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Stato dell’arte delle strategie di controllo

in ambito riabilitativo 8

(a) LOKOMAT (b) ALEX

Figura 1.5: Robot per la terapia del cammino

1.3

Stato dell’arte delle strategie di controllo

in ambito riabilitativo

Presenteremo in questa sezione una breve panoramica delle strategie di controllo adottate in campo riabilitativo, facendo riferimento alla classificazione fatta in [1]. Si rimanda al medesimo articolo per una trattazione più completa e approfondita.

Gli algoritmi di controllo di robot riabilitativi possono essere catalogati a seconda del principio base che li caratterizza. Si distinguono:

1. Controlli senza contatto 2. Realtà simulata

3. Controlli challenge-based 4. Controlli assistivi

In tali categorie è possibile raggruppare la maggior parte degli algoritmi di alto livello che governano il comportamento di un robot riabilitativo; i controlli a basso livello che realizzano tali logiche sono tutt’altra questione e verranno

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discussi solo per le logiche sviluppate in questa tesi.

Per controlli senza contatto si intendono tutti quegli algoritmi che non prevedono un’interazione fisica tra robot e paziente, bensì una cooperazione a livello psicologico. Il robot ha il compito di stimolare e incoraggiare il soggetto nel completare i propri obbiettivi, e lo fa attraverso stimoli visivi, suoni, dati di feedback e movimenti. L’efficacia di tali tecniche è ancora in fase di studio, senza dubbio gli aspetti motivazionali e psicologici della terapia hanno un’e- norme rilevanza e i feedback raccolti in fase di sperimentazione sono stati positivi.

Con realtà simulata si vogliono definire, invece, tutte quelle terapie che cercano di riprodurre situazioni di vita quotidiana, cercando di immergere l’individuo in un ambiente sensorialmente molto simile a quello che sperimenta giornalmente, ad esempio esercitando il cammino in un ambiente virtuale che imita una strada, o interagendo con dispositivi aptici che restituiscono la sen- sazione del contatto con oggetti o ancora fornendo all’esercizio un obbiettivo visivo ad esempio nella forma di un gioco. Tali ambienti risultano più stimolanti rispetto a quelli in cui normalmente un paziente si trova a dover fare terapia; uno studio pilota[15] ha dimostrato che queste tecniche migliorano il risulta- to durante l’esercizio, velocizzano il processo di recupero, portano a risultati migliori anche durante esercizi in ambienti standard, facilitano il processo di accettazione della terapia e contribuiscono in modo positivo alla soddisfazione e benessere del paziente. Sulla piattaforma MIT-MANUS sono stati sviluppati diversi di questi algoritmi con ottimi risultati.

i controlli challenge-based sono algoritmi che tendono a rendere un task naturale più impegnativo, così da sfidare ed esercitare le capacità del pazien- te. Si applicano a questo campo i controlli di forza definiti in impedenza e ammettenza, ovvero che regolano qualità e quantità di interazione tra uomo e macchina. Un esempio semplice di esercizio challenge-based che sfrutti tale principio è un qualsiasi movimento al quale aggiungiamo una resistenza, fissa o magari basata su modelli più complessi come quello visco-elastico. Per pazienti

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emiplegici4, è possibile ideare terapie nelle quali, durante un task bilaterale, l’arto sano viene ostacolato, così da incentivare l’utilizzo dell’arto con deficit motorio; tali terapie si dicono Constraint Induced.

Altri algoritmi che rientrano in questa categoria prevedono di sfruttare la gravi- tà come fonte di impedimento al movimento; è possibile compensare in parte i carichi dovuti al peso dell’arto in movimento, variare tale percentuale di compensazione prima o durante l’esercizio, fino ad annullarla completamente. Il meccanismo di base è analogo a quello dell resistenza generica aggiunta al movimento, come analoghi sono i risultati ottenuti dalla terapia, molto variegati e sparsi, tanto che non è stata ancora dimostrata una sostanziale differenza di efficacia rispetto alle logiche assistive.

Le tecniche tipo Constraint Induced hanno dimostrato la loro validità nel trat- tamento di pazienti post-ictus, come detto in [16], aumentando la velocità di esecuzione dell’esercizio, generando miglioramenti mantenuti poi su task funzionali.

Sempre in questo gruppo rientrano le strategie di amplificazione degli erro-

ri. Questi algoritmi prevedono di rilevare l’errore di posizione commesso dal

paziente e generare dei comandi al robot tali da cercare di amplificare tale errore; è stato osservato che tale strategia genera una temporanea diminuzione dell’errore nel momento in cui il meccanismo di amplificazione viene spento. L’utilizzo di questa tecnica ha prodotto buoni risultati anche nella riabilitazione di soggetti senza deficit neurologici, portando ad un recupero più rapido quando la tecnica di amplificazione degli errori veniva applicata temporaneamente e in abbinamento ad un campo di forze che ostacolasse il movimento. Risultati analoghi possono essere ottenuti con strategie che invece di alterare fisicamente la posizione del soggetto, falsano i feedback propriocettivi inviati all’utente, creando l’illusione di un errore di posizionamento maggiore rispetto a quello reale.

