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[327] Anche colei che lega le proposizioni in nodi stringenti

— senza di essa non si trae conseguenza né contraddizione alcuna — giunge nel consesso divino recando i principi del dire

e istruisce un assioma in piena regola

nel momento in cui ricorda che la voce dà corpo a parole ambigue, nulla ritenendo regolare, se non è formato di termini associati.

Tuttavia, sebbene lo stesso Aristotele, dopo averli enunciati, pallido continui a indagare con fatica i modi delle dieci categorie, nonostante i sofismi degli Stoici ingannino e si prendano gioco dei sensi,

e portino sul capo corna che non hanno mai perso, nonostante Crisippo accumuli e consumi il proprio mucchio

e Carneade sviluppi una forza pari grazie all’elleboro,

mai privilegio simile fu concesso pure con una così grande schiera di uomini, né a te è capitato finora l’onore di una sorte tanto felice:

è legittimo, Dialettica, che tu prenda la parola nelle dimore degli dei, e che tu eserciti il diritto di insegnare al cospetto di Giove.

[328] Pertanto fu introdotta, su convocazione del Delio, una donna particolarmente

pallida, in contrasto con un’espressione molto acuta; i suoi occhi erano vibranti di una continua mobilità. I suoi capelli apparivano ondulati, arricciati in una piega graziosa e intrecciati; raccolti in basso grazie al susseguirsi delle trecce sovrapposte, incoronavano l’intero volto tanto che nulla vi si poteva scorgere di mancante, nulla di superfluo. Indossava la veste e il mantello tipici degli ateniesi, ma tra le mani aveva un apparato di oggetti inaspettato e di cui nessun ginnasio aveva ancora avuto esperienza. Nella sinistra un serpente avvolto su di sé in spire amplissime; nella destra le proposizioni vergate con perizia su pagine che spiccavano per la bellezza variopinta erano tenute insieme all’interno dalla stretta di un gancio nascosto. E dal momento che la sua sinistra

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nascondeva sotto il pallio le insidie viperine, si presentava a tutti con la destra. Così chi si accostava a una qualsiasi di quelle formule, subito, agganciato dall’uncino, finiva preda delle spire venefiche del serpente nascosto; esso, spuntando fuori prontamente, con la punta avvelenata dei suoi denti acuminati come spine affliggeva il malcapitato con morsi continui, fino a quando, dopo averlo accerchiato con le sue molteplici spire, non lo costringeva a dimostrare le condizioni premesse. Se poi nessuno voleva scegliere una qualsiasi proposizione, metteva sotto torchio con domandine precise coloro che le si paravano incontro, oppure stimolava di nascosto il serpente a strisciare verso di loro, finché una stretta avvolgente non strangolava gli assediati vittime dell’arbitrio della sua interrogazione. [329] Questa donna poi appariva di corporatura esile e di aspetto tenebroso, ma irta di peli ispidi, parlava in modo inintelligibile per tutti: asseriva che l’universale affermativa è obliqua alla particolare negativa ma entrambe possono essere convertite connettendo gli equivoci agli univoci, e così diceva, come mossa dalla sicurezza nella sua capacità divinatoria, di essere l’unica in grado di distinguere ciò che è vero da ciò che è falso. [330] Diceva di essere stata educata su di una rupe egizia; da qui di essere discesa nel ginnasio di Parmenide e in Attica, dove, nonostante l’accusa calunniosa di applicarsi in raggiri, aveva fatto propria anche la grandezza di Socrate e Platone. [331] Pertanto mentre la donna, sempre ingegnosa quando si trattava di addurre argomentazioni fraudolente, era intenta a gloriarsi delle numerose persone ingannate, i due serpenti del Cillenio, rizzatisi, tentavano di lambirla con continui movimenti della lingua; allora anche la Gorgone Tritonide sibilava per la gioia di riconoscerla: «Di certo - disse Bromio che è il più faceto tra gli dei e non sapeva affatto chi fosse- questa o è stata condotta qui dai lidi afosi della Libia, come dimostra sia la capigliatura aggrovigliata sia la familiarità coi veleni, oppure si deve credere che sia una fattucchiera della regione marsica; essa infatti è prediletta dalle vipere che la riconoscono familiare, e dai serpenti, che le riservano una adulazione carica di lusinghe. Se così non fosse, dall’insidia propria di quel suo uncino si deduce che è una ingannatrice astutissima e si conferma abitante delle zone marsiche». [332] Ciò detto, molti tra gli dei sorrisero quanto era conveniente al loro decoro, ma Pallade, particolarmente scossa, fermò l’intervento di Bromio che si faceva notare per la sua ilarità, e fece presente che la fanciulla è assolutamente sobria, cosa che sembra negata a certe divinità, e inoltre che, tra le sorelle che dovevano ancora essere ammesse, essa era particolarmente acuta, e che una volta illustrati i principi della

