• Non ci sono risultati.

Le altre strutture produttive

1. Frantoi da olio

Tra gli impianti presenti nei feudi liguri il mulino da grano occupa un ruolo di indubbio rilievo, dovuto, come si è visto, sia alla sua capillare diffu-sione, sia al ruolo che lo stesso assolve all’interno delle economie locali1. Un’altra importante struttura produttiva direttamente connessa alla tra-sformazione di prodotti agricoli è il frantoio da olio, comunemente indicato con il termine di “gombo”2. Esso, tuttavia, conosce una minore diffusione rispetto ai mulini, in quanto la sua esistenza non è direttamente collegata alle esigenze di ciascuna comunità, ma dipende in primo luogo dalla presenza o meno di colture olivicole.

Secondo le testimonianze giunte sino a noi, l’olivicoltura risulta praticata in vaste zone della Liguria già in epoca medievale3, sia lungo la fascia costiera, sia, dove le condizioni climatiche lo consentono, nelle colline dell’entroterra4.

———————

1 Cfr. cap. III, § 2.

2 Cfr. S. APROSIO, Vocobolario ligure storico-bibliografico, sec. X-XX. Parte seconda - Volga-re e dialetto, Savona 2002-2003, I, p. 539.

3 Sul problema dell’introduzione della coltura dell’olivo in Liguria e la sua diffusione si ve-dano: G.M. PICCONE, Saggi sull’economia olearia preceduti da un discorso sulla restaurazione del-l’agricoltura, Genova 1808-1810; M. QUAINI, Per la storia del paesaggio agrario cit., p. 257 e sgg.

4 Cfr. C. COSTANTINI, Comunità e territorio cit. E. GRENDI, Introduzione alla Storia cit., p. 89 e sgg.; O. RAGGIO, Produzione olivicola, prelievo fiscale e circuiti di scambio in una co-munità ligure del XVII secolo, in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», n.s., XII (1982), pp. 123-162; P. SOLERO, Produzione olearia in Liguria. Un modello, in Studi in onore di Fran-cesco Cataluccio cit., II, pp. 515-526; G. CHABROL DE VOLVIC, Statistica del Dipartimento di Montenotte, a cura di G. ASSERETO, Savona 1994, II, pp. 137-148. Riferimenti alle tecniche di coltivazione adottate nel Settecento si trovano in: [G. GNECCO], Riflessioni sopra l’agricoltura del Genovesato co’ mezzi propri a migliorarla e a toglierne gli abusi e vizi inveterati, Genova 1770, pp. 139-147 (su questo manuale si vedano: S. ROTTA, Idee di riforma nella Genova Set-tecentesca e la diffusione del pensiero di Montesquieu, in «Il movimento operaio e socialista in Liguria», VII, 1961, p. 255 nota 67; C. COSTANTINI, La Repubblica cit., pp. 466-467; C.

FARINELLA, Aspetti del dibattito politico e sociale nel Settecento genovese, in Storia illustrata di Genova, Genova 1994, III, p. 634). Interessanti indicazioni sulle comunità produttrici di olio negli anni Trenta del XVI secolo si trovano in: G. GORRINI, La popolazione dello Stato ligure

— 136 —

Gli impianti più capillarmente diffusi sono probabilmente quelli azio-nati “a braccia”, cioè dalla forza dell’uomo. Di norma essi sono di proprietà privata e, per le loro stesse caratteristiche, destinati ad un uso familiare, o, comunque, ad un ridotto numero di utenti5. In alcune aree, come ad esem-pio nel Finalese, coesistono con i gombi feudali ad acqua6. Vi sono poi quelli “a sangue”, che fanno cioè ricorso a forza lavoro animale, ma i più importanti sono senza dubbio quelli idraulici, in grado di fornire una po-tenza ben maggiore7. Essi conoscono una discreta diffusione ed il loro pre-dominio è destinato a permanere ancora per tutto il XIX secolo8.

