Ilaria Marchi
SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. 2. Natura del fenomeno, diffi- coltà definitorie e rapporti con la sicurezza. 2.1. Il paradigma bellico della sicurezza e la normalizzazione dell’emergenza nell’esperienza dello Stato di Israele. 2.2. L’approccio europeo e il paradigma della sicurezza basato sul c.d. Law Enforcement. 3. Luci ed ombre del progetto di direttiva per il contra- sto al terrorismo. 4. Conclusioni: verso un nuovo paradigma extra-sistemico della sicurezza?
1. Considerazioni introduttive
Il fenomeno terroristico ha acquisito ormai rilevanza su scala mon- diale, rendendo non più differibile lo sviluppo di una strategia di sicu- rezza in grado di adeguarsi alle diverse dimensioni in cui esso può arti- colarsi, nonché un ripensamento degli strumenti giuridici di prevenzio- ne e di contrasto implementati a livello nazionale e sovranazionale.
Negli ultimi anni, infatti, si è assistito ad una escalation di attacchi terroristici e, allo stesso tempo, ad una modifica del modus operandi impiegato: dagli attentati effettuati con l’utilizzo di ordigni esplosivi, si è passati all’utilizzo di terroristi suicidi. Sono state messe in campo an- che strategie tipiche dei commando militari, apprese in campi di adde- stramento creati ad hoc in alcuni paesi del Medio-oriente (tra cui Iraq, Arabia Saudita e Siria) e, da ultimo, si è dato l’avvio all’utilizzo di at- tacchi informatici potenzialmente distruttivi ed effettuati a danno di infrastrutture sensibili, come accaduto nella “vicenda Centcom”, in re- lazione alla quale si è parlato di Cyberterrorismo e di Cyberjihad1.
1 Il riferimento va all’attacco hacker perpetrato il 12 gennaio 2015 dai militanti del-
La necessità di introdurre modifiche al sistema normativo antiterro- rismo è apparsa urgente dopo le drammatiche vicende francesi, belghe e turche2. Il terrorismo, in particolare di matrice islamica, ha iniziato a
colpire in modo diretto e sistematico l’Europa, soprattutto attraverso azioni di giovani reclutati e radicalizzati on-line, attraverso blog e siti dedicati alla propaganda jihadista3.
Le reazioni dei governi francese e turco sono state fra le più decise: entrambi, infatti, hanno immediatamente azionato la clausola del- l’art. 15 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), noti- ficando al Consiglio d’Europa la propria volontà di istituire uno “stato di eccezione”. Ne sono stata immediata conseguenza i raid aerei sui territori controllati dall’ISIS e la richiesta da parte della Francia di un intervento congiunto degli Stati membri, nel quadro dell’art. 42 comma 7 del Trattato sull’Unione europea (TUE)4.
tense che controlla le operazioni contro lo Stato islamico in Siria ed Iraq. Per una disa- mina del nuovo fenomeno v. R. FLOR, Il contrasto al terrorismo nell’era delle nuove
tecnologie e i meccanismi di cooperazione fra settore pubblico e settore privato, in M. MANTOVANI, F. CURI et al., Scritti in onore di Luigi Stortoni, Bologna, 2016, 513- 546; più ampiamente v. U. SIEBER, P. BRUNST, Cyberterrorism and Other Use of the
Internet for Terrorist Purposes – Threat Analysis and Evaluation of International Con- ventions, Strasbourg, 2007.
2 Dopo l’assalto alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, nel novembre
del 2015 la Francia è stata nuovamente colpita da cruente sparatorie nelle zone del I, X e XI arrondissement di Parigi ed in particolare al teatro Bataclan; in Belgio si è regi- strato l’attacco esplosivo all’aeroporto di Bruxelles e nella stazione della metropolitana di Maalbeek; in Turchia, le esplosioni nell’aeroporto di Istanbul e nella zona di Taxim; con il medesimo modus operandi del tir gettato in corsa sulla folla la strage di 84 per- sone sulla promenade di Nizza ed il recente attacco a Berlino.
