazione mentre quest’ultima potrebbe rilevarsi svantaggiosa per i segmenti più deboli della popolazione, da qui l’importanza che lo studio degli effetti dell’immigrazione sui diversi gruppi sociali riveste nella progettazione delle politiche sociali e di integrazione. Per quanto riguarda il sistema pensionistico gli stranieri attualmente finanziano molte delle pensioni degli italiani; il flusso di pensionati immigrati continuerà ad essere di gran lunga inferiore rispetto quello degli autoctoni e nel lungo periodo la popolazione immigrata aiuterà a
contrastare gli effetti dell’invecchiamento demografico sull’occupazione e la popolazione in età da lavoro. Il fattore immigrazione attualmente accompagna il sistema pensionistico lungo la fase di transizione verso un sistema di calcolo contributivo, che durerà almeno fino al 2045. È ragionevole pensare che il suo contributo tenderà alla neutralità una volta raggiunto un sistema contributivo puro, un risultato coerente con le ricerche che ipotizzano nel lungo periodo un “effetto fiscale zero” dell’immigrazione.
Il tema immigrazione inevitabilmente si intreccia con quello delle politiche sociali: le instabilità del mercato del lavoro avranno delle ripercussioni sull’ammontare delle pensioni future, appare urgente dunque superare l’esclusione sociale attraverso politiche di sostegno dell’occupazione e del reddito. È necessario aumentare le competenze della popolazione straniera piuttosto che persistere in un loro sottoutilizzo, generare dei buoni percorsi di crescita e innovazione, facendo attenzione alle numerose differenze geografiche del mercato del lavoro italiano.
Infine, per separare il tema immigrazione dalla fornitura di protezione sociale e di conseguenza rassicurare la popolazione sulla compatibilità tra welfare e immigrazione, è stato proposto alle istituzioni europee di introdurre un codice che valga per tutti i paesi dell’Unione Europea (ESSIN-European Social Security Number). Il principio base è che ogni sistema nazionale paghi, a chi richiede il servizio previdenziale o assistenziale, in base ai contributi che sono stati versati in quel paese.
Ci sono molti percorsi che possono essere seguiti e implementati, ma sono necessarie buone dosi di coerenza e responsabilità.