———————

cit.; G.P. GASPARINI, Territorio, popolazione e agricoltura cit. e nella “Descrizione” che precede i Castigatissimi annali con la loro copiosa tavola della Eccelsa et Illustrissima Republ. di Geno-va, da fideli et approvati scrittori, per el Reverendo Monsignore Genovese Giustiniani Vescovo di Nebio, accuratamente raccolti, Genova 1537 (rist. anast. Bologna 1981). Sulle caratteristiche di questa fonte cfr. M. QUAINI, La «Descrittione della Lyguria» di A. Giustiniani. Contributo allo studio della tradizione corografica ligure, in Miscellanea di geografia storica cit., pp. 143-159.

5 La potenza di tali impianti è infatti contenuta e per funzionare con continuità essi richie-dono la disponibilità di molta manodopera, con un eccessivo dispendio di energie.

6 G. ASSERETO - G. BONGIOVANNI, «Sotto il felice e dolce dominio sella Serenissima Re-pubblica» cit., pp. 96-97.

7 L. RAMELLA, L’ulivo nel Ponente Ligure, Imperia 19972, pp. 66-71. Dalle rilevazioni statistiche compilate nel periodo napoleonico nel circondario di Porto Maurizio risultano at-tivi 263 frantoi idraulici e 1.937 a trazione animale; la produzione olearia relativa al 1807 si attesta sui 71.000 barili. Cfr. ASSv, Dipartimento di Montenotte, n. 63.

8 Secondo i dati rilevati in occasione dell’Inchiesta agraria Jacini, infatti, attorno al 1880, nel circondario di San Remo risultano attivi 424 frantoi, di cui 326 ad acqua, 95 a bestia, 2 a vapore e 1 che procede all’estrazione dell’olio mediante l’azione del solfuro di carbonio. Cfr.

Relazione del Commissario Dott. Agostino Bertani, Deputato al Parlamento, sulla Ottava Cir-coscrizione (Provincie di Porto Maurizio, Genova e Massa-Carrara), in Atti della Giunta per la Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, X, fasc. 1, Provincie di Porto Maurizio e Genova, Roma 1883, p. 388 (su questa indagine si veda A. CARACCIOLO, L’inchiesta agraria Jacini, Torino 19733). In particolare, dall’esame dei dati analitici relativi ad alcuni comuni del Regno d’Italia, un tempo feudi della Repubblica di Genova, emerge la seguente situazione:

Comune Frantoi Produzione media

Ad acqua “A sangue” Totale di olio (quintali)

Lingueglietta 2 3 5 500

Boscomaro * 5 5 10 250

Costarainera * 1 9 10 2.000

Castellaro 3 3 800

Pompeiana 4 4 8 800

* All’epoca della Repubblica di Genova compresi nella giurisdizione di Lingueglietta.

È documentata l’esistenza di frantoi di questo tipo nei feudi di Finale9, Maremo10, Pornassio11 e Zuccarello12, mentre a Castellaro ve ne sono anche alcuni a bestia13.

Come accade per i mulini, i signori vantano normalmente un diritto di monopolio nella costruzione e nell’esercizio di tali impianti e impongono ai loro sudditi di non frangere al di fuori della giurisdizione loro soggetta; ciò genera spesso controversie fra il feudatario e la comunità, tesi l’uno a pre-tendere il rispetto della privativa e l’altra ad ottenere vincoli meno stringen-ti. Le situazioni che ne derivano risultano talvolta paradossali. A Zuccarello, infatti, gli abitanti sono obbligati ad utilizzare i gombi del marchesato, ma poiché molti di loro sono possessori di terre nel vicino feudo pontificio di Conscente, essi dovrebbero utilizzare quei frantoi per le olive ivi raccolte, per non incorrere in «pene rigorosissime»14. Si trovano dunque a dover ri-spettare due distinte prescrizioni fra loro incompatibili: da un lato, in qua-lità di sudditi di Zuccarello, devono utilizzare i gombi del marchesato anche per le olive raccolte altrove e, dall’altro, come proprietari di campi a Con-scente, sono tenuti a ricorrere a quelli di quest’ultimo. Secondo quanto si è potuto rilevare, negli anni Venti del Settecento, molti contadini della zona utilizzano gli impianti situati nel feudo pontificio, pur non avendo posse-dimenti nella sua giurisdizione, profittando anche del fatto che chi frange le olive a Conscente paga una tariffa inferiore rispetto a Zuccarello, fissata in 1 barile ogni 16, cioè il 6,25%, ma spesso ingiustamente accresciuta dalle eso-se richieste di “gombaroli” eso-senza scrupoli15.