3 Cfr. i dati raccolti nello studio effettuato da J. K
LAUSEN, Tweeting the Jihad: So-
cial Media Networks of Western Foreign Fighters in Syria and Iraq, in Studies in Con- flicts & Terrorism, 2014, vol. 38, 1-22. Dal monitoraggio dell’account Twitter di 59 combattenti dislocati in Siria, nel trimestre gennaio-marzo 2014 risultano essere stati postati 159.112 Tweet. In media ogni account ha caricato 85 immagini e 91 filmati aventi contenuto religioso, di aggiornamento sullo stato del conflitto e sulle tecniche di guerra per lo sterminio degli infedeli. 4 Tweet su 5 facevano riferimento al dogma jiha- dista.
4 L’art. 42 comma 7 recita: «tutti gli Stati membri sono tenuti a dare aiuto e assi-
stenza a uno qualsiasi degli altri Stati che abbia subito un’aggressione armata, in con- formità con l’art. 51 della carta delle Nazioni Unite». Un chiaro ritorno alla configura-
Il tema della international security e dei suoi rapporti con i diritti fondamentali entra dunque di diritto tra le priorità delle agende strategi- che nazionali e sovranazionali. Nonostante l’efferatezza della minaccia e il costante richiamo alla necessità di innalzare il livello di sicurezza da garantire ai cittadini, il tentativo di riconoscere a quest’ultima un ruolo in chiave sia repressiva, sia di prevenzione dei fenomeni di crimi- nalità particolarmente grave, è comunque guardato con sospetto. Infatti, il concetto di security è tradizionalmente ritenuto talmente fluido da poter essere manipolato dai governi per ottenere poteri straordinari, se non sproporzionati, rispetto al reale grado della minaccia, da esercitare al di fuori dei tradizionali controlli effettuati dalle Corti5.
Malgrado queste resistenze, a livello europeo pare ormai essersi consolidato un vero e proprio diritto alla sicurezza6, da intendersi come
diritto dello Stato quale struttura essenziale per la collettività e come diritto alla vita ed alla integrità fisica dei cittadini, destinato ad acquisi- re un ruolo rilevante sia a livello di politica criminale, sia in relazione alla valutazione di costituzionalità (rectius: necessità e proporzionalità) di misure limitative delle libertà fondamentali. Di fatto, le scelte di cri- minalizzazione che si stanno sviluppando nell’alveo dell’art. 83 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE), non possono che venire interpretate come stimolo per il superamento delle tradizio-
zione del terrorismo come atto di guerra ed alla esigenza di operare nel quadro della politica estera e di sicurezza comune, sul presupposto della azionabilità della legittima difesa dello Stato. Si è scelto consapevolmente di non menzionare la clausola di solida- rietà dell’art. 222 TFUE, che in caso di attacco terroristico contro uno Stato membro prevede un’azione congiunta a livello europeo, eventualmente con l’impiego di mezzi militari, non necessariamente quale premessa ad una dichiarazione di guerra ma anche al solo fine di ripristinare l’ordine e rafforzare i controlli.
5 Più ampiamente: v. B. A
CKERMAN, Prima del prossimo attacco: preservare le li-
bertà civili in un’era di terrorismo globale, Milano, 2008, 66 ss. (ID., Before the Next
Attack: Preserving Civil Liberties in an Age of Terrorism, London, 2006, tr. it. di A. QUARENGHI).
6 Sul punto si permetta il richiamo a I. M
ARCHI, Esigenze di sicurezza e diritti uma-
ni nel contrasto al terrorismo. Una prospettiva de iure condendo, in Dir. pen. XXI sec., 2015, vol. 2, 259-278.
nali resistenze delle “anime belle”7, da sempre contrarie ad ogni tentati-
vo di rendere effettivo il diritto alla sicurezza.
