4. DISSERTAZIONE
4.4. Le strategie educative ed i supporti messi in gioco
4.4.1. La cura dell’altro e la cura di sé
Dalle interviste condotte al Centro PAO emerge un rilevante elemento che non deve mancare nella relazione educativa e che può essere un supporto per l’evoluzione della stessa. Mi riferisco alla capacità di “esserci”. Si può dunque comprendere come la cura
48 Allegato 9 – Intervista educatore Alberto – Educatore di riferimento di Debora, p. 7.
49 Un sistema rappresenta un insieme di elementi coesi ed interagenti, mediante una rete di relazioni, dove
qualsiasi modifica di un elemento comporta una modifica di tutti gli altri.
50 Allegato 13 – Intervista Marco, p. 1. 51 Allegato 11 – Intervista Gaia, pp. 3-4.
educativa passi attraverso la cura di se stesso. L’educatore è coinvolto in questo atto. La questione del coinvolgimento emotivo rimanda alla dimensione affettiva, la quale non deve essere considerata un ostacolo da eliminare. L’autrice Disanto sostiene che, affinché la comunicazione possa definirsi efficace, ci deve essere un ascolto attivo e partecipativo, che necessariamente comporta un coinvolgimento emotivo e cognitivo. “Qua siamo di
passaggio, ma è vero anche che è il primo posto dove arrivano, il primo fuori casa. Forte eh, molto forte, secondo me. Io non so come l’avrei vissuto, non deve essere facile.”52 Dunque un ascolto empatico che, secondo Goleman,
“(…) si basa sull’autoconsapevolezza; quanto più siamo aperti verso le nostre emozioni, tanto più abili saremo anche nel leggere i sentimenti altrui.” (Goleman, 1996, cit. in Disanto, 2009, p. 53).
4.4.2. La pratica riflessiva
Per quanto concerne la criticità legata al fatto che i rituali presenti attualmente risultano proiettati in maniera limitata sulla dimensione collettiva, una possibile strategia viene messa in evidenza dall’educatore Michele: “La riflessione sul loro senso deve sempre
essere ripresa, soprattutto con l’evoluzione molto rapida dei casi e dei gruppi come avviene al Centro PAO.”53 Ciò rimanda al concetto di pratica riflessiva. Essa presuppone
che alla base vi sia un’azione osservativa che si inscrive, pertanto, nel quadro della progettazione educativa. Si tratta in particolar modo di favorire un processo circolare tra osservazione, pensiero ed azione.
“In questo processo, l’attenzione sarà quella di valorizzare visioni poliedriche e aperte a nuove scelte creative, piuttosto che optare per monovisioni che ricorrono a significati e strategie predefini te e statiche.” (Maida, Molteni & Nuzzo, 2009, p. 79).
Come appreso durante l’arco della formazione, l’educatore deve dunque porsi come un ricercatore nella quotidianità, sviluppando un pensiero complesso che può consentirgli di leggere continuamente la realtà. Infatti, il pensiero complesso si fonda sulla consapevolezza che risulta impossibile raggiungere una conoscenza completa. Tale pensiero è dunque animato da una tensione tra l’aspirazione ad un sapere non riduttivo e non parcellizzato e il riconoscimento dell’incompletezza della conoscenza. (Maida, Gambardella, Mustacchi & Realini, 2014). Non esiste un’unica verità, proprio perché il modo con cui ciascuno osserva la realtà è influenzato dal sistema di premesse individuale. 4.4.3. La disponibilità al cambiamento
“Un educatore, paragonando ogni passaggio del suo percorso formativo alla creazione di un vaso d’argilla, esprime l’esigenza di trovare un centro, un punto in cui l’equilibrio ti porti a costruire un «sé» vuoto, ma dalle pareti forti, capace di accogliere, ma con la resistenza agli urti; un’identità professionale che non si perda nella smania di lasciare attorno a sé segni della sua presenza, ma sappia anche retrocedere e ri-pensare le proprie modalità di relazionarsi.” (Iori, 2006, p. 259).