Nel marchesato di Finale, invece, sulla base di un antica tradizione consolidatasi nel tempo, è consentito fabbricare frantoi a braccia, per uso

———————

9 G. ASSERETO - G. BONGIOVANNI, «Sotto il felice e dolce dominio sella Serenissima Re-pubblica» cit., pp. 96-98.

10 ASG, Manoscritti, n. 218, c. 268.

11 Ibidem, c. 243.

12 ASG, Antica Finanza, n. 1488.

13 Cfr. N. CALVINI, Castellaro cit., p. 67; ADG, Fondo Doria, n. 407, Rendite del Ca-stellaro e residui.

14 Cfr. ASG, Camera del Governo, Finanze, n. 2756, Zuccarello. Pratiche per redditi 1717-25, 27 settembre 1721. Su questo feudo si vedano: N. CALVINI, Il feudo di Conscente, in La Storia dei Genovesi cit., 4, pp. 343-386; F. NOBERASCO, Conscente del Papa: la vera storia del più piccolo feudo pontificio d’Europa, Albenga 2001.

15 ASG, Camera del Governo, Finanze, n. 2756, Zuccarello. Pratiche per redditi 1717-25.

— 138 —

personale o al massimo esteso a tre altri soci. I partecipanti, però, potranno utilizzarli solamente per le olive raccolte sui propri terreni. Coloro che non possiedono un gombo, o che coltivano uliveti presi in affitto, devono ne-cessariamente servirsi degli impianti feudali16.

Sotto il profilo tecnico la lavorazione consta di due fasi: la macinazione delle olive e la successiva torchiatura della pasta oleosa17. Con la prima i frutti raccolti vengono frantumati in modo da consentire l’estrazione del-l’olio nelle lavorazioni seguenti. Tale operazione è effettuata con mole in pie-tra che ruotano su di un ceppo, costituito o rivestito dello stesso materiale, di forma concava, in modo da evitare la fuoriuscita delle olive. La trasmissione del moto dalla ruota a pale alla mola è effettuata mediante l’applicazione di meccanismi del tutto simili a quelli descritti per i mulini ad acqua18.

Dopo la macinatura, la pasta oleosa è posta in una “mastra” dalla quale si preleva per riempire gli “sportini”, sorta di gabbie di forma circolare rea-lizzate in giunco, che vengono impilati nei torchi o strettoi, denominati an-che “telari”. Qui, per effetto della pressione esercitata, prima stringendo con stanghe e successivamente ricorrendo all’ausilio di argani, si provoca la fuo-riuscita dell’olio. Per facilitare tale operazione si provvede a bagnare le olive con acqua calda; pertanto si rende poi necessario “schiumare” dall’acqua l’olio così ottenuto19.

Come già rilevato per i mulini, anche gli attrezzi dei frantoi sono in massima parte realizzati in legno e dunque facilmente usurabili. L’impiego del ferro, soprattutto nella realizzazione delle presse, ed una più accurata progettazione delle stesse, pur comportando maggiori costi avrebbero

in-———————

16 «Chiunque per altro a suo talento si fabrica il proprio gombo, però solamente da braccio, e può havere tre altri partecipi; tutti ponno macinare le olive racolte ne’ propri beni al gombo medesimo». Cfr. G. ASSERETO - G. BONGIOVANNI, «Sotto il felice e dolce dominio sella Serenissima Repubblica» cit., p. 97.

17 Sul funzionamento dei frantoi liguri si vedano in particolare: [G. GNECCO], Riflessioni sopra l’agricoltura del Genovesato cit., pp. 147-153; Relazione del Commissario Dott. Agostino Bertani cit., pp. 387-397; A. ALOI, L’olivo e l’olio: coltivazione dell’olivo, estrazione e conserva-zione dell’olio, Milano 19035, pp. 197-199, 218 e sgg.; L. RAMELLA, L’ulivo cit., p. 66 e sgg.

