• Non ci sono risultati.

«Trascurare lo Stato ha significato la negazione del referente centrale del Politico, l’abbandono di un’intera sfera di conoscenze e di pratiche […] senza fermarsi a considerare quanto tale strategia di ripiegamento potesse rafforzare ulteriormente il potere di Stato».

(Sheldon Wolin, 1960)

3.1 La società della scienza

Daniel Bell ritrattava la sua diagnosi sul destino delle ideologie solo dopo l’annuncio di Francis Fukuyama circa l’imminente fine della storia1. Una ritrattazione a tratti paradossale, se non altro perché la fine della storia apparentemente incarnava il compimento concettuale della traiettoria post-ideologica tracciata da Bell2. Ciononostante, nella nuova edizione di The End of Ideology, pubblicata nel 2000 e arricchita da un saggio introduttivo significativamente intitolato The Resumption of

History, Bell dichiarava che la caduta del muro di Berlino aveva chiuso l’epoca della

fine dell’ideologia. La revisione delle sue tesi non riguardava perciò la nuova fase di turbolenze inauguratasi con gli anni Sessanta: né la “scoperta” di un’«altra America», né l’emergere di «movimenti antisistemici» scalfivano in quel frangente storico la fiducia di Bell di vivere in un mondo post-ideologico3. Era piuttosto la fine della Guerra fredda a proiettare sul mondo le minacce del conflitto, del dispotismo e della barbarie. In questo senso, la stessa guerra fredda veniva deideologizzata, poiché, considerata retrospettivamente, essa avrebbe posto le basi per un mondo che tendeva all’equilibrio e alla convergenza tra le strutture sociali delle due superpotenze, ferme restando le differenti concezioni di libertà e democrazia da loro storicamente incarnate. La fine

1 F. Fukuyama, The End of History and the Last Man, New York, Free Press, 1992 trad. it La fine della

storia e l’ultimo uomo, Milano, Bur Rizzoli, 2011.

2 M. Ricciardi, Fine dell’ideologia? Fine della storia?, in Storia d’Europa e del Mediterraneo, vol. XIV:

Culture, ideologie, religioni, in corso di pubblicazione presso la Salerno Editrice di Roma.

3 M. Harrington, The Other America: Poverty in the United States, New York, Macmillan, 1962 trad. it

L’altra America: la povertà negli Stati Uniti, Milano, Il Saggiatore, 1963; J.T. Patterson, America’s Struggle against Poverty in the Twentieth Century; Cambridge-London, Harvard University Press, 20004;

della fine dell’ideologia costituiva pertanto l’ingresso nella storia, che la sociologia americana aveva cercato di rimuovere per stabilire un corso ordinato dello sviluppo sociale, al riparo dalle interferenze storiche. Voltandosi indietro a cavallo del nuovo millennio, Bell vedeva dunque l’età della Guerra Fredda come una fase di sospensione della storia, che, una volta caduta la cortina di ferro, si riversava nel mondo con il suo lascito di rivoluzioni, guerre, speranze e orrori4.

Tornando allora agli anni Sessanta si può osservare la continuità del percorso di ricerca avviato da Bell tra il dopoguerra e gli anni Cinquanta. In particolare, erano le tendenze riguardanti lo sviluppo della scienza e la terziarizzazione della struttura occupazionale a tenere viva “l’immaginazione sociologica” di Bell. Nel 1961, egli inviò al suo mentore di Columbia, Robert Merton, una proposta di seminario, promosso dal Tamiment Institute di New York (del cui Advisory Committe Bell era membro) e della rivista «Daedalus», su «Il ruolo sociale della scienza e degli scienziati»5. Nelle intenzioni di Bell, il «ruolo sociale» corrispondeva alla funzione pubblica della scienza, a conferma delle ricadute politiche che il lessico sociologico aveva ormai acquisito nelle argomentazioni di Bell. L’enfasi sull’expertise nella formulazione di politiche pubbliche costituiva d’altronde uno dei tasselli cardine nell’architettura del pensiero di Bell fin dagli anni Cinquanta, destinato per altro a consolidarsi e a espandersi negli anni dell’amministrazione Kennedy e della Great Society di Johnson.

