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CAPITOLO II: Il carattere diacronico dei generi musicali

2.2.6 Lo steccato dei generi

La traiettoria dei generi delineata da Lena non si basa su un modello universale, ciclico ed esattamente ricorrente. Dall’analisi della sociologa è possibile constatare che non tutti i cinquantuno generi musicali americani da lei considerati assumano ogni forma della traiettoria dei generi: alcuni di questi, come la Disco, il Grunge Rock ed il Jazz

Fusion, esauriscono il loro sviluppo prima di entrare nella corrente tradizionalista; altri,

come il simbolico jazz tipico di New Orleans fino agli anni 1920, non ricevono una sovraesposizione alle logiche industriali, ma la loro cultura viene comunque elevata ad istituzione. L’autrice riconduce queste deviazioni a tre cause principali: L’assorbimento

Ivana Kronja, “Turbo Folk and Dance Music in 1990s Serbia: Media, Ideology and the 111

Production of Spectacle”, The Anthropology of East Europe Review, Vol. 22, No.1, 2004, (p.103).

Uroš Čvoro, Turbo-folk Music and Cultural Representations of National Identity in Former 112

di artisti e stili musicali all’interno di altri generi musicali; la resistenza dei generi a forme di espansione ed sviluppo; l’esclusione discriminatoria di un genere. In particolare agli ultimi due punti, risulta essere estremamente importante il concetto di

autenticità. Esso ricopre qui un ruolo analogo rispetto al contesto discorsivo, venendo

ricondotto in termini di Good Music e Bad Music. Essere autentici, per una comunità che riconosce se stessa all’interno di un genere musicale, implica il profondo rispetto delle determinate convenzioni fino a quel momento osservate; si tratta quindi di un obbligo morale del rispetto delle tradizioni musicali, testuali e attitudinali che grava sui musicisti. In tal senso il genere musicale diventa a tutti gli effetti uno strumento di fidelizzazione a lungo termine ad una ideologia, intercorrente tra l’audience e i vari musicisti del genere. Il venir meno da parte di un musicista a questa sorta di patto tacito, comporta l’“etichettamento” del proprio prodotto come bad music. L’apertura di un genere musicale Scene-Based verso logiche Industry-based significherebbe un’adesione da parte della comunità ad una ideologia che potrebbe venire distorta da fini commerciali e quindi non coerente con quella precedentemente fidealizzata. Frith, a tal proposito, scrive:

«Genres initially flourish on a sense of exclusivity; they are as much (if not more) concerned to keep people out as in. The industry aim is to retain the promise of exclusivity, the hint of generic secrets, while making them available to everyone. It

sometimes seems, indeed, as if a genre is only clearly defined (its secret revealed) at the moment when it ceases to exist, when it can no longer be exclusive» . 113

Allo stesso modo, Samuel Cameron, professore di Economia all’università di Bradford, utilizza l’espressione purity in danger in riferimento al dovere morale da parte di un

genere musicale di preservare la sua integrità musicale . La critica mossa dallo 114

studioso Stuart Nicholson nel libro Is Jazz Dead? Or has it Moved to a New Address? nei confronti del processo di mainstreaming dei generi musicali attraverso il cross-

overing dei stili, viene ampiamente condivisa da Cameron; sviluppando tale prospettiva,

Simon Frith, Performing Rites…, cit., (p. 88) 113

Samuel Cameron, Music in the Marketplace. A social economics approach, Routledge, 114

quest’ultimo afferma che «the musical purity is a good thing so the existence of genres are not names to stick on folders where we can find the different “stuff” that we have

stored away» . Ma la questione musicale non risulta essere l’unica costante che deve 115

essere preservata: nonostante la sua importanza, esso rappresenta solo un tassello di quell’integrità culturale frequentemente rivendicata dalle comunità dei generi musicali. Cameron, e tanti altri studiosi prima di lui, sottolineano il concetto di razza ed etnia come costanti dell’integrità culturale. Per quanto riguarda il primo, esso va spesso a tradursi in una reiterata collusione tra musica occidentale, bianca e musica afro- americana, suonata da neri, la quale vede avere come punto di dibattito il concetto di “appropriazione culturale”. Il genere hip hop, che come il jazz viene solitamente accostato alla cultura afro-americana, fu investito da un certo numero di dibattiti e controversie in seguito all’ascesa di artisti come Eminem ed i Beastie Boys, i primi musicisti “bianchi” che si cimentarono nel genere.

Molti studiosi hanno ripreso il concetto di autenticità al fine di collegarlo alla presunta morte di un genere musicale: Stuart Nicholson con il suo libro Is Jazz Dead?