Pare essere giunto il momento di riflettere in modo responsabile su nuove politiche multilivello di prevenzione e contrasto al terrorismo, inteso quale fenomeno che opera ormai su scala mondiale e che possie- de tratti di micidialità idonei a porre in pericolo non solo vite umane ma la stessa sopravvivenza degli Stati.
In questo breve contributo, partendo dalla definizione di due para- digmi, uno di natura bellica ed il secondo detto di Law Enforcement, ci si propone di fornire una possibile ricostruzione del ruolo della sicurez- za nel settore della “lotta” al terrorismo, anche alla luce della proposta di direttiva adottata dall’Unione nel dicembre 2015, sulla base del- l’art. 83 TFUE8. Richiamando l’attenzione sulle lacune del progetto
normativo, da ultimo, si riflette sul possibile sviluppo di un terzo para- digma, di natura extra-sistemica, che rischierebbe di vanificare gli sfor- zi effettuati a tutela dello Stato di diritto.
2. Natura del fenomeno, difficoltà definitorie e rapporti con la sicurezza L’assetto attuale della lotta al terrorismo a livello internazionale ri- schia, di fatto, di creare gravi commistioni tra diritto e guerra, nonché pericolose sovrapposizioni tra categorie, dovute soprattutto alla diffi- coltà che la Comunità internazionale è stata chiamata a fronteggiare nel fornire una definizione giuridica condivisa del fenomeno.
Guardando alle decisioni adottate dagli Stati subito dopo un attacco terroristico, è possibile identificare due gradi di reazione: la prima fase contempla il richiamo a concetti di natura bellica, mentre la seconda, influenzata in genere dalla fondamentale opera delle Corti, tende verso
7 Così F. B
ATTISTELLI, La sicurezza e la sua ombra. Terrorismo, panico, costruzio-
ne della minaccia, Roma, 2016, 39-40, che per le sue considerazioni richiama il tipo umano definito “anima bella” da Hegel nella sua opera Fenomenologia dello spirito.
8 Vedi COM(2015) 625 final, Proposal for a Directive on combating terrorism and
replacing Council Framework Decision 2002/475/JHA on combating terrorism, reperi- bile on-line: https://ec.europa.eu.
il reinserimento della minaccia tra quelle che tipicamente il diritto pe- nale è chiamato a reprimere.
Tale quadro, dunque, conferma l’intuizione di alcuni autori che, lun- gi dall’effettuare una netta scelta di campo, hanno preferito definire il terrorismo come un «super-reato»9, in modo da attrarre le caratteristi-
che sia del diritto, sia della guerra.
Un esempio delle difficoltà trovate nel formulare una definizione giuridica condivisa di “terrorismo” è offerto dai lavori del Comitato istituito dall’Assemblea Generale dell’ONU, per la stesura di una Con- venzione globale sul terrorismo, che dopo vent’anni ancora non ha visto la luce. Tra i punti maggiormente critici, infatti, si annovera l’ampio dibattito circa l’opportunità di riconoscere una esimente a favore dei c.d. freedom-fighters10, ipotesi largamente osteggiata da parte degli Sta-
ti occidentali per il timore di introdurre una “clausola di impunità” a favore di soggetti che, pur esercitando un diritto legittimo, operano al di fuori delle regole previste dalle Convenzioni di Ginevra11, strumento
forse non più adatto a regolare scenari di “guerra asimmetrica” o “ibri- da”12.
9 Il riferimento va a G.P. F
LETCHER, I fondamenti filosofico-giuridici della repres-
sione del terrorismo, in M. DONINI, M. PAPA (a cura di), Diritto penale del nemico: un
dibattito internazionale, Milano, 2007, 371. Vedi anche ID., The Indefinable Concept of
Terrorism, in J. Int’l Crim. Just., 2006, 894-911.