Tuttavia, le argomentazioni di Bell contenevano un’intuizione che sarebbe stata sviluppata parallelamente alla teorizzazione della società post-industriale, segnando una cesura istituzionale rispetto a un passato in cui la preminenza del potere sociale finiva per relegare in una posizione marginale il potere politico organizzato, ovvero lo Stato. Si trattava di una tendenza caratteristica del dibattito accademico del dopoguerra, che David Ciepley ha attribuito al collasso di un’ideologia politica centrata sullo Stato e più in generale alla sconfitta del programma progressista e newdealista, dal momento che l’incontro con i regimi fascisti e comunisti aveva fatto sorgere tra gli intellettuali americani un’inquietante assonanza tra Stato forte e totalitarismo6. Di contro, Desmond

King e Marc Stears hanno sostentuto che il sentore di un pericolo totalitario, proveniente dall’estensione del potere dello Stato, avrebbe semmai allarmato le scienze

4 D. Bell, The Resumption of History, in Id., The End of Ideology: On the Exhaustion of Polical Ideas in

the Fifties, Cambridge-London, Harvard University Press, 2000, pp. xi-xxviii.

5 D. Bell, “The Social Role of Science and Scientists”, in Robert Merton Archive, Box 7, folder 9, p. 1.

Rare Books and Manuscript Library (RBLS), Columbia University, New York.

6 Cfr. D. Ciepley, Liberalism in the Shadow of Totalitarianism, Cambridge-London, Harvard University

sociali, spingendole in tal caso a concentrare le proprie forze sulle derive autoritarie prodotte dal sistema politico. Secondo questa lettura, la scelta di accantonare lo Stato derivava piuttosto dall’idea assai diffusa che i pericoli di un’involuzione totalitaria si annidassero nella “personalità autoritaria” e, più in generale, fossero il potenziale lascito di fattori socio-psicologici, quali le isterie e le ansie da status, simili a quelle intraviste nel maccartismo7. Un’ipotesi avvalorata dallo studio di Bell che, dopo aver iniziato ad

analizzare il problema del potere in chiave socio-psicologica, se ne sarebbe allontanato nel dopoguerra, non per focalizzare le proprie riflessioni sul sistema politico- istituzionale, ma sulla società come sistema autonormativo immune dal morbo totalitario.

La riflessione sulla funzione pubblica della scienza sollecitava invece un’analisi attenta del network costituitosi attorno agli organi amministrativi, che coinvolgeva nell’azione di governo università, fondazioni e imprese private in vista dell’implementazione di una politica della scienza all’altezza delle trasformazioni profonde che attraversavano la società americana. Si veniva cioè a creare uno spazio politico-istituzionale in cui la classica separazione tra pubblico e privato, invocata ancora da Bell nell’età del maccartismo, tendeva a svanire, consentendo, come vedremo meglio in seguito, la costituzione di una struttura di governo integrata, in cui all’amministrazione spettava il compito di coordinare imprese private ed enti di ricerca pubblici o di natura ibrida nello sforzo collettivo di produrre conoscenza scientifica finalizzata alla riproduzione dell’ordine della società.

L’ipotetica lista dei partecipanti al seminario, redatta dallo stesso Bell, era rappresentativa delle agenzie che egli vedeva al centro di tale operazione. Tra gli altri, includeva Emanuel R. Piore, direttore dell’area scientifica dell’IBM, il grande fisico e padre della bomba atomica Robert Oppenheimer dell’Institute for Advanced Study di Princeton, il sociologo Hans Speier della RAND Corporation, un’agenzia semipubblica direttamente finanziata dal Dipartimento della Difesa statunitense e impegnata nell’attività di research and development8. L’obiettivo del seminario sarebbe stato, nei

piani di Bell, quello di avanzare una serie di proposte in relazione alle politiche da seguire in materia di istruzione e al ruolo del governo in qualità di centro nevralgico e di

7 D. King, M. Stears, The Missing State in Postwar American Political Thought, in L. Jacobs, D. King,

The Unsustainable American State, Oxford-New York, Oxford University Press, 2009, pp. 116-32. Oltre al già citato volume di Bell sul maccartismo, cfr. T.W. Adorno, The Authoritarian Personality, New York, Harper & Brothers, 1950.

8 D. Bell, “The Social Role of Science and Scientists”, cit., p. 4. RAND è appunto la crasi di Research

finanziatore dei programmi di ricerca scientifica. A muovere Bell in questa direzione era la certezza che la scienza sarebbe stata il cardine attorno a cui sarebbe ruotata la società del futuro, come d’altronde lasciavano presagire analoghe tendenze registrate in Unione Sovietica, un tempo fustigatrice della “scienza di classe” e ora lanciata nella conquista “scientifica” dello spazio9. La scienza aveva dunque una funzione «internazionalizzante», nella misura in cui giocava un ruolo centrale nell’alimentare il processo di convergenza che indirizzava le principali società avanzate verso un percorso tecnico-scientifico comune10.

