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1.5 CRITERI E STRUMENTI DI PROGETTAZIONE

1.5.2 Stoccaggio del digestato

Le strutture di immagazzinamento del materiale digerito in uscita sono fondamentali nella gestione di impianto per la corretta gestione ambientale e quindi un accorto utilizzo agronomico di un sottoprodotto le cui caratteristiche, dimensioni e modalità di utilizzo sono regolate da precise normative nazionali (es. D.Lgs. 152/99; D.M. 7 aprile 2006). Lo stoccaggio si rivela indispensabile a causa dell’impossibilità in alcuni periodi dell’anno di spandere il digestato per diversi motivi:

- impraticabilità dei terreni o presenza di piogge che dilavano i nutrienti presenti nel digestato (N, P, K)

- presenza di colture, che hanno precise esigenze di concimazione - assenza di colture che utilizzino i nutrienti

In funzione della sostanza secca del digestato si utilizzano sistemi di separazione per produrre una frazione solida palabile e una frazione liquida.

La frazione solida viene raccolta in concimaie, ovvero piazzali pavimentati con recupero dei percolati e delle acque di scolo. La frazione liquida viene accumulata in vasche interrate o fuori terra. Le vasche devono avere possedere determinati rapporti superficie/altezza in modo da reggere le pressioni idrostatiche, nonché essere ricoperte con teli impermeabili nel caso delle vasche interrate per evitare percolamenti.

La quantità prodotta di digestato viene considerata pari al totale della biomassa immessa sottratta della massa di biogas prodotta stimata. Le indicazioni date dai fornitori dei sistemi di separazione o in letteratura (Fabbri et al., 2012) ci indicano le quantità e le caratteristiche dei due separati. I tempi minimi di stoccaggio per i letami e liquami bovini sono riportati nella Tabella 1 del D.Lgs. 7 aprile 2006 (Tab. 1.17). Nella tabella sono distinte le zone ordinarie, con limiti di spandimento di

53 340 kg N/ha/anno, e zone vulnerabili all’azoto, con limiti di 170 kg N/ha/anno. Si considerano zone vulnerabili le zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali di scarichi. Tali acque sono individuate per la presenza di nitrati o la loro possibile presenza ad una concentrazione superiore a 50 mg/L (espressi come NO-3) nelle acque dolci superficiali o sotterranee o per la presenza di eutrofizzazione (D. Lgs. 152 11/5/99).

Tipo di effluente Assimilazione Zone Ordinarie (ZO) Zone Vulnerabili (ZVN) Zone Ord. (ZO) Zone Vulnerabili (ZVN) Autonomia di stoccaggio (giorni) Possibilità di portare direttamente in campo evitando lo stoccaggio in azienda

Letami letame 90 90 SI < 90 giorni

con stocc. ≥ 90 giorni Frazioni palabili risultanti da trattamenti letame 90 90 NO

Letami, liquami e/o materiali ad essi assimilati sottoposti a trattamento di disidratazione e/o compostaggio letame 90 90 NO

Liquami bovini da latte liquame 90 con presenza di prati e cereali a.v. 120 in assenza 120 con presenza di prati e cereali a.v. 180 in assenza NO Liquami bovini da carne liquame 120 180 NO Liquidi di sgrondo da stoccaggio di letami e materiali separati liquame come i liquami come i liquami NO

Tab. 1.17 – Quadro riassuntivo degli obblighi di stoccaggio (S.O. G.U. n. 109)

Considerando la possibilità di incontrare periodi piovosi che non permettono lo spandimento dei digestati, oltre i vincoli normativi, vengono solitamente garantiti 4-5 mesi di stoccaggio in via precauzionale.

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1.5.3 Fermentatori

La produzione di metano ottenibile da un impianto di DA è funzione della degradabilità delle biomasse alimentate e del dimensionamento dell’impianto. L’efficienza di trasformazione del processo è il rapporto tra la produzione ottenuta e la massima producibile in condizioni ottimali stimata in test di BMP (Par. 1.3.1.4). Il dimensionamento dei fermentatori deve quindi tendere a massimizzare tale efficienza in funzione dei costi sostenuti. A monte dei procedimenti di dimensionamento vanno effettuate scelte preliminari sulla temperatura di esercizio e il numero di stadi.