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sua disciplina, nessuno avrebbe potuto prendersi gioco di lei. La dea la esorta quindi ad affidare le cose che aveva portato con sé come prova della sua velenosa argomentazione e della sua acrimonia e a prepararsi per infondere la perizia della propria dottrina. [333] In quel momento le spire avvolgenti del viscido serpente e le sue fauci, che Grammatica, rimasta in piedi accanto a lei dopo aver concluso la lezione, temeva di subire su di sé, vengono affidate insieme alle formule ingannatrici e alle tavolette uncinate alla stessa Pallade, che era riuscita a domare anche i capelli di Medusa. Così, per la bellezza della sua acconciatura, Dialettica veniva subito riconosciuta come una vera figlia di Cecrope e come Attica, soprattutto per il seguito rappresentato da una schiera di persone che portavano il pallio e da una scelta di giovani greci, che ammiravano la saggezza e l’ingegno della donna. Giove poi, dal momento che le virtù della fanciulla devono essere esaminate e recepite dal senato celeste, le intima, in quanto segue Grammatica, di esporre ciò che sa avvalendosi della potenzialità espressiva del latino, ritenendo che la levigatezza greca risalti dalla forza oratoria romana. [334] E subito Dialettica, nonostante la si credesse non in grado esprimersi con sufficiente proprietà in latino, tuttavia con più ardito coraggio, aguzzati gli occhi che rivelavano la luminosità vibrante del suo sguardo e la rendevano temibile già prima di parlare esordì:

[335] «Se l’erudizione e l’impegno del mio caro Varrone, celebrato tra le glorie dei

Latini, non mi avessero soccorso, potrei sembrare, io donna di origine dorica, a una disamina della mia lingua latina, o molto rozza o piuttosto barbara. In realtà, dopo il fiume dorato di Platone e l’ingegno aristotelico, per prima l’operosità di Marco Terenzio mi ha attratto con lusinghe alla lingua latina, e mi ha spianato la strada all’insegnamento nelle scuole ausonie. [336] Da adesso in poi perciò, sforzandomi di obbedire ai precetti impartitimi, senza abbandonare in quanto greca l’ordine espositivo, non ricuserò la terminologia latina. Ma prima di tutto voglio che teniate ben presente che i Romani e la gente togata, non sono ancora riusciti a creare un nuovo vocabolo per designarmi, e che mi chiamano Dialectice, come sono chiamata ad Atene, e che è ricade sotto la mia giurisdizione tutto ciò che le altre Arti enunciano, [337] e nemmeno Grammatica, che avete ascoltato nell’esame, e nemmeno l’altra, autorevole per l’eleganza della sua ricca eloquenza, o quella che traccia linee di varia forma con la bacchetta e con la sabbia, possono esprimersi senza i miei principi. [338] Si collocano sotto la mia dipendenza, di diritto e di fatto, sei regole, sulle quali si fondano tutte le altre discipline: la prima

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riguarda il termine, la seconda l’esprimibile, la terza la proposizione, la quarta il sistema delle proposizioni, la quinta la critica che pertiene al giudizio dei poeti e dei carmi, la sesta l’eloquenza la quale offre gli argomenti che si devono trattare secondo le regole dei retori.

