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Spirito individualistico e spirito associativo

Nell’ambito dell’Inchiesta sull’agricoltura e le condizioni di vita dei lavoratori agricoli lombardi, nota come “Inchiesta di Karl Czoernig”,333 del 1835 sono molto interessanti le seguenti osservazioni che mettono in evidenza come le forme di gestione “intermedia” (pascolo dissociato, ma casificazione associata) non solo fossero da lungo tempo praticate, ma anche come esse riflettessero il ruolo dell'alpeggio nel promuovere e anticipare, l’esercizio di pratiche cooperative:

“ ogni proprietario attende alla cura delle sue bestie, ma poi si manipola in comunione il latte di più proprietarj, tenendosi tessera della rispettiva quantità posta in massa, onde così misurare la quota della grascina che ad ognun si compete, dopo il giro di un maggiore o minor numero di giorni, a norma della maggiore e minor quantità consegnata. Per tal modo non solo si risparmia la mano d’opera, ma si ottengono altresì i prodotti in maggiore quantità e di bontà migliore. Questa pratica sarebbe bene fosse adottata anche nei villaggi, allorché le mandre vengovi ricondotte nella stagione jemale”334

Sempre a proposito della Valtellina Stefano Jacini osservava, qualche anno più tardi, un sistema di gestione che ripeteva, sin nella precisione della determinazione della quota di latte prodotta da ciascun utente, mediante pesata del latte ogni mattina e sera, le ben note forme di gestione associata delle Alpi Svizzere.

“Lo spirito d’associazione non è sconoscito nelle montagne (...) Nel distretto di Bormio ogni comunità dà il proprio bestiame ad appositi mandriani; due probe persone, detti capi d’alpe, pesano ogni mattina e sera il latte che si munge da ogni vacca e si stabilisce la quota di utile dei singoli possessori, dedotte le spese.”335

Alla fine del XIX secolo questi sistemi sono ancora presenti in Alta Valtellina. L’Alpe Vallecetta (Valdisotto) era goduta dai comunisti di Piatta assumendo un pastore e un casaro e, a conferma che i sistemi associati potevano essere altrettanto dinamici di quelli basati sull’affitto a imprenditori privati, nel 1887 viene dotata di stalle e di un caseificio in muratura, mentre la stalla viene ampliata nel 1900 e

330 “La compagnia d’alpe si costituisce per l’alpeggio di un alpe ed è presieduta dal capo d’alpe. E’ egli a cercare il casaro ed il suo inserviente come pure i pastori, e a sorvegliare tutto il lavoro prima e durante il carico dell’alpe. Un delegato del patriziato del comune, eletto dall’assemblea patriziale, deve vigilare che il bestiame sia ripartito ugualmente sui diversi alpi, affinchè nessuno venga sovraccaricato(Baer M. op. cit., p.54). Come si vede si tratta, nella sostanza, degli stessi criteri di gestione presenti negli statuti comunali valtellinesi.

331 ALP, p. 108-109.

332 L’autore, osserva anche, però, come nelle alpi unitarie gestite unitariamente il personale lavorava “dalle stelle alle stelle” mentre, nelle alpi-villaggio, il ritmo di lavoro era molto meno intenso ed erano importanti i momenti di socializzazione. Evidentemente se, da una parte, la gestione unitaria consentiva un risparmio di lavoro per “economia di scala”, dall’altra la gestione imprenditoriale rispetto a quella di sussistenza imponeva prestazioni di lavoro maggiori .

333 K. Czoernig, op. cit.

334 Ibidem, p. 724

1901336. Anche a Grosotto, sempre agli inizi del XX secolo, l’ Associazione dei comunisti nominava un casaro, un sottocasaro, 10 pastori, 2 per le pecore per la gestione dell’Alpe Piana337. Spostandoci in bassa Valtellina troviamo anche qui, a fianco degli esempi di gestione imprenditoriale delle alpi delle Valli del Bitto e della Val Tartano, nella Val Lesina la gestione delle alpi in comproprietà era effettuata in forma cooperativa, con nomina a maggioranza dei condòmini, del casaro, quale direttore tecnico, e l’assunzione di salariati338. Si trattava di alpi di una certa importanza considerato che l’Alpe Mezzana richiedeva il lavoro di ben 14 salariati tra uomini e giovinetti339.

Questi sistemi di gestione, del tutto analoghi a quelli svizzeri e trentini, li ritroviamo non solo in Valtellina, ma anche nel Sebino bergamasco.