Per quanto riguarda la temperatura di esercizio, in termofilia sono da considerare le seguenti indicazioni:

- i processi biologici sono più veloci, in particolare l’idrolisi è accelerata e i carichi alimentati nell’unità di tempo possono essere maggiori, con conseguenti riduzione del tempo di ritenzione idraulica necessario alla digestione; per contro instabilità biologiche possono portare più velocemente a perdite di produzione

- si misurano sperimentalmente cinetiche di raggiungimento del potenziale massimo di produzione di metano più veloci, sebbene il BMP non vari sensibilmente tra mesofilia e termofilia (LfU, 2007)

- si ha un maggior effetto inibente da parte dell’ammoniaca

- si ha una minore solubilità di CO2 e H2S, con variazioni nel potere tampone del digestato e

nella composizione del biogas

- il digestato è meno viscoso, facilitandone la miscelazione e la separazione solido/liquido - si verifica un maggior abbattimento della carica patogena

- maggiori costi di coibentazione e riscaldamento

Nel caso del numero di stadi, è opportuno valutare la separazione della fase di acidogenica e acetogenica dalla fase metanogenica in caso di substrati complessi (scarti di macellazione) la cui idrolisi è favorita a pH acidi ottenibili solamente in reattori dedicati o in presenza di substrati caratterizzati da una elevata variabilità in cui la fase idrolitica funge anche da buffer per lo stadio successivo.

I principali metodi di dimensionamento dei fermentatori per massimizzare l’efficienza di trasformazione sono il metodo parametrico e i metodi cinetici.

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1.5.3.1 Metodo parametrico

Il metodo parametrico si basa su 2 principali fattori: il carico organico volumetrico (COV) e il tempo di ritenzione idraulica (HRT). Questo tipo di criterio è ampiamente diffuso per la sua semplicità, sia per la quantità di dati empirici maturata nel settore.

Data la portata volumetrica da alimentare al digestore ( , m3biomassa/d) e il tempo di ritenzione

(HRT, d) che si è scelto di garantire all’interno del fermentatore per la corretta digestione del materiale, il volume V’ (m3) è dato dall’equazione:

(1) = ∗

Considerando invece il carico organico scelto per il processo (COV, kgSV/m3/d) e la portata in

ingresso di solidi volatili (kgSV/d), il volume V’’ è dato dall’equazione:

(2) = /!"

Il maggiore di questi 2 volumi calcolati è il volume di dimensionamento. La portata volumetrica e la portata in ingresso di solidi volatili sono legati dalla concentrazione di solidi volatili nella biomassa # (kgSV/m3biomassa) dalla relazione:

(3) = # ∗

Sostituendo l’equazione 3 nella 1 e ponendo il volume V’ pari al V’’ si ottiene: (4) = # / !"

Esiste quindi una relazione di proporzionalità inversa tra le due principali grandezze prese in esame. Individuato il parametro vincolante (COV o HRT), l’altro ne dipende direttamente in funzione della concentrazione della biomassa in alimentazione. Solitamente risulta vincolante il tempo di ritenzione per biomasse con lente cinetiche di degradazione, mentre il carico organico per matrici rapidamente biodegradabili. Si noti che se il parametro vincolante è l’HRT si può valutare se concentrare la biomassa per diminuire i volumi in gioco, compatibilmente con la tecnologia impiantistica scelta.

In fase gestionale risulta quindi difficile effettuare variazioni nella ricetta di alimentazione che portano all’abbassamento della concentrazione del substrato (es. da insilati a sottoprodotti orto- frutticoli): questa modifica porta ad una diminuzione della produzione specifica di biogas per unità di volume del digestore determinando quindi minori produzioni o maggiori costi di investimento iniziali.