[339] Nella prima sezione si indaga che cosa sia il genere, che cosa la specie, che cosa la

differenza, che cosa l’accidente e che cosa il proprio, che cosa la definizione, che cosa il tutto, che cosa la parte, quale la modalità nel dividere, quale nel ripartire, che cosa sia la parola equivoca, che cosa l’univoca, che cosa la plurivoca, come la chiamerò io: dovete tollerare pazientemente la stranezza della mia lingua, perché avete forzato una greca a dissertare in latino. [340] Esporrò quali siano le parole usate in senso proprio, quali in senso traslato e in quanti modi siano traslate, che cosa sia la sostanza, che cosa la qualità, che cosa la quantità, che cosa il relativo, che cosa si può dire del luogo, che cosa del tempo, che cosa sia la postura, che cosa l’avere, che cosa il fare, che cosa il subire, quali siano gli opposti tra loro e in quanti modi si oppongano: questi sono gli argomenti che saranno trattati nella prima parte della mia dissertazione.

[341] Nella seconda poi, quella che ho definito relativa all’esprimibile, si indaga che

cosa sia il nome, che cosa il verbo, che cosa risulta dalla loro unione, quale tra questi sia la parte soggettiva della frase, quale la dichiarativa, in che modo si esprima la soggettiva, in che modo la dichiarativa, in che forma il nome sia ammesso, in che modo il verbo, in che modo un esprimibile completo possa costituire una proposizione.

[342] A questa segue la terza parte che tratta la proposizione. In essa si indaga, nei

limiti della brevità che ci siamo proposti oggi, quali siano le differenze tra proposizioni in quantità, quali in qualità, che cosa sia la proposizione universale, che cosa la proposizione particolare, che cosa la proposizione indefinita, quali siano affermative, quali negative, quale sia la proprietà di ciascuna, quali siano i rapporti tra loro.

[343] Da qui si passa alla quarta parte, che abbiamo definito ‘sistema delle

proposizioni’. In essa si indaga che cosa sia la premessa, che cosa la conclusione, che cosa il sillogismo, che cosa il symperasma, che cosa sia il sillogismo predicativo, che cosa il sillogismo condizionale e che cosa li differenzi, quante siano le specie del sillogismo del genere predicativo e quali siano, se la loro successione risponda a un determinato ordine e, in caso affermativo, quale sia la logica che lo regge, quanti modi abbia ciascuna specie e se questi modi seguano un ordine razionale e, se è così, quale

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sia; di seguito quanti siano i modi primi e necessari del sillogismo condizionale, inoltre quale sia la loro successione, che cosa li differenzi. Questi sono i limiti per l’esposizione di oggi e per gli argomenti da trattare. Per riprendere il discorso dall’inizio, poiché è mia intenzione trattare di tutti gli argomenti, dirò anzitutto che cosa sia il genere.

[344] Il genere è la riunione in un unico nome di molte specie, come ‘animale’; le

sue specie sono per esempio ‘uomo’, ‘leone’, ‘cavallo’ e così via. In certe circostanze però alcune specie sono subordinate al genere in modo tale da essere a loro volta un genere per altre specie a esse sottoposte, come il genere degli uomini, che è specie rispetto ad ‘animale’, genere rispetto a ‘barbari’ e ‘romani’; un nome può costantemente essere un genere finché, suddividendo le sue specie, non si pervenga a un elemento indivisibile; ne hai un esempio se dividi gli uomini in maschi e femmine; similmente i maschi in fanciulli, ragazzi e adulti; i fanciulli in neonati e bambini dotati di parola; allo stesso modo, se vuoi distinguere un fanciullo in Catamito o in un altro fanciullo individuabile in modo preciso, non è genere, perché ormai è giunto all’indivisibile. Dobbiamo usare il genere che è più vicino all’oggetto in questione; per esempio, se si discute dell’uomo, bisogna che prendiamo in considerazione il suo genere ‘animale’, perché è quello più vicino a ‘uomo’. Se infatti indicassimo come genere ‘sostanza’, in linea di principio l’operazione è appropriata, ma quanto alla necessità di realizzarla, è superflua.