10 Vedi l’art. 18, comma 2, del progetto di Convenzione globale. In argomento
cfr. R. BARBERINI, Terrorismo e movimenti di liberazione nazionale: la Convenzione
globale contro il terrorismo, in A. DE GUTTRY (a cura di), Oltre la reazione. Complessi-
tà e limiti nella guerra al terrorismo internazionale dopo l’11 settembre, Pisa, 2003, 107 ss.
11 Per un approfondimento: v. G. N
ESI, International Terrorism, the Law of War
and the Negotiation of a UN Comprehensive Convention, in F. POCAR, M. PEDRAZZI, M. FRULLI (a cura di), War Crimes and the Conduct of Hostilities. Challenges to Adju-
dication and Investigation, Cheltenham (UK), 2013, 243-256.
12 Basti pensare alla categoria degli unlawful enemy combatants (nell’accezione sta-
tunitense), quale categoria ibrida di soggetti, non inquadrabili né tra i civili, né tra i combattenti legittimi, creata ad hoc per sottrarli all’applicazione delle Convenzioni di Ginevra. Sul punto: T.D. GILL, E. VAN SLIEDREGT, Guantanamo Bay: a Reflection on
the Legal Status and Rights of “Unlawful Enemy Combatants”, in A.M. HOLE, J. VER- VAELE, Security and Civil Liberties: The Case of Terrorism, Oxford, 2005, 1 ss. Per una disamina critica delle problematiche connesse a tale distinzione v. R. BARTOLI, Le nuo-
Tale impostazione sembra oggi non più negoziabile alla luce delle previsioni della Risoluzione ONU n. 2178/201513, che prevede espres-
samente un obbligo di incriminazione dei c.d. foreign terrorist fighters14, per arginare il fenomeno definito blowback, ovvero di adde-
stramento in Stati stranieri di combattenti da impiegare nella commis- sione di attacchi terroristici in Europa.
Ad essa ha poi fatto seguito l’adozione da parte del Consiglio d’Eu- ropa del Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la pre- venzione del terrorismo15, che riprende gli obblighi di criminalizzazio-
ne della risoluzione appena citata, poi trasposti nel progetto di direttiva per il contrasto al terrorismo, oggi in discussione in seno all’Unione16.
2.1. Il paradigma bellico della sicurezza e la normalizzazione del- l’emergenza nell’esperienza dello Stato di Israele
Guardando al panorama internazionale, la commistione tra diritto e guerra non è solo un’ipotesi astratta ma ha già avuto ampi riscontri, primo tra tutti quello che si ricava dall’esperienza dello Stato di Israele, ove tale tendenza è divenuta ormai sistemica. Il complesso e stratificato sistema normativo antiterrorismo israeliano, infatti, è caratterizzato da una dimensione dinamica di lotta, dominata dallo jus ad bellum, fun- zionale al richiamo alla legittima difesa preventiva di cui all’art. 51 del-
ve emergenze terroristiche: il difficile rapporto tra esigenze di tutela e diritti umani, in questo volume.
13 Cfr. art. 6 lett. a) S/RES/2178(2014), adottata dal Consiglio di Sicurezza il 24 set-
tembre 2014, reperibile on-line: www.un.org. Per un commento critico alla risoluzione v. M. SOSSAI, Foreign Terrorist Fighters: una nozione ai confini del diritto internazio-
nale, in federalismi.it, 2015.
14 Sul punto: A. A
LÌ, La risposta della Comunità internazionale al fenomeno dei
Foreign Terrorist Fighters, in La Comunità int., 2015, 181-201.
15 Il Protocollo addizionale è stato aspramente criticato da Amnesty International e
dalla International Commission of Jurists, nel documento del 6 marzo 2015, dal titolo: Preliminary public observations on the terms of reference to draft an Additional Proto- col supplementing the Council of Europe Convention on the Prevention of Terrorism. Testo reperibile on-line: www.amnesty.org.
la Carta ONU, e da una statica, votata all’utilizzo di misure amministra- tive, oltre che al richiamo al diritto penale17.