Al pari dei vantaggi illustrati (semplicità di applicazione ed esperienza), il dimensionamento parametrico ci permette difficilmente di:

56 - correlare il dimensionamento all’efficienza di degradazione richiesta

- prevedere le caratteristiche biochimiche di operazione e la composizione del materiale in digestione

- considerare l’effetto delle condizioni operative (es. T), né di fattori inibenti - garantire un dimensionamento ottimale

- prevedere la risposta biologica nelle fasi transitorie (avviamento, manutenzioni, cambi di alimentazione)

1.5.3.2 Metodi cinetici

I limiti del metodo parametrico possono essere superati dall’utilizzo di metodi cinetici basati sulla valutazione ed il calcolo della velocità dei vari processi chimico-fisici e biochimici che avvengono nei fermentatori. Esistono metodi di diversa complessità: i più semplici simulano le reazioni al solo stato stazionario senza distinguere la composizione del materiale in ingresso (COD totale), descrivendo l’intero processo con una sola reazione cinetica (primo ordine o Monod) che dipende dalle condizioni operative e con la quale si può dimensionare il volume del fermentatore. Questa tipologia di modello (Mata-Alvarez et al., 2003) è utilmente applicabile per digestori alimentati con un solo substrato di cui si conosce la velocità massima di processo in condizioni non limitanti e per i quali è trascurabile la descrizione delle fasi transitorie.

I modelli più complessi descrivono tutte le fasi del processo descritte nel paragrafo 1.2. Il substrato è caratterizzato per la sua composizione chimica e tutte le reazioni fisiche, chimiche e biochimiche sono descritte da relazioni matematiche. Si ha la necessità quindi di stimare una grande quantità di parametri, in particolare le costanti cinetiche di reazione, ottenendo per contro informazioni dettagliate nello spazio e nel tempo sul processo di digestione anaerobica, garantendo la possibilità di ottimizzare il dimensionamento dell’impianto.

A partire dal lavori pionieri di Andrews (1969) si sono susseguiti nel tempo vari modelli basati sulle conoscenze disponibili nel momento di teorizzazione. Questa grande varietà di modelli sono però stati sviluppati per substrati o applicazioni particolari, ostacolandone l’utilizzo generalizzato. Nel 2002 è stato quindi sviluppato l’Anaerobic Digestion Model 1 (ADM1), un modello condiviso dalla comunità scientifica che descrive in modo completo le principali reazioni chimico-fisiche del processo di DA ma nel contempo è uno strumento facilmente adattabile a diverse applicazioni (IWA Anaerobic Digestion Modelling Task Group, formato nel 1997 all’8° Congresso Mondiale sulla

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Dugestione Anaerobica a Sendai, Giappone). L’ADM1 deriva dai processi di digestione anaerobica

a bassi carichi organici del trattamento di acque reflue e possieda un elevato numero di variabili e parametri. E’ stato tuttavia dimostrato come questo modello possa essere applicato con successo per la descrizione di processi di DA ad alti carichi organici (Parker et al., 2005) alimentati con substrati di diversa natura: in studi scientifici l’ADM1 è stato adottato con successo per descrivere impianti alimentati in co-digestione di insilati e liquami (Lubken et al., 2007), in mono-digestione con insilati di erba (Wichern et al., 2009; Koch et al., 2010) e scarti alimentari (Curry et al., 2011). L’ADM1 è stato anche proposto in letteratura come strumento efficace di controllo e gestione di impianti in scala pilota (Zhou et al., 2011; Batstone et al., 2010) ed è stato utilizzato come base per lo sviluppo di software di gestione di impianti industriali di digestione anaerobica di trattamento acque e produzione di biogas (IFAK, 2005).

E’ importante inoltre sottolineare che solo un numero limitato di parametri deve essere ottimizzato per descrivere correttamente i casi specifici, come ad esempio le costanti cinetiche di idrolisi della biomassa (Biernacki et al., 2013a).

Un limite di questo modello, a differenza del modello parametrico, è la mancanza della verifica con dati sperimentali raccolti in impianti su scala industriale (Lubken, 2010).