[345] Le forme si identificano nella terminologia con le specie. Pertanto le forme

sono quelle che, subordinate al genere, condividono con esso la definizione e il nome, ad es. ‘uomo’, ‘cavallo’, ‘leone’, dal momento che sono forme del genere animale; animale può essere sia ‘uomo’, sia ‘cavallo’, sia ‘leone’ e pure ‘anima con un corpo’: ne risulta che il nome e la definizione sono connaturati al genere.

[346] La differenza è l’elemento distintivo sufficiente per ciò che avrai assunto: per

esempio, se si ragiona su cosa rende diversi un uomo e un cavallo, è sufficiente che diciamo che l’uomo è un bipede, il cavallo è un quadrupede. Dal momento però che nelle singole cose le differenze sono molte, dobbiamo fare attenzione al fatto che noi possiamo dividere ogni singola cosa in modi differenti tutte le volte che troviamo in essa molteplici differenze. Ad esempio se volessimo distinguere l’animale, possiamo farlo in relazione al sesso, in quanto ci sono esemplari maschili e femminili; possiamo

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farlo in relazione all’età, giacché alcuni sono neonati, altri giovani, altri vecchi; possiamo farlo in relazione alla taglia, poiché alcuni sono piccoli, altri grandi, altri di taglia media; possiamo distinguerli in relazione alla varietà del movimento, poiché alcuni camminano, altri strisciano, altri nuotano, altri volano; possiamo farlo in relazione alla diversità dell’habitat, in quanto alcuni vivono in acqua, altri sulla terra ferma, altri ancora in cielo, altri, come alcuni dicono, sopravvivono nel fuoco; possiamo farlo in relazione al suono della lingua, poiché alcuni parlano, altri latrano, altri ancora ululano. Tuttavia constatiamo che da un lato ciascuna suddivisione è in sé esauriente, dall’altro che tutte insieme si possono ritrovare in ciascuna di esse singolarmente: ad esempio gli animali di sesso maschile possono essere sia neonati, sia di piccola taglia, sia muovere i passi, sia abitare sulla terra, sia avere due piedi sia essere in grado di parlare. Pertanto è lecito servirsi di una qualsiasi di queste differenze, anche se ci si deve servire solo di quella che è appropriata all’oggetto preso in considerazione. Se per esempio ti è stato affidato il compito di fare un elogio degli uomini, sarà opportuno suddividere gli animali in razionali e privi di ragione, perché si possa così facilmente comprendere, quanto la natura abbia tenuto in considerazione tra tutti gli esseri animati gli uomini, ai quali soltanto ha concesso la facoltà della ragione per essere da loro conosciuta.

[347] L’accidente è ciò che appartiene soltanto a una forma precisa, ma non

necessariamente; per esempio la retorica appartiene soltanto all’uomo, ma può anche non appartenergli, cosicché una persona, pur essendo ‘uomo’, non è per forza ‘oratore’.

[348] Il proprio è ciò che si manifesta in una medesima cosa e sempre, tale da

separare ciascuna essenza dall’insieme di tutte, come la facoltà di ridere nell’uomo, perché nessuno se non l’uomo può ridere, e l’uomo, se anche lo volesse, non potrebbe fare a meno di ridere perché fa parte della sua natura. La differenza poi è diversa dal proprio perché la differenza distingue ciascuna essenza soltanto da quella in questione, mentre il proprio la distingue da tutte le altre. Per esempio, volendo distinguere l’uomo dal leone sulla base della differenza, se dicessimo che il leone è feroce mentre l’uomo è mansueto, distingueremmo evidentemente soltanto ciò che è pertinente all’indagine intrapresa. Dicendo infatti ‘il leone è feroce, l’uomo mansueto’, non abbiamo isolato né l’uomo da altri animali mansueti, né il leone da tutte le altre bestie; invece una volta che

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abbiamo definito l’uomo ‘animale capace di ridere’, lo abbiamo da tutto il resto del genere animale.