Uno degli atteggiamenti di fondo dell’operatore sociale prevede la capacità di quest’ultimo di mettere in discussione il proprio modo di agire e il proprio sistema di premesse. Questo
52 Allegato 6 – Intervista educatrice Verdiana – Educatrice di riferimento di Sabrina, p. 5. 53 Allegato 10 – Intervista educatore Michele – Educatore di riferimento di Marco, p. 5.
richiede una predisposizione all’ascolto e all’integrazione dei punti di vista dell’altro. In tal senso ci si riferisce ad una dimensione progettuale autoformativa che non deve abbandonare mai l’educatore. (Maida, Molteni & Nuzzo, 2009). Basti infatti pensare al fatto che lo strumento a cui si affidano gli educatori che operano al Centro PAO è proprio la relazione. “Tu come educatore il tuo strumento di lavoro sei te, non è l’altro che devi
modificare, ma sei tu che ti devi modificare. Cioè ti trovi davanti ad una situazione, non sai cosa fare, cerchi una strategia, poi magari si rivela vincente o magari fallimentare. Beh, se si rivela vincente te la metti nel sacco e te la tieni lì che ti può sempre venire utile, se si rivela fallimentare, cerchi di capire che cosa non ha funzionato e cerchi di modificarla e poi pian pianino ti riempi il sacco di strumenti.”54 Bertolini e Caronia pongono l’accentro sul
fatto che vi sia reciprocità nella relazione educativa e per questo motivo l’educatore deve essere in grado di riconoscere il ragazzo come primo vincolo alle sue azione educative e nei progetti. L’educatore, coinvolto in tale circolarità, deve anche saper riconoscere ed accettare se stesso sia come soggetto sia come oggetto di cambiamento.
“Ogni azione educativa, modificando l’“oggetto” a cui si rivolge costringe l’educatore a modificarsi di conseguenza. Non si tratta di un “fare” ma di un “farsi” (Bertolini & Caronia, 1999, p. 83).
Shön definisce infatti l’educatore come un professionista riflessivo, proprio designando il fatto che egli possa essere in grado di riflettere nel corso dello svolgimento di un’azione, apportando di conseguenza delle modifiche puntuali. Questo potrà consentirgli di incrementare le sue competenze e conoscenze. (Maida, Molteni & Nuzzo, 2009).
4.4.4. La narrazione per una progettazione condivisa: dimensione della congruenza, della trasparenza e dell’autenticità
Le relazioni al Centro PAO sono veicolate da un dialogo costante basato su tre aspetti fondamentali: la congruenza, la trasparenza e l’autenticità. Questo costituisce un’importante strategia per poter far fronte al senso di vuoto che la temporaneità del collocamento può riprodurre sul minore. La congruenza consiste nella capacità di comunicare la propria opinione e di fungere da facilitatore per la persona con cui si collabora, nell’attribuzione di significato alle esperienze che questa affronta. Si parla di comunicazione trasparente quando l’educatore informa della situazione educativa tutte le persone coinvolte, garantendo di conseguenza lo sviluppo di un confronto finalizzato all’integrazione dei punti di vista. Infine, vi è la comunicazione autentica nella situazione in cui l’educatore si assume il suo grado di responsabilità nel suo ruolo di facilitatore nell’interazione educativa, consentendo così il raggiungimento degli obiettivi emancipativi e non la realizzazione delle sue aspettative. (Da Vinci, Gambardella, Realini & Vanossi, 2015).
“Saggiamo dunque che il senso dell’educare si stima sul piano dell’autenticità e della coerenza e non tanto nell’utilizzo di nozioni, formule e frasi fatte; (…). E di qui scaturisc e il senso della bellezza che si accontenta di poco, che è paga di un dovere che non è essere-costretto-a-essere, ma «voler» essere autenticamente sé stesso fino in fondo.” (Iori, 2006, p. 256).
A tal proposito, Verdiana, riferendosi alle strategie che mette in campo quotidianamente, mi dice: Cerco di essere il più onesta possibile (…). Quindi voglio un rapporto pulito, dove
io non nascondo niente. Quindi qualsiasi cosa si viene a sapere dalla rete, qualsiasi cosa riguarda lui, cioè per me è importante che lui sappia che è così. Si può fidare di quello che io gli dico. Quindi si basa sicuramente molto sulla fiducia.”55