La scienza accelerava il passo del cambiamento sociale, sicché Bell si concentrava sulla ricerca dei criteri atti a dirigerlo. Da tale quadro emergeva il profilo della società post- industriale, che segnava uno scarto rispetto alla precedente organizzazione sociale, non solo in virtù della terziarizzazione della forza lavoro, quanto piuttosto per la centralità che la scienza veniva ad assumere nel modellare la società. Anzi, solo alla luce di tale centralità potevano essere lette le trasformazioni nella struttura occupazionale, che non ricalcavano semplicemente il processo di terziarizzazione elaborato da Colin Clark e condiviso fin dal dopoguerra da Bell, nella speranza che l’evoluzione della società perfezionasse l’integrazione della working-class industriale11. Dato per acquisito il primato relativo che il terziario aveva ottenuto negli Stati Uniti già nel 1956, Bell riteneva che tale categoria fosse troppo informe e imprecisa per stabilire la direzione del cambiamento sociale. Al suo interno si annoveravano tipologie di lavoro troppo poco qualificato e dallo scarso contenuto cognitivo, che non restituivano la dimensione scientifica e teorica che connotava il coevo sviluppo socio-economico. Occorreva, secondo Bell, focalizzare l’analisi sull’emergere di un settore quaternario e quinario, composto per lo più da scienziati e tecnici12. Erano queste le figure sociali che davano il tono alla società degli anni Sessanta, che, in tal senso, definiva non tanto come società dei servizi, quanto piuttosto come “società post-industriale”. Fu Bell infatti a dare

9 Ibidem, pp. 3-4.

10 Sul problema della convergenza vedi Infra. Sotto questo aspetto rivestono un particolare interesse le

ricerche di Talcott Parsons al Russian Research Center di Harvard all’inizio della Guerra fredda. Cfr. D.C. Engerman, To Moscow and Back: American Social Scientists and the Concept of Convergence, in N. Lichtenstein, (ed.), American Capitalism. Social Thought and Political Economy in the Twentieth Century, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2006, pp. 47-69. Il tema della convergenza era stato al centro di alcune relazioni presentate alla già citata conferenza promossa dal Congress for Cultural Freedom a Milano nel 1955. Cfr. B. de Jouvenel, Identité d’essence des économies capitalistes et soviétiques, “L’Avenir de la Liberté”, Milan 12-17 Septembre 1955, conservato alla Fondazione Lelio e Lisli Basso di Roma.

11 D. Bell, The Changing Class Structure of the United States, in «The New Leader», June 15, 1946, p. 3 12 D. Bell, The Coming of Post-Industrial Society. A Venture in Social Forecasting, New York, Penguin

dignità teorica a una definizione oggi assai in voga per decifrare la forma assunta oggi dalla società, nella sua configurazione post-fordista.

A Bell va dunque riconosciuto il merito di aver intuito il declino e le trasformazioni del fordismo in una fase di transizione che sarebbe culminata solo negli anni Settanta. Infatti, se The Coming of Post-Industrial Society uscì nel 1973, anno della crisi petrolifera e turning point decisivo per archiviare l’esperienza fordista13, la gran parte

delle riflessioni che costituivano il blocco centrale del volume venivano sviluppate a partire dalle sue annotazioni sul nuovo ruolo della scienza e degli scienziati a cavallo degli anni Sessanta. Benché David Riesman avesse utilizzato per primo tale categoria nel 1958, si trattava di tutt’altro genere di questioni. Riesman intendeva infatti sottolineare la centralità del tempo libero e dello svago nella nuova società dei consumi14. Al contrario, Bell puntava a mettere in luce la nuova organizzazione produttiva della società, evidenziando le ricadute che tali trasformazioni generavano sul piano dell’organizzazione politica e della sfera culturale. Bell precisava pertanto di aver adottato per la prima volta il termine post-industrial society in un paper presentato in un seminario a Salisburgo nell’estate del 1959, dove scriveva: «Il termine società post- industriale – un termine che io ho coniato – denota una società che da società produttrice di beni si è trasformata in una società di servizi»15. Si trattava tuttavia di un’indicazione preliminare, che in fondo non si discostava dallo schema di evoluzione sociale proposto da Clark. In altri termini, la società di servizi immaginata da Bell mancava ancora di una più precisa connotazione, che sarebbe stata individuata soltanto nel 1962. A partire da quell’anno, il termine “società post-industriale” diventò una presenza ricorrente negli scritti di Bell, il quale ipotizzava così l’avvento di quella che si potrebbe definire una futura “società della scienza”16. Una società cioè in cui «l’elemento predominante non è più il business ma l’attività intellettuale»17.

