Il materiale tufaceo campionato è stato ridotto in lastre di dimensioni 30x20x2 cm (Fig. 3.4). Le misure sono state scelte per far si che la superficie d’indagine non fosse troppo limitata e che, durante la fase di trattamento con i formulati, ci fosse la possibilità di applicarli “in doppio” sullo stesso lato della lastra (diviso in due porzioni) e non su lati opposti. Nel caso dei tufi, tale aspetto è fondamentale, perché, essendo dei materiali estremamente porosi, l’applicazione di prodotti diversi o dello stesso prodotto a diverse concentrazioni sui lati opposti delle lastre avrebbe creato problemi di contaminazione e rilasciato risultati poco attendibili. Il numero di lastre realizzate è stato stabilito in seguito alla scelta dei formulati da applicare, alle modalità di trattamento delle stesse lastre con i formulati, ed in base alle
57 svariate operazioni di prelievo previste durante la fase di monitoraggio dei campioni
(vedi Cap. 5). In aggiunta alle lastre sottoposte a trattamento, ne sono state previste altre da immergere in condizioni tal quali e da
utilizzare come “bianco” di riferimento. In totale, sono state realizzate 66 lastre di Tufo Giallo Napoletano.
Le dimensioni delle lastre sono state, inoltre, la base per la realizzazione dei portacampioni. Nello specifico, questi ultimi sono stati immaginati come degli “espositori”, atti a posizionare i provini nei fondali marini, in grado di accogliere e sostenere le lastre di materiale lapideo, tenendo conto delle condizioni dell’ambiente subacqueo (es.
direzioni delle mareggiate, correnti). Gli espositori sono stati realizzati in alluminio e consentono di ospitare 20 lastre su due file orizzontali sovrapposte (Fig. 3.5). Il telaio che sta alla base dell’espositore, anch’esso in alluminio, ha delle dimensioni di 1x1x1m. In definitiva, in base al numero delle lastre, sono stati assemblati 4 espositori. Oltre alle lastre di cui sopra, utilizzate per testare i trattamenti conservativi direttamente in mare, è stata prevista la realizzazione di diverse serie di altri provini di Tufo Giallo Napoletano, di misura pari a 5x5x2 cm. Tali provini, sono stati utilizzati esclusivamente per testare i formulati in laboratorio prima di effettuare l’applicazione sulle lastre. Nello specifico, considerando i formulati scelti, le diverse concentrazioni da utilizzare e le svariate prove cui sottoporli per valutarne le proprietà, è stata prevista la realizzazione di 66 provini di TGN (Vedi Cap. 5).
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3.5 I trattamenti conservativi e la loro evoluzione
Lo sviluppo scientifico e tecnologico nel campo dei trattamenti conservativi dei materiali lapidei si basa prevalentemente sulla continua ricerca di metodologie e prodotti innovativi. Nel corso del tempo, infatti, l’inadeguatezza di molti dei trattamenti utilizzati per la conservazione, ha incoraggiato gli sforzi della ricerca per sviluppare nuovi materiali e procedure per il mantenimento dei beni culturali. Tuttavia, i continui studi sui processi di alterazione, sia dei materiali lapidei, sia degli stessi prodotti e metodi utilizzati per la protezione ed il consolidamento, permettono di dimostrare che un trattamento “perfetto” che protegga indefinitamente i materiali
59 esposti all’ambiente non esista (Lazzarini & Tabassi, 1986). Ciò nonostante, è chiaro
che, quando dissesti di tipo meccanico-fisico, chimico e biologico, causano la perdita delle caratteristiche di un manufatto è d’obbligo la messa in pratica di interventi che possano bloccare o, quantomeno, rallentare i processi di degrado in atto. Il problema più delicato è comunque quello delle caratterizzazioni necessarie a verificare i comportamenti prestazionali delle svariate metodologie di intervento (prodotti e metodi di applicazione).
3.5.1
Pulitura, protezione e consolidamento
La pulitura è un’operazione complessa che richiede un’attenta analisi del quadro patologico generale e delle specifiche tipologie di degrado. Lo scopo è di rimuovere quanto dannoso per il materiale lapideo, rispettando le caratteristiche del manufatto (NorMal 20/85). L’esecuzione di tale fase si avvale di metodi che vanno impiegati con diversa gradualità ed intensità a seconda sia del tipo di degrado da asportare che del tipo di materiale da salvaguardare.
Per quanto concerne, invece, le fasi di applicazione di sostanze protettive e/o consolidanti, l’utilizzo per gli interventi di conservazione, di materiali e prodotti diversi e nuovi rispetto a quelli originari è una necessità che sta alla base di un qualsivoglia atto conservativo; l’uso di materiali diversi, non deve, tuttavia, alterare l’estetica o la struttura del manufatto. Un importante concetto, infatti, alla base della scienza della conservazione,prevede che nel restauro di un’opera debbano essere impiegati materiali la cui natura chimico-fisica sia il più possibile compatibile con quella dei materiali originali. Nello specifico, il potere protettivo o consolidante di una sostanza dipende, infatti, non solo dalla struttura chimica del prodotto impiegato e dalla quantità applicata per unità di superficie, ma anche da un insieme di fattori (modalità applicative, natura e quantità del solvente impiegato, porosità e diametro dei pori del materiale da proteggere, etc.), che concorrono a determinare la prestazione
60 finale (Pasetti, 1995).Secondo la Uni NorMal 20/85, le proprietà che dovrebbe
possedere una sostanza utilizzata per la conservazione, sono le seguenti: ` impermeabilità all’acqua liquida;
` permeabilità all’acqua in fase di vapore;
` assenza di influenza sulle proprietà ottiche del materiale;
` facile applicabilità e facilità di penetrazione nel sistema capillare del materiale; ` reversibilità o facile removibilità;
` inerzia chimica nei confronti del materiale lapideo ed assenza di prodotti di decomposizione dannosi;
` stabilità agli agenti chimici;
` stabilità chimica all’invecchiamento, in particolare alle radiazioni luminose; ` durata del potere protettivo.
Quanto detto fino ad ora va visto sotto un’ottica che tenga in considerazione i progressi che negli ultimi anni hanno interessato le scienze applicate alla conservazione dei beni culturali. Le nuove tecnologie, infatti, mirano a fornire metodologie e prodotti innovativi nel campo della conservazione.
Nello specifico, l’“apertura” del mondo dei beni culturali al campo delle nanoscienze, è molto vantaggiosa, perché porta alla definizione di nuovi materiali per la protezione ed il consolidamento dei manufatti. L’applicazione di nanomateriali, inoltre, produce innumerevoli vantaggi connessi sia al loro utilizzo che al loro basso impatto ambientale.
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