Tale quadro viene reso ancora più complesso dalla coesistenza di leggi che fanno dipendere la propria vigenza dal rinnovo dello stato di emergenza, in assenza del quale esse diventerebbero inapplicabili. Ne sono un esempio la Criminal Procedure (Detainee Suspected of Securi- ty Offence) (Temporary Provision) Law 5766/2006, la Emergency Pow- ers (Detention) Law 1979 e la Prevention of Terrorism Ordinance 5708-194818 che, in combinato disposto con la legge contro il finan-
ziamento alle organizzazioni criminali, fornisce una definizione di or- ganizzazione terroristica, delinea le figure del partecipe e del favoreg- giatore e contiene previsioni in ordine alle condotte di supporto punibi- li, all’onere della prova, alle varie ipotesi di confisca.
Porre fine allo stato di emergenza, dunque, avrebbe come effetto immediato la creazione di un legal vacuum all’interno dell’ordinamen- to, che farebbe perdere efficacia ad una fetta consistente della legisla- zione antiterrorismo. Proprio siffatta consapevolezza ha contribuito a rendere la perpetuazione dell’emergenza una pericolosa questione di natura politica, considerato che la dichiarazione dello stato di emergen- za, in tale ordinamento, non è vincolata a specifici presupposti ed ha effetti generali sul sistema19.
Al fine di superare questo impasse, anche grazie alle raccomanda- zioni della Corte Suprema20, il 9 giugno 2013 il Comitato ministeriale
17 Più ampiamente: v. C. K
LEIN, On the Three Floors of a Legislative Building: Is-
rael’s Legal Arsenal in its Struggle against Terrorism, in 27 Cardozo L. Rev., 2005- 2006, 2223 ss.
18 Per una breve disamina si rinvia a E.M. S
ALZBERGER, Counterterrorism Law in
Israel, 2016, on-line: http://minervaextremelaw.haifa.ac.il/. Si permetta altresì il rinvio a I. MARCHI, Stato di eccezione e sovvertimento delle regole: alcune riflessioni sul si-
stema israeliano antiterrorismo, in S. BONINI, L. BUSATTA, I. MARCHI (a cura di), L’ec-
cezione nel diritto, Napoli, 2015, 275-280.
19 Per un approfondimento v. S. N
AVOT, The Constitutional Law of Israel, Alphen aan den Rijn (NL), 2007, 293 ss.
20 Preme ricordare che nel 1999 l’Association for Civil Rights in Israel (ACRI) deci-
se di ricorrere alla High Court of Justice affinché venisse valutata la legittimità dei continui rinnovi dello stato di emergenza ed eventualmente ne venisse disposta la revo- ca. La Corte con la sentenza 3091/99, The Association for Civil Rights in Israel v. The
per la legislazione ha finalmente dato avvio ad un progetto organico di riforma, il Counter Terrorism Bill 5775-201521, approvato in via defini-
tiva il 15 giugno 2016 ed entrato in vigore l’1 novembre 2016. Ad esso ha fatto seguito la c.d. Facebook Law, approvata in prima lettura dalla Knesset il 3 gennaio 2017 e destinata ad obbligare provider e social media ad adeguarsi agli ordini di rimozione emessi dalle Corti israelia- ne, in caso di pubblicazione di contenuti ritenuti rilevanti a fini di pro- paganda, istigazione a delinquere, organizzazione di attacchi e arruola- mento.