18 Cfr. cap. III, § 2 b.

19 Si veda la minuziosa descrizione di un tipico impianto ligure del Settecento trascritta in Appendice II, doc. 5. Per gli aspetti linguistici e terminologici cfr. le indicazioni in O.

ALLAVENA, “U defiçiu”. L’antico frantoio ad acqua, in «Intemelion», 3 (1997), pp. 95-98; L.

RAMELLA, L’ulivo cit., pp. 126-135.

dubbiamente consentito un aumento delle rese. Tuttavia, nel corso del XVII e del XVIII secolo, i gombi del Genovesato, al pari dei mulini, non sembrano essere toccati da significativi progressi tecnici; ciò, unito a consuetudini locali molto radicate, contribuisce spesso alla produzione di oli di cattiva qualità20.

La dotazione di un frantoio risulta normalmente più consistente di quella di un mulino da grano ed ha dunque in media un maggior valore21. Nel 1713 i nove gombi di Finale sono stimati circa 6.978 lire22, mentre, nel 1729, poco meno di 7.169 lire23 Per Zuccarello, invece, sono disponibili in-dicazioni più dettagliate (cfr. la tabella 1).

Tabella 1. Estimo dei frantoi da olio del feudo di Zuccarello (1711-1749)

Denominazione Ubicazione Estimo (in lire)

1711 1715 17341 1742 1749

Gombo di S. Sebastiano2 Zuccarello 433 364 468

Gombo Soprano Zuccarello 459 446 537 515

Gombo Sottano Zuccarello 490 505 533 549

}

853

Gombo d’Oresine Castelbianco 295 272 322 493 490

Gombo Castelbianco 432 415 656 630 633

Gombo Erli 416 444 602 511 563

Gombo delle Gattare Castelvecchio 566 584 744 626 716

Gombo Vercesio 431 403 360

Totale 3.522 3.433 3.754 3.324 3.723

Fonte: ASG, Camera del Governo, Finanze, nn. 1255, 2756, 2757.

(1) La datazione del documento è imprecisa; comunque si tratta di un estimo anteriore al 1735.

(2) L’estimo del 1742 e quello precedente parlano di «Gombo Soprano di S. Sebastiano».

Dalle descrizioni risulterebbe che nella zona vicina alla cappella di S. Sebastiano vi siano due gombi adiacenti ed un mulino.

———————

20 Cfr. [G. GNECCO], Riflessioni sopra l’agricoltura del Genovesato cit., pp. 147-153.

Difficoltà di questo tipo sono lamentate ancora in occasione dell’Inchiesta agraria Jacini. Cfr.

Relazione del Commissario Dott. Agostino Bertani cit., pp. 387-397.

21 Cfr. cap. III, § 2 c.

22 G. ASSERETO - G. BONGIOVANNI, «Sotto il felice e dolce dominio sella Serenissima Re-pubblica» cit., p. 98.

23 ASG, Camera del Governo, Finanze, n. 1255, Affitti 1738-42. Si tratta di nove edifici con dieci ruote complessive.

Tabella 2. Valore di alcuni frantoi e dei loro apparati (1742)

Denominazione Ubicazione Ruota Canale Pila, mola

e accessori

I telaro II telaro III telaro Altro Totale

a) Valori assoluti (in lire)