Or has it Moved to a New Address?, George Nelson con The Death of Rhythm and blues, Kevin Dettmar con Is Rock Dead? Sono solo alcuni esempi. Seguendo la

prospettiva di Lena, è possibile suggerire che parlare di morte di genere musicale potrebbe risultare inesatto. I generi musicali non muoiono, nemmeno nel caso dell’intervento più invasivo da parte dell’industria musicale, bensì si evolvono nel tempo, e si frammentano in determinate sub-culture. Il concetto di morte di genere musicale può acquistare senso solo fotografando il genere e le relative convenzioni associate in un preciso momento della sua esistenza. Quel preciso ed inequivocabile insieme di convenzioni che caratterizzavano il jazz a New Orleans negli anni 20 può essere definito non più in uso, ma il Jazz nel tempo ha assunto varie forme che ancora oggi confermano la sua esistenza. E tale discorso prescinde da quello dell’innovazione musicale. Un genere, secondo quest’ultimo approccio, può sicuramente ristagnare per la mancanza di nuovi spunti oppure per la eccessiva standardizzazione degli stili a cui fa capo; tuttavia, alcune proprie convenzioni potrebbero essere ancora in uso.

Ivi, (p. 45). 115

È possibile pertanto notare una linea di tensione che caratterizza lo sviluppo di un genere musicale: da una parte viene richiesta l’osservanza delle tradizioni che costituiscono l’identità autentica di quel genere musicale; d’altra parte il ristagno del genere è un eventualità concreta, scongiurabile attraverso una riformulazione del linguaggio musicale che può andare ad incorporare convenzioni diverse da quelle preesistenti.

In ultima istanza, i concetti di autenticità e bad music confluiscono in una visione del genere musicale come un luogo sociale attraverso cui una determinata comunità si identifica. Come Frith stesso scrive: «The marking off of some tracks and genres and artists as “bad” is a necessary part of popular music pleasure; it is a way we establish our place in various music worlds. And “bad” is a key word because it

suggests that aesthetic and ethical judgments are tied together here» . Il giudizio 116

estetico, supportato un sistema di classificazione in generi come Object, diviene in tal senso determinante anche nello sviluppo della comunità legata ai generi come process. Un esempio viene fornito dal Docente Associato di Musica e Diretto del Centro di Etnomusicologia della Columbia University Aaron A. Fox, nel suo saggio sulla musica

country . L’autrice ribadisce il concetto espresso da Frith, proponendo una rilettura 117

concettuale dei termini good e bad. Nell’economia del saggio, il carattere di badness della country music differisce su più livelli: country music diviene sinonimo di bad

music in quanto musica “troppo bianca” da parte degli Afro-Americani, con bad lyrics

di scarso spessore che trattano di abnegazione e perdita di se stessi, ed infine circolante in bad objects, per via della sua mercificazione che ha compromesso la sua autenticità. Eppure, come sottolinea Fox:

«[...] from the perspective of a Texas country music bar, country makes a strong case for its own badness[...]. Country music’s working-class fans embrace what is “bad” about the music’s - and their own - cultural identity and meaning, as a way of discovering and

Simon Frith, What is Bad Music? in Bad Music. The Music We Love to Hate, Routledge, 116

2004 (pp. 11 - 25).

Aaron A. Fox, “White Trash Alchemies of the Abject Sublime: Country as “Bad” Music”, in 117

Bad Music. The Music We Love to Hate, edited by Christopher Washburne and Maiken Derno, Routledge, New York - London, 2004: (pp. 29 - 46).

asserting what is valuable and good about their lives and their communities. [...]

country music becomes our music, experienced not as a pleasurable diversion or a solipsistic exercise in the judgment of aesthetic worth, but as a brilliant way of revaluing trash, of making the “bad” song, bad feelings, and the bad modern

(“redneck”) subject not only good, but sublimely good.»118

In questa prospettiva, è possibile affermare come il sistema di classificazione di genere come Object, unito al giudizio estetico, diventi in un certo senso una

folksonomy di una certa rilevanza all’interno dei generi musicali come Process. 119

All’interno di quest’ultimo si va a formare una comunità che percepisce, comprende e categorizza, il resto della musica in un certo modo. In tal senso, la classificazione in generi come Object può essere considerata come una delle dimensioni dei generi musicali come Process, in cui all’interno ogni individuo ribadisce la propria identità secondo un meta linguaggio differente. Nei prossimi capitoli il genere musicale come

Object diverrà in qualche modo protagonista dell’elaborato: il mercato musicale è stato

ordinato secondo tale approccio per decenni, anche se ora l’ascesa della Mood music vuole offrire una valida alternativa come sistema di classificazione. Tuttavia, per quanto categorie ed etichette vengano de-naturalizzate o sono di carattere fittizio, i generi sono realmente esistenti come fenomeno sociale: a livello locale o nazionale, musicisti e non credono in una ideologia che intendono perseguire attraverso la musica; ed è proprio questo motivo che ritengo sia necessario concepire due diversi sistemi di classificazione quando si parla dei generi musicali.

Ivi, (pp. 38 - 39; pp. 41 - 42). 118

Per folksonomy si intende un tipo di classificazione soggettiva, largamente intesa in una 119

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