In sede di lavori preparatori, la riforma della legislazione di settore era stata salutata con favore, quale occasione per giungere ad un ripen- samento sistemico, legato soprattutto ad un nuovo vaglio di proporzio- nalità delle misure antiterrorismo rispetto alla tutela dei diritti umani. Ad oggi, tuttavia, le discussioni che hanno accompagnato il progetto della nuova legge paiono aver sortito il solo effetto di sedimentare l’emergenza nell’ordinamento, trasponendo senza modifiche in legge nazionale non solo alcuni temporary order dell’esecutivo, ma anche numerose misure draconiane e di natura prettamente amministrativa,
Knesset and the Government of Israel, dell’8 maggio 2012 decise di rigettare il ricorso raccomandando al Parlamento di porre fine a tale situazione, trasponendo le leggi di- pendenti dallo stato di emergenza in leggi ordinarie da esso indipendenti. Per un com- mento: v. J. REYNOLDS, “Intent to regularise”: The Israeli Supreme Court and the
Normalisation of Emergency, in Adalah’s Newsletter, vol. 104, 2013.
21 Per un breve riassunto in lingua inglese v.: www.justice.gov.il. Per un commento
si rimanda a U.B. YAAKOV, D. HAREL, Policy Paper: Israel’s Counter Terrorism Bill, IDC Herzliya, 2016, dove vengono criticate alcune scelte di politica criminale, tra cui (senza pretesa di esaustività): 1) la facoltà concessa al Ministro della difesa di indivi- duare Terrorist Infrastructure Zones, utili a creare presunzioni di colpevolezza in rela- zione a coloro che vi operano; 2) l’omessa distinzione, anche sul piano sanzionatorio, tra coloro che appartengono ad organizzazioni terroristiche primarie e membri di orga- nizzazioni di mero supporto logistico o finanziario; 3) la non oggettività dei criteri indi- viduati per la prova della partecipazione in un gruppo terroristico; 4) la procedura di listing; 5) la mancanza di criteri chiari per l’ascrizione del ruolo rivestito da ciascuno nel gruppo criminale; 6) l’obbligo di punire anche la mera connivenza o la semplice adesione alle motivazioni da cui muove anche uno solo degli attacchi.
previste dalle Defence (Emergency) Regulations del 194522, ereditate
dal mandato britannico sulla Palestina.
In particolare, il Counter Terrorism Bill 5775-2015 riprende formule vaghe e generiche per la definizione di cosa si intenda per terrorismo e circa i requisiti strutturali necessari affinché un gruppo terroristico pos- sa venire definito tale, introducendo nuove fattispecie di reato legate al- l’istigazione ed alla apologia del terrorismo che non possono non risen- tire di tale carenza di precisione. Esso ha poi ampliato i poteri di polizia e dei servizi segreti, ha esteso i casi di legittimo utilizzo di prove segre- te e abbassato lo standard probatorio necessario per la condanna in pro- cedimenti legati alle c.d. security offences (tra cui oggi si annovera an- che il lancio di pietre, punito grazie ad un temporary order, intervenuto a modifica del codice penale il 2 novembre 2015 ed efficace sino al 2018, salvo rinnovo)23.
La novella appena richiamata, dunque, ricalca i tratti di quello che è stato chiamato Business as usual Model24, che prevede l’implementa-
zione di misure emergenziali e straordinarie all’interno dell’ordinamen- to, con l’effetto di normalizzare l’eccezione, rendendola in tal modo regola.
La matrice securitaria che ha caratterizzato tali scelte di politica criminale rischia di riversarsi sulla futura ermeneutica delle Corti di merito, e dei Tribunali militari. Solo la Corte Suprema israeliana po- trebbe ergersi a baluardo di tutela dei diritti umani, posto che si è tradi- zionalmente adoperata, soprattutto durante la presidenza di Aaron Ba- rak, per sottoporre le misure adottate dal governo nel quadro della “lot- ta al terrorismo” ad uno stringente test di proporzionalità, vincolando ad
22 Per un commento al primo draft vedi la sintesi critica offerta dall’Israel Democ-
racy Institute (IDI), New Comprehensive Counter-terrorism Memorandum Bill, on-line: www.en.idi.org.il; v. anche il position paper preparato per la Association for Civil