13 D. Harvey, The Condition of Postmodernity, Oxford, Basil Blackwell, 1990, trad. it. La fine della

modernità, Milano, Net, 2002, pp. 187-215

14 Cfr. D. Riesman, Leisure and Work in Post-Industrial Society, in Id., Mass Leisure, Chicago, Glencoe,

1958.

15 La citazione è in D. Bell, The Coming of Post-Industrial Society, cit., 19762, p. 37 n.

16 In una lettera a Merton del 1962, Bell scriveva di aver allegato un paper dal titolo The Post-Industrial

Society per avere i suoi commenti. Del paper non vi è più traccia negli archivi, benché, per stessa ammissione di Bell, i contenuti della relazione vennero sostanzialmente trascritti nel saggio The Post- Industrial Society, edito in E. Ginzberg, Technology and Social Change, New York, Columbia University Press, 1964. In questa sede faremo dunque riferimento a tale testo, che, in ordine cronologico, costituisce la prima fonte edita in cui compare l’espressione società post-industriale. Ad ogni modo, la lettera a Merton conferma la genealogia dell’espressione così come fu ricostruita da Bell, assegnando a lui la paternità del concetto di società post-industriale. D. Bell to R. Merton, 4 April 1962, Robert Merton Archives, Box 7, folder 9.

Tre sarebbero stati secondo Bell i fattori peculiari della società post-industriale: «1) l’incremento esponenziale delle attività scientifiche, 2) lo sviluppo della tecnologia intellettuale, 3) la crescita delle attività di ricerca e sviluppo»18. Bell stava cioè svelando il dispiegamento dell’età positiva prevista da Auguste Comte: un’età in cui nessun segreto sarebbe stato più precluso alla scienza, destinata a indagare aree un tempo inesplorate, mettendo a valore le nuove scoperte19. L’impatto dell’inarrestabile

progresso scientifico emergeva immediatamente dall’osservazione dello sviluppo della tecnologia intellettuale. Non si trattava delle invenzioni, sia pure fondamentali, che in passato uomini dotati di tanto ingegno ma privi di metodo scientifico avevano messo a punto. Si trattava invece dell’applicazione sistematica del metodo scientifico alle derivazioni pratiche della ricerca teorica. D’altronde, Bell condivideva la tesi del grande filosofo della scienza di Harvard Alfred N. Whitehead, secondo cui l’asse portante della modernità «è stata l’invenzione del metodo dell’invenzione […] Noi dobbiamo perciò concentrarci sul metodo, poiché questo costituisce la vera novità, che ha destrutturato le fondamenta della vecchia civiltà»20.

Lo sviluppo e la diffusione del computer rappresentava un enorme passo in avanti nel campo della tecnologia intellettuale, poiché era pensato per risolvere tutta una serie di problemi ritenuti al di fuori della portata dell’intelletto umano21. Invece che mediante singole e brillanti intuizioni, il computer si basava su algoritmi, ovvero regole logiche di

problem-solving, per gestire quella che lo scienziato Warren Weaver aveva definito la

«complessità organizzata»22. Il computer si rivelava poi tanto più necessario quanto più all’interno della società post-industriale si stava verificando una «rivoluzione dell’informazione», ovvero una moltiplicazione di dati resi disponibili dalla diffusione e dallo sviluppo della conoscenza, che solo macchine adeguatamente programmate erano in grado di gestire ed eventualmente mettere a valore23. Non a caso, passando in rassegna le teorie sociali della modernità, Krishan Kumar ha visto nelle moderne teorie

18 Ibidem.

19 Ibidem, pp. 45. Nello «stadio positivo» previsto da Comte, una delle funzioni chiave sarebbe stata

quella del «coordinamento», in primo luogo «intellettuale, poi morale e infine politico», che, come abbiamo già accennato e come vedremo meglio in seguito, costituiva un aspetto centrale dell’organizzazione post-industriale della società. Cfr. A. Comte, Corso di filosofia positiva (1830-42), Torino, UTET, 1967, vol. II, p. 490. Cfr. anche A. Negri, Introduzione a Comte, Roma-Bari, Laterza, 1983.