[349] La definizione si ha quando la nozione oscura di ciascuna cosa è spiegata in

modo chiaro e conciso. Nel fare ciò bisogna evitare tre cose: che non esprima qualcosa di falso, che non sia ridondante, che non sia troppo stringata. ‘L’uomo è un animale immortale’ è falso; infatti nessun uomo è immortale. ‘L’uomo è un animale mortale’ è ridondante; in questo modo infatti, sebbene sia concisa, è troppo vaga in quanto si può applicare a tutti gli animali. ‘L’uomo è un animale erudito’ è troppo stringata; sebbene infatti soltanto l’uomo possa essere definito ‘erudito’, tuttavia non ogni uomo lo è. Un esempio di definizione completa è: ‘l’uomo è un animale razionale mortale’; aggiungendo infatti ‘mortale’ l’abbiamo distinto dagli dèi, aggiungendo ‘razionale’ lo abbiamo distinto dalle bestie.

[350] Il tutto è ciò che accorda a due o più parti poste in esso non sempre il nome

tuttavia mai la propria definizione, ed è riscontrabile soltanto negli individui: per esempio, se indichiamo un uomo e consideriamo sue parti le singole membra, lo intendiamo specificamente come un tutto, appunto perché abbiamo preso in esame un uomo definito, ma né la definizione né il nome di questo tutto possono essere applicati alle sue parti. Non potremmo chiamare infatti ‘uomo’ solo il braccio o la testa; tantomeno le singole membra ne condividono la definizione. Ma bisogna prestare attenzione al fatto che talora possiamo dire ‘insieme’ anziché ‘tutto’, ma li percepiamo con significato diverso. Infatti il tutto si riconosce anche nei singoli, l’insieme nei molti. Per esempio quando diciamo ‘l’uomo Cicerone’, per il fatto che è uno solo, va inteso come tutto; ‘uomo’, siccome può essere inesperto ed esperto, uomo e donna, è meglio se lo consideriamo come un insieme.

[351] Le parti sono quelle che si percepiscono essere nel tutto e delle quali il tutto si

compone.

[352] Dobbiamo dividere fino a quando si giunge all’indivisibile; e ciò accade

quando riduciamo a un numero ristretto i generi mediante le differenze specifiche e poniamo sotto di essi le forme, in modo tale che anch’esse possano a loro volta essere generi per altre forme poste sotto di loro; per esempio, se volessimo anzitutto in breve dividere ‘animale’, possiamo farlo sulla base delle differenze specifiche, in quanto alcuni camminano, altri strisciano, altri nuotano, altri volano. Da qui allo stesso modo,

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cioè a partire dalle singole specie, le possiamo considerare a loro volta generi, così da stabilire che gli animali che camminano sono un genere, e gli subordiniamo delle forme, cioè che alcuni sono umani, altri bestie. E a loro volta tra queste specie possono essercene altre, per mezzo delle quali, se si renderà necessario, si potrà giungere all’indivisibile. Ma questa operazione non va fatta per ogni asserzione, ma soltanto in una discussione sottile. È dunque lecito servirsi nel discorso della divisione in questo modo nel modo richiesto dall’oscurità di una causa, poiché se la causa non è oscura, il procedimento della divisione è necessario e deve essere applicato, ma non deve risultare molto evidente.

[353] Le differenze specifiche della partizione spesso non sono evidenti, e pertanto

senza di esse, se volessimo giungere fino all’indivisibile, la partizione potrebbe essere infinita. Perché se prendessimo un uomo in particolare considerandolo come un tutto e volessimo enumerare in breve le parti che lo compongono, non ci sarebbero abbastanza differenze specifiche