L’ultima e più numerosa categoria di algoritmi è quella dei controlli assisti-

vi. Rientrano in questo gruppo tutte le logiche che forniscono una qualche forma

di aiuto/agevolazione al soggetto, in antitesi rispetto agli algoritmi challenge- based. Esistono moltissimi esempi di logiche assistive, e sempre nuovi sono in

4Pazienti che presentano un deficit motorio da danno neurologico limitato ad un solo lato

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continuo sviluppo.

Una possibile realizzazione del concetto di assistenza consiste nel realizzare un controllo che, definito un task obbiettivo, eserciti sul soggetto delle azioni tali da pilotarlo sul task assegnato, con interventi in qualche modo proporzionali al ritardo, all’anticipo o in generale all’errore commesso dal paziente, completando il movimento laddove il soggetto non ne è in grado, assicurando che questo non si allontani più di quanto stabilito dall’obbiettivo fissato e agendo non appena viene rilevato un disallineamento rispetto al target. I vantaggi che questo tipo di controllo offre, possono venir meno se il grado di assistenza viene sovradimensionato; un eccesso di assistenza si è dimostrato controproducente su soggetti neurologici. L’effetto negativo in questione è stato definito come

Slacking Hypothesis, ovvero, letteralmente, "ipotesi di impigrimento": in primo

luogo assistere fisicamente il paziente durante un movimento cambia la dina- mica del movimento stesso, cosicchè l’esercizio compiuto è in realtà diverso da quello desiderato; inoltre un eccessivo supporto può generare un calo dello sforzo compiuto dal paziente per completare l’obbiettivo, il quale si adagia sul controllo che finisce per fare la maggior parte del lavoro e alimentando un progressivo calo di attenzione e intenzionalità. Queste dinamiche innescano l’alterazione della correlazione azione-intenzione: il paziente potrebbe esercitare una costante azione di allontanamento dalla traiettoria, compensata dal robot, con il risultato di un movimento che non corrisponde all’intezione muscolare e nervosa del soggetto. In definitiva una non accurata taratura del controllo, in tali logiche, rischia di tramutare la terapia attiva in un esercizio passivio con un certo grado di cedevolezza aggiunta.

Dato che un eccesso di assistenza risulta controproducente, sono state sviluppate logiche che seguono il principio AAN, ovvero "Assist-As-Needed".

Ad esempio, esistono controlli in impedenza che generano una forza di richiamo verso un target solo quando il paziente esce da una certa tolleranza di posi- zionamento; questo può essere fatto esclusivamente nello spazio[17], lasciando quindi pieno controllo al paziente sul quando muoversi, o in aggiunta anche nel tempo, legando il target ad un istante temporale e generando una assistenza se il soggetto risulta in ritardo o in anticipo oltre una certa soglia[18]. Tale tolleranza può essere definita come una regione che limita lo spazio di lavoro entro il quale definire le traiettorie, oppure un vero e proprio "tunnel" attorno

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alla traiettoria designata.

Un’altra tecnica prevede di innescare l’assistenza solo in risposta ad un trigger generato dall’utente. Tale trigger può essere una soglia di spinta, di velocità, di attivazione muscolare misurata tramite EMG, come sperimentato su MIT- MANUS(Fig. 1.4)[18]. Si può richiedere di superare tali soglie solo in partenza o di mantenere la variabile designata costantemente oltre il limite per far procede- re l’esercizio. In questo modo il soggetto è stimolato ad iniziare autonomamente il movimento e le variabili designate come osservatori possono essere progettate in modo tale da salvaguardare la correlazione tra movimento e stato neuro- muscolare del paziente, importantissima per la riabilitazione post-ictus.

Anche la compensazione della gravità, già vista nella categoria challenge-based, può essere reinterpretata in ottica assistiva, ad esempio elaborando esercizi fun- zionali depurati dell’onere gravitazionale. Allo stesso modo si possono elaborare logiche in grado di filtrare carichi esterni indesiderati, ad esempio dovuti a spa- smi e co-contrazioni, salvaguardando la parte di input legata all’intenzionalità del movimento.

I parametri che governano tutte queste tipologie di controllo, possono essere definiti staticamente o determinati in modo dinamico. Il secondo caso è quello dei così detti controlli adattivi. Le logiche secondo le quali variare tali parametri vanno dall’analisi in tempo reale della prestazione del paziente, a tecniche di ottimizzazione che mirano a minimizzare l’interazione uomo-robot o un funzio- nale legato al grado di assistenza. Tale cooperazione tra controllo e paziente è stata sperimentata sia su LOKOMAT(Fig. 1.5a)[19], sia su MIT-MANUS[18], con ottimi risultati per quanto riguarda il fenomeno dello Slacking descritto in precedenza: alcune di queste logiche variano i propri parametri in modo tale che l’assistenza venga gradualmente spenta man mano che ci avviciniamo al target. Questo promuove l’attenzione del paziente innalzando considerevolmente l’efficacia della terapia[20]. Come detto in [21], i risultati ottenuti con controlli assistivi suggeriscono che tali tecniche possono portare notevoli vantaggi rispetto alle terapie convenzionali, se correttamente progettati. Nello stesso viene posto l’accento sul fatto che l’alternanza di assistenza e non assistenza, può giocare anch’essa un ruolo importante.

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