“Infine troviamo le alpi pascolive Piano della Palù e Monte Alto del Comune di Castelfranco di Rogno340. Esse sono godute dai comunisti, in modo intermedio fra quello associato e quello dissociato, promiscuo. Avviene cioé che quei comunisti che possiedono in prossimità del pascolo cascine e prati conducono essi stessi, ogno per conto proprio, di giorno , il loro bestiame al pascolo, ritirandolo la sera nelle cascine. Ma gli altri comunisti consegnano il loro bestiame a guardiani nominati da loro stessi in apposita assemblea. e pagati a spese comuni. Il bestiame è così riunito in mandra, il latte lavorato in comune da un casaro stipendiato, i prodotti divisi in proporzione del latte fornito dalle vacche di ciascun utente. Dunque su queste alpi trovansi insieme ad alpeggiare il bestiame costituito in malga ed altro bestiame condotto individualmente dai singoli proprietari. Tutti i comunisti pagano indistintamente al comune una tassa di erbatico di L. 3 per ogni paga bovina, L. 1,5 per ogni mezza paga ovina, L. 25 per ogni capo equino341.

Le forme di cooperazione che si riscontrano nell’ambito dei sistemi d’alpeggio in Lombardia oltre a ripetere, come negli ultimi esempi i modi della gestione comunitativa “indiretta”, presentano anche l’aspetto della gestione comunitativa “diretta” che, come indicano diversi spunti forniti dagli statuti medioevali, può essere considerata la forma di gestione “primitiva”. In alta Vallecamonica il Toniolo342 desciveva all’inizio del XX secolo come comune un sistema di gestione delle casere (alpi) così detto “ad economia”:

“Un rappresentante di ogni famiglia comunista sale colle sue bastie e resta alla malga tutto il periodo della monticazione, dormendo insieme con gli altri compaesani e facendosi da mangiare ognuno per suo conto nella comune cucina. Invece il latte si lavora in comune, pesando volta per volta quello di ogni singolo proprietario e dividendo poi proporzionalmente i prodotti343.

336 IPASoII, p.55

337 IPASoI, p. 34-35.

338 IPASoIII, p. 105-111.

339 All’ Alpe Mezzana erano in forza 3 pastori per le vacche, 2 cascinai, un pastore per i vitelli, un pastore per le capre, un pastore dei buoi, un manzinaio, un manzolinaio, un pecorinaio, un caccino 14 persone tra uomini e giovinetti p. 108. La Convenzione fra i proprietari dell’Alpe Mezzana prevedeva il seguente carico del tutto ragguardevole: 24 maiali, 120 vacche da latte, almeno 120 capre da latte, 60 manze, 44 buoi, ibidem p. 108. Analoghe forme di gestione erano applicate anche all’Alpe Luserna dove nella Convenzione si stabiliva tra l’altro che, tra i compiti del casaro, (Cap. 6) vi fosse anche quello dichiarare abile il toro e prescrive che il toro dovesse servire alla malga [di vacche].

340 In precedenza e, attualmente, in comune di Costa Volpino.

341 IPABg, p. 229. Questo esempio è interessante per vari motivi in quanto, oltre a confermare la presenza di forme d’uso “promiscue”, indica come l’evoluzione verso la gestione imprenditoriale attraverso l’affitto non abbia rappresentato un processo lineare; l’Alpe Monte Alto, cinque secoli prima, era, infatti “incantata” ad un caricatore cui i singoli proprietari dovevano versare un corrispettivo per la monticazione del proprio bestiame. In questo caso l’alpe è tornata all’uso civico diretto, in forma cooperativa, da parte dei comunalisti. Un’evoluzione “inversa”.

342 A.R. Toniolo op. cit.

343 “La conduzione delle casere è di regola fatta col sistema detto ad economia. Un rappresentante di ogni famiglia comunista sale colle bestie e resta alla malga tutto il tempo della monticazione, dormendo insieme con gli altri compaesani e facendosi da mangiare ognuno per proprio conto nella comune cucina. Invece il latte si lavora in comune pesando di volta in volta quello di ogni singolo proprietario e dividendo poi proporzionalmente i prodotti. Soltanto i proprietari che hanno pochi capi di bestiame restano al basso, consegnandoli in custodia agli altri ai quali viene rilasciato come compenso parte del prodotto o in natura o in denaro. Generalmente i proprietari non inviano le proprie bestie sempre alla stessa malga o agli stessi prati, ma nei comuni che possiedono più malghe o più pascoli da dare in affitto si può cambiare di anno in anno, scegliendo in primavera la località desiderata facendone domanda ai diretor dei pascui. Sono questi due individui scelti ogni anno dai rispettivi consigli comunali fra le persone proprietarie di animali, le quali maggiormente godono la stima pubblica, che sono incaricati di stabilire, volta per volta, le residenze estive, di fissare le quote di affitto ed i limiti dei pascoli per le baite isolate, di stabilire il canone delle casere per gli estranei al Comune e di risolvere, con funzione di arbitri, qualunque divergenza relativa ai pascoli comunali. Questo speciale sistema patriarcale di conduzione in comune delle malghe, nonché la vita