Gombo Soprano Zuccarello 34,0 14,0 71,5 100,0 104,0 110,0 81,5 515,0

Gombo Sottano Zuccarello 65,0 6,5 160,0 90,0 115,0 79,0 33,5 549,0

Gombo d’Oresine * Castelbianco 102,0 27,0 55,0 90,0 42,0 - 177,0 493,0

Gombo Castelbianco 34,0 13,0 226,0 85,0 116,0 96,0 60,0 630,0

Gombo Erli 60,0 15,0 105,5 64,0 86,0 80,0 100,5 511,0

Gombo delle Gattare Castelvecchio 24,0 7,0 103,0 86,0 100,0 100,0 206,2 626,2

Media 53,2 13,8 120,2 85,8 93,8 93,0 109,8 554,0

b) Percentuale

Gombo Soprano Zuccarello 6,6 2,7 13,9 19,4 20,2 21,4 15,8 100,0

Gombo Sottano Zuccarello 11,8 1,2 29,1 16,4 21,0 14,4 6,1 100,0

Gombo d’Oresine Castelbianco 20,7 5,5 11,2 18,3 8,5 - 35,9 100,0

Gombo Castelbianco 5,4 2,1 35,9 13,5 18,4 15,2 9,5 100,0

Gombo Erli 11,7 2,9 20,7 12,5 16,8 15,7 19,7 100,0

Gombo delle Gattare Castelvecchio 3,8 1,1 16,5 13,7 16,0 16,0 32,9 100,0

Media 10,0 2,6 21,2 15,6 16,8 16,5 20,0 100,0

Fonte: ASG, Camera del Governo, Finanze, n. 1255, Affitti 1738-42.

* Questo impianto è provvisto di due soli “telari”.

Società Ligure di Storia Patria - biblioteca digitale - 2016

— 141 —

Gli attrezzi del frantoio (A. PAGANINI, Vocabolario domestico Genovese-Italiano, Genova 1857, tav. XII).

Società Ligure di Storia Patria - biblioteca digitale - 2016

— 142 —

Il valore medio di un gombo oscilla tra un minimo di 272 e un massi-mo di 744 lire, in media circa 493 lire, inferiore dunque al dato rilevato per Finale, ma comunque più consistente rispetto a quello della maggior parte dei mulini da grano, che spesso non supera le 250-300 lire24. Anche in que-sto caso la cifra di estimo risente dello stato di manutenzione dell’impianto e della più o meno ricca dotazione di strumenti e attrezzi.

Grazie ad alcuni inventari che contengono valutazioni più articolate, è possibile fornire alcune indicazioni sull’importanza dei singoli apparati ne-cessari al funzionamento di un frantoio da olio (cfr. la tabella 2). La voce principale è costituita dai “telari” utilizzati per la torchiatura della pasta oleosa, normalmente presenti in numero di tre, che costituiscono in media quasi il 50% dell’intera attrezzatura. Seguono poi, in ordine di importanza, la pila e la mola per la frangitura, la ruota ad acqua ed il canale. Tra gli altri apparati viene solitamente inclusa, oltre a recipienti per la raccolta e la con-servazione dell’olio, anche tutta una serie di attrezzi in rame, come paioli, imbuti, mestoli, etc. utilizzati nella lavorazione25.

I frantoi sono solitamente affittati a privati con modalità del tutto analoghe a quelle previste per i mulini da grano26. Nonostante la tendenza ad addossare ai conduttori la quasi totalità delle spese di manutenzione a ca-rattere ordinario e straordinario, la Camera deve comunque intervenire per ripristinare il funzionamento di alcuni impianti che non sono più in grado di funzionare adeguatamente27.

———————

24 Cfr. cap. III, tabella 3.

25 Cfr. Appendice II, docc. 5 e 7.

26 Non si sono ad oggi rinvenute indicazioni relative a contratti di enfiteusi.

27 Secondo un preventivo del 1722 per il restauro dei frantoi di Zuccarello è necessario effettuare interventi per complessive lire 1.121,8. I lavori vengono eseguiti l’anno successivo e comportano un esborso totale pari a lire 1.504,2 (cfr. ASG, Camera del Governo, Finanze, n.

