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Capitolo 3: Celle solari a base di perovskite

3.2 Struttura e fabbricazione

La composizione generale di una cella PSC è riportata in Figura 3.3: la struttura è riconducibile in prima approssimazione a quella delle recenti DSSC o a quella delle celle a film sottile, a seconda della configurazione. Gli elettrodi presenti alle estremità, oltre a permettere l’estrazione delle cariche generate, fanno da supporto fisico: l’elettrodo trasparente (catodo) è solitamente realizzato in vetro o plastica ed ha sulla superficie interna un sottile strato di TCO (Transparent

Conducting Oxide), anch’esso trasparente. Poiché la presenza del TCO va a

diminuire la trasparenza del vetro, su questo tipo di celle si cerca un compromesso tra trasparenza, spessore e resistenza di contatto: un ossido conduttore molto spesso ha infatti una resistenza minore, ma riduce la radiazione che effettivamente riesce a raggiungere la regione attiva della cella, e viceversa. Tipicamente questo strato è realizzato con ITO (Indium Tin Oxide) o

strato di compatto di titanio (c-TiO2), che realizza lo strato di ETL (Electron

Transport Layer) del dispositivo: questo ha il compito di raccogliere le cariche

generate nella regione fotoattiva e trasferirle in modo efficiente all’elettrodo (il TCO). Dopo lo strato compatto ci può essere un sottile strato mesoporoso di TiO2

(m-TiO2) su cui è ancorata la perovskite: questa rappresenta la parte fotosensibile della cella (sostituisce quindi la funzione del colorante nelle DSSC) e realizza la conversione della radiazione luminosa in coppie di portatori. Un ultimo strato di materiale, tipicamente un composto detto SpiroOMeTAD (2,2′,7,7′tetrakis-(N,N-di-p-methoxyphenylamine)-9,9(spirobifluorene)) fa da

HTL (Hole Transport Layer) per il dispositivo, prima dell’elettrodo posteriore

(anodo), tipicamente in oro o argento. Entrambi gli elettrodi sono infine pressati assieme e la cella viene sigillata, in modo che non abbia perdite e venga contaminata il meno possibile dagli agenti esterni (l’umidità in particolare).

Figura 3.3: Struttura generale di una cella solare a base di perovskite. Nella legenda sono riportati i vari strati con cui è composta, in particolare dall’alto: substrato in vetro ricoperto di FTO, strato compatto di TiO2 e strato mesoporoso di TiO2 su cui è

ancorata ed infiltrata la perovskite, HTM e anodo in oro (8).

È molto importante per realizzare un dispositivo funzionante che i due strati di interfaccia selettivi, rispettivamente per elettroni e lacune siano ottimizzati. Vi è un vasto numero di possibili materiali di interfaccia che si possono utilizzare e le possibilità sono molto varie: la comprensione e l'ottimizzazione dei livelli di energia e delle interazioni tra i diversi materiali offre ancora oggi un’area di ricerca molto interessante per migliorare questo tipo di celle. Una rappresentazione dei vari livelli di energia è riportata in Figura 3.4.

Ultimamente tuttavia sono state sviluppate delle celle solari a base di perovskite ad eterogiunzione planare e non distribuita, come quella appena descritta. In queste celle lo strato mesoporoso di TiO2 può essere rimosso, mentre lo strato solido di perovskite è spesso solo poche centinaia di nanometri ed inserito direttamente tra i due elementi selettivi di lacune ed elettroni. L’interfaccia tra le regioni piane (analoghe a quelle che si ritrovano nelle comuni celle p-i-n a film sottile) ha un certo livello di rugosità.

Figura 3.4: Schema generale e livelli di energia dal vuoto (in eV) di una cella solare organica-inorganica a base di perovskite (di tipo CH3NH3PbI3) con ossido di titanio

compatto e mesoporoso (8).

La caratteristica principale di queste eterogiunzioni planari a base di perovskite è l’abilità di generare carica libera sotto illuminazione ed allo stesso tempo sostenere il trasporto sia di elettroni che di lacune nello strato solido di perovskite. Molti ricercatori nella comunità del fotovoltaico organico stanno per questo motivo rimpiazzando lo strato fotoattivo delle celle solari con un film sottile di perovskite, ottenendo così questo tipo di eterogiunzione planare. Queste semplici strutture sono applicabili ad un numero molto ampio di approcci per la realizzazione: la stessa deposizione tramite evaporazione o da soluzione può essere applicata alle PSC e quindi gli assorbitori a base di perovskite possono essere considerati come alternative alle celle solari in Cd-Te o CIGS. Le migliori strutture a base di perovskite sono depositate sotto vuoto per dare migliori qualità ed una maggiore uniformità: questo processo richiede però la co-evaporazione della componente organica in contemporanea a quella dei componenti inorganici ed è inevitabilmente più costoso. L'accurata co-evaporazione di questi materiali per formare la perovskite richiede infatti camere di evaporazione specializzate che non sono disponibili a molti ricercatori. Ciò può anche causare i problemi pratici di calibrazione e la contaminazione incrociata tra le fonti organiche e non organiche, molto difficile da eliminare a posteriori. Inoltre, anche se i processi per la produzione basati sul vuoto sono facili da adattare a celle di maggiori dimensioni, il costo di produzione e dell’attrezzatura necessaria per questo tipo di processo diventa molto alto.

Le celle basate su una deposizione da soluzione hanno ovviamente un minor costo di produzione: per questo motivo la maggior parte delle celle solari a base di perovskite sono dispositivi di questo tipo, dove la perovskite è depositata tramite spin-coating sulla cella. Lo sviluppo di percorsi di deposizione da soluzione a bassa temperatura offre un metodo molto semplice per realizzare le PSC. Sebbene le celle solari a base di perovskite siano originariamente emerse dalla ricerca sulle DSSC, il fatto che non richiedano necessariamente un ossido mesoporoso nella struttura, rende queste celle molto simili nell’architettura alle celle a film sottile. Ad oggi è stato sviluppato un sistema per depositare la perovskite come materiale solido, usando la deposizione ad evaporazione fisica. Ciò significa che il costo per la realizzazione della struttura delle PSC potrebbe essere simile a quella delle attuali tecnologie a film sottile, come le celle a Tellurio Cadmio (CdTe).

Il problema principale per la fabbricazione pratica di dispositivi a base di perovskite è quello della qualità e dello spessore dei film. Lo strato attivo di perovskite che assorbe la luce deve essere spesso alcune centinaia di nanometri in più che per il fotovoltaico organico standard. A meno che le condizioni di deposizione e la temperatura di annealing non siano ottimizzati, si formano superfici ruvide con copertura incompleta ed una notevole rugosità della superficie: di conseguenza sono spesso necessari degli strati di interfaccia tra i diversi composti utilizzati per la realizzazione delle PSC.

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