L’autore, a dimostrazione dell’importanza dei pregiudizi ideologici che hanno connotato l’approccio degli studiosi “moderni” ai sistemi tradizionali d’alpeggio, per giustificare la presenza di una spirito associativo nei montanari camuni, definiti “gretti ed egoisti”, è costretto a rilevarne la valenza negativa in termini di “spirito di promiscuità”:

“Questo speciale sistema patriarcale di conduzione in comune delle malghe, nonchè la vita insieme che i vari comunisti conducono alla casera è solo possibile qui date le speciali condizioni di vita di questi montanari (di solito così gretti ed egoisti nei loro interessi) assuefatti come sono, per le speciali condizioni fisiche ed economiche della valle, ad una vita per molti riguardi a comune cogli altri conterranei anche nei mesi invernali nella casa spesso promiscua dei paesi, e nei mesi primaverili ed autunnali nei casali temporanei”

L’ Agostini, alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, osserva ancora la presenza di questo sistema di gestione in alta valle (riprendendo pedissequamente le note del Toniolo), ma osserva anche un sistema in parte diverso nelle alpi di proprietà del comune di Edolo, dove i proprietari salivano a turno e vi restano per 3-4 settimanea344. Quest’ultimo sistema era praticato anche in Valtellina dove, ancora nel XX secolo, i proprietari del bestiame salivano a turno all’alpe dove restavano per una settimana345. Lo spirito associativo non si manifestava solo nella fruizione dei diritti di uso civico, ma anche quando le alpi erano concesse in affitto. Sono interessanti in proposito le osservazioni del Serpieri per le valli bergamasche sopra riportate e riprese anche dal Marengoni346.

Lo spirito associativo nella gestione delle alpi bergamesche si manifestava anche attraverso la costituzione, mediante atti formali, di Società d’alpeggio. Tali Società, provviste di un Presidente, Vicepresidente e Consiglio di Amministrazione, disponevano di un’unica direzione tecnica e di proprio personale per il governo del bestiame e la lavorazione del latte e prevedevano alla suddivisione degli utili tra i soci347. Un Società di alpeggio per i pascoli del Comune di Valtorta (oggi denominata Gruppo piccoli allevatori di Valtorta) sorse nel 1948348.

Anche nelle alpi della valle del Liro (alto Lario occidentale) dove, come precedentemente visto, i contratti d’affitto “fittizi” lasciavano, di fatto, in esclusiva all’uso dei piccoli allevatori del luogo i pascoli comunali:

“Gli affittuari delle alpi di questa zona sono tutti piccoli allevatori del luogo, riuniti in società di due, tre, sei membri349. L’uso dell’alpe procede associato, con la costituzione di una mandra unica. Generalmente uno o più soci, il più anziano ed autorevole, funge da casaro e capo-alpe; gli altri custodiscono il bestiame; i salariati sono così ridotti al minimo, limitati spesso al solo capraio.350”

Pare poter concludere che nelle Alpi lombarde i sistemi di gestione associata delle alpi in forma unitaria fossero ampiamente diffusi indipendentemente dai titoli di godimento (affitto, uso civico, comproprietà). E’ possibile anche rilevare una continuità nel tempo testimoniata dal permanere, fino al XX secolo, da sistemi di gestione descritti negli statuti medioevali. In Lombardia le forme di gestione comunitativa associata presentano sia la forma “indiretta” (amministrazione comune e nomina di direzione tecnica) che quella “diretta” (gestione in economia da parte dei soci che cooperano tra loro in alpe) tale differenziazione può trovare giustificazione nella diversa dimensione delle alpi (carico, paghe), ma potrebbe anche essere espressione della permanenza, in relazione al contesto culturale oltre che economico/ecologico, delle forme più antiche.

insieme che per più mesi i vari comunisti conducono alla casera è possibile qui date le speciali condizioni di vita di questi montanari (di solito così gretti ed egoisti nei loro interessi) assuefatti come sono, per le speciali condizioni fisiche ed economiche della valle, ad una vita per molti riguardi a comune con gli altri conterranei anche nei mesi invernali nella casa spesso promiscua dei paesi, e nei mesi primaverili ed autunnali nei casali temporanei.”

344 G. Agostini, op. cit.

345 D.Zoia, comunicazione personale.

346 M. Marengoni, op. cit., 1997, p. 19: “Esistevano anche dei casalini che avendo posco bestiame erano costretti ad affittare l’alpe in comune con altri allevatori di montagna, a riunire le bestie in un’unica mandria, provvedendo alla custodia e fabbricando formaggio a turno per ripartire poi profitti e spese in proporzione al bestiame posseduto da ciascuno.”

347 M. Marengoni, ibidem, cita ad esempio quelle di Castione, Bratto, Dorga e Ornica.

348 Il regolamento è riportato per esteso dal Merengoni, ibidem, p. 19-23.

349 Si tratta di alpi piccole e con pascoli spesso erti e magri.