20 A.N. Whitehead, Science and the Modern World (1925), New York, The New American Library, 1960,

p. 141; Cfr. anche D. Bell, The Coming of Post-Industrial Society, cit., pp. 27-8.

21 D. Bell, The Post-Industrial Society, cit., p. 46.

22 D. Bell, The Coming of Post-Industrial Society, cit., pp. 28-9. W. Weaver, Science and Complexity, in

Id., (ed.), The Scientists Speak, New York, 1947.

della società dell’informazione il compimento logico della teoria della società post- industriale e, pertanto, ha attribuito a Bell la paternità di entrambe24. Infine, l’incremento registrato nelle attività di research and development riguardava principalmente università ed enti di ricerca, ma chiamava direttamente in causa l’amministrazione poiché i costi della ricerca erano troppo esosi per essere affrontati senza il sostegno della mano pubblica. Si trattava di un segnale di discontinuità che lasciava presagire l’avvento di una nuova era. Nel regno del fordismo imperante le commesse del governo riguardavano principalmente la produzione di beni, nel momento in cui invece l’amministrazione federale “appaltava” la produzione scientifica emergeva il problema dell’indipendenza della ricerca, che si presumeva dovesse essere libera da interferenze politiche25.

A fronte di tali trasformazioni, Bell iniziava ad interrogarsi su quale forma stesse assumendo lo Stato nel nuovo assetto post-industriale. In particolare, si chiedeva se lo Stato fosse destinato a diventare «un’istituzione intellettuale»26. Certo, egli considerava la tradizionale impresa fordista, un tempo istituzione centrale della società, destinata a essere soppiantata da nuove e più rilevanti istituzioni che rispecchiavano l’organizzazione socio-economica della società. In primo luogo, istituzioni di tipo governativo, ma ancor di più istituzioni che non erano né sotto il controllo diretto del pubblico né sotto quello del privato: authority di emanazione governativa come la rooseveltiana Tennessee Valley Authority (TVA) e la più recente Atomic Energy Commission (AEC), università e centri di ricerca. Una svolta che non interessava solamente il ridimensionamento degli imperativi dell’efficienza a fronte della necessità di gestire non più capitale fisso ma capitale umano, ma che andava a incidere sull’ammodernamento e le trasformazioni della struttura politico-istituzionale del paese. «Uno degli aspetti impressionanti dei problemi riguardanti il governo – osservava Bell – è l’incapacità di chiamare direttamente in causa il business per trovare le adeguate soluzioni, mentre per questo stesso compito si è dovuto affidare a istituzioni come RAND e MITRE»27. Lo Stato associativo degli anni dell’amministrazione Hoover,

fondato sulla cooperazione volontaria degli interessi economici, era stato senz’altro affossato dalla Grande Depressione, ma d’altronde la collaborazione tra

24 K. Kumar, From Post-Industrial to Post-Modern Society. New Theories of Contemporary World,

Oxford, Blackwell, 1995, trad. it. Le nuove teorie del mondo contemporaneo. Dalla società post- industriale alla società post-moderna, Torino, Einaudi, 2000, pp. 3-49.

25 D. Bell, The Post-Industrial Society, cit. pp. 48-9. 26 Ibidem, p. 56.

27 Ibidem, pp. 56-7. La MITRE (MIT Research and Engineering) era un laboratorio del MIT a cui il

amministrazione e capitale, sia pure sotto nuove forme più istituzionalizzate, era proseguita durante il New Deal, come un provvedimento quale il National Industrial Recovery Act del 1933 dimostrava28. Tuttavia, le profonde trasformazioni della struttura socio-economica, e in primo luogo il nuovo ruolo svolto dalla scienza, determinavano l’obsolescenza di un rapporto tra politica ed economia diretto alla produzione di beni tangibili e immediatamente remunerabili. La produzione di ricerca, idee e tecnologia intellettuale prometteva sì scenari di opulenza, ma gli onerosi investimenti necessari ad avviare le attività di research and development richiedevano nuove forme di cooperazione istituzionale tra governo, enti di ricerca e imprese non più basate sulla ricerca immediata di profitto. Non sfuggiva a Bell che tutto ciò implicava «un allontamento drastico dai modi tradizionali con cui il governo e la società operano»29. Bell ammetteva candidamente che l’impulso al progresso scientifico derivava in larga

Documenti correlati