2756, Zuccarello. Pratiche per redditi 1717-25). In dettaglio:

Impianto Preventivo Consuntivo Differenza

Gombo Soprano di Zuccarello 90,6 386,6 296,0

Gombo Sottano di Zuccarello 71,2 225,1 153,9

Gombo di Castelbianco 87,0 65,0 – 22,0

Gombo di Castelvecchio 111,0 141,3 30,3

Gombo di Vercesio 389,0 534,7 145,7

Gombo di Erli 373,0 – 373,0

Spese generali 151,5 151,5

Totale 1121,8 1504,2 382,4

I gombi sono sempre gestiti assieme ad altri cespiti, cosicché la docu-mentazione disponibile risulta minore rispetto a quella rinvenuta per i muli-ni e non risulta possibile conoscerne il fitto annuo. Tuttavia, da alcune pre-ziose indicazioni relative al feudo di Zuccarello si ricava che nel 1638-39 i frantoi del marchesato hanno fruttato complessivamente 167 barili d’olio così suddivisi28:

gombi di Zuccarello barili 105

gombo di Castelvecchio barili 32

gombo di Castelbianco barili 30

Totale barili 167

A Finale, invece, la possibilità di costruire impianti privati ha progressi-vamente ridotto l’introito di quelli feudali tanto che, attorno al 1713, a fronte di una produzione annua di olio tra i 9.000 e i 10.000 barili complessivi, il reddito di tali impianti è di appena un centinaio di barili, cioè circa l’1%29. 2. Ferriere e maglietti

Tra gli impianti non destinati alla trasformazione di prodotti agricoli, quelli più rilevanti all’interno dei feudi in esame sono costituiti da ferriere e maglietti, destinati, appunto, alla lavorazione del ferro. Essi utilizzano es-senzialmente la tecnica del “basso fuoco” e la loro gestione coinvolge un complesso intreccio di fattori economici, sociali e politici.

a) Il “basso fuoco” genovese

Sul versante settentrionale dell’arco appenninico, ancora nei primi anni dell’Ottocento, sono attive alcune ferriere, la cui origine risale almeno al XV secolo. Tra Sei e Settecento il numero degli impianti funzionanti dimi-nuisce, anche se in proporzioni tutto sommato contenute. Sulla base della documentazione sino ad oggi nota, nell’arco di tempo compreso fra il 1673 e il 1807 la consistenza delle unità produttive si riduce gradualmente pas-sando da 47 a 36, con un calo di 11 unità, pari al 23,4%30. Alcune rilevazioni

———————

28 Cfr. ASG, Antica Finanza, n. 1488.

29 G. ASSERETO - G. BONGIOVANNI, «Sotto il felice e dolce dominio sella Serenissima Re-pubblica» cit., p. 97.

30 G. FAINA, Note sui bassi fuochi liguri nel XVII-XVIII secolo, in «Miscellanea di Storia Ligure», IV (1966), pp. 197-199. Per ulteriori indicazioni si veda ASG, Banco di San Giorgio, Gabelle, n. 433, Vena Ferri 1738 in 1739.

— 144 —

intermedie consentono poi di collocare la diminuzione più vistosa verso la metà del XVIII secolo, in particolare negli anni compresi tra il 1738 e il 1754:

Anno 1673 1738 1754 1789 1807

N. ferriere attive 47 45 37 37 36

Gli impianti sono localizzati principalmente nel Finalese, a Pont’Invrea, Sassello e nella Valle dell’Orba, a Tiglieto, Rossiglione, Masone, Campo-freddo e Voltaggio31. Alcuni di essi sono situati in aree non soggette alla Repubblica, ma comunque legate al sistema genovese per quanto riguarda l’approvvigionamento del minerale di ferro, le tecniche produttive, la com-mercializzazione dei prodotti.

Dalla metà del XV secolo le ferriere genovesi lavorano il ferro utiliz-zando la tecnica del basso fuoco, mediante la quale si passa dal minerale al semilavorato in un’unica fusione, ottenendo una massa informe che viene poi battuta al maglio per purificarla dalle scorie32. La diffusione di tale

pro-———————

31 G. FAINA, Note sui bassi fuochi cit., pp. 198-199.

32 Diversamente rispetto a quanto accaduto per i mulini da grano o i frantoi, la lavora-zione del ferro e il sistema del basso fuoco sono stati al centro di molte analisi storiche. In particolare si vedano: G. CHABROL DE VOLVIC, Statistica del Dipartimento di Montenotte cit., II, pp. 254-267; C. BALDRACCO, Ragguaglio sulle usine catalano-liguri e sui vantaggi ottenuti re-centemente dalla fiamma perduta nelle medesime, Torino 1847; L. PESCE, L’industria del ferro nell’Appennino savonese, in Atti del «IX Congresso Geografico Italiano», Genova, 22-30 aprile 1924, Genova 1925-1927, II, pp. 163-169; M. GARINO, Storia di Sassello cit., pp. 403-409; G. FAINA, Note sui bassi fuochi liguri cit., pp. 197-223; L. BULFERETTI - C. COSTANTINI, Industria e commercio cit., pp. 89-91; G. PEDROCCO, Le ferriere catalano-liguri nella prima metà del XIX secolo: struttura, vicende, innovazioni tecniche, in «Le Macchine», 1 (1967), pp.

27-38; M. CALEGARI, Il basso fuoco alla genovese: insediamento, tecnica, fortune (sec. XIII-XVIII), in «Quaderni del Centro di Studio sulla Storia della Tecnica del C.N.R. presso l’Uni-versità degli Studi di Genova», 1 (1975), pp. 1-38; E. BARALDI - M. CALEGARI, Altoforno e basso fuoco nella siderurgia ligure del XV secolo, in «Studi e Notizie del Centro di Studio sulla Storia della Tecnica del C.N.R. presso l’Università degli Studi di Genova», 0 (1977), pp. 14-20; M. CALEGARI, La lavorazione del minerale di ferro nell’area mediterranea: tecnica e società, Ibidem, 1 (1977), pp. 9-10; C. COSTANTINI, La Repubblica cit., pp. 393-395; G. GIACCHERO, Il Seicento cit., pp. 589-590; E. BARALDI, Lessico delle ferriere «catalano-liguri». Fonti e glossa-rio, in «Quaderni del Centro di Studio sulla Storia della Tecnica del C.N.R. presso l’Univer-sità degli Studi di Genova», 2 (1979); M. CALEGARI, Origini, insediamento, inerzia tecnologica nelle ricerche sulla siderurgia ligure d’Antico Regime, in «Quaderni Storici» n. 46, XVI/1 (1981), pp. 288-304; G. BENVENUTO, «Un bosco applicato a ferriere»: economia e società a Masone nei secoli XVI-XVIII, in «La Berio», XXIII/1 (1983), pp. 47-59; E. BARALDI, Cultura tecnica e tradizione familiare. La “Notificazione sopra i negozi de’ ferramenti e delle ferriere” di Domenico

cesso produttivo è probabilmente dovuta all’azione della Mahona venae ferri, un’organizzazione costituita da esponenti del patriziato genovese che, tra XV e XVI secolo, domina il settore. Essa infatti è in grado di gestire l’intero sistema in regime di monopolio, dall’approvvigionamento del minerale al commercio dei prodotti, realizzando in concreto una sorta di integrazione verticale33. All’interno di tale contesto la ferriera è un semplice tassello dell’intera filiera produttiva; essa deve lavorare un determinato quantitativo di “vena” e cedere i semilavorati alla Maona ad un dato prezzo, sopportando così i rischi legati alla produzione senza godere però dei profitti derivanti dalla commercializzazione che vanno a beneficio della Maona stessa34.

A partire dal XVII secolo, invece, il mercato del minerale e quello dei prodotti si separano, mentre tendono a sovrapporsi proprietà e conduzione dei singoli impianti35. Il sistema di lavorazione rimane quello diretto, nono-stante che in altre aree, come ad esempio nella vicina Lunigiana, il metodo indiretto, basato sull’altoforno, abbia soppiantato quello del basso fuoco già

———————

Gaetano Pizzorno, padrone di ferriere a Rossiglione nel XVIII secolo, in «Quaderni del Centro di Studio sulla Storia della Tecnica del C.N.R. presso l’Università degli Studi di Genova», 10

Gaetano Pizzorno, padrone di ferriere a Rossiglione nel XVIII secolo, in «Quaderni del Centro di Studio sulla Storia della Tecnica del C.N.R. presso l’Università degli Studi di Genova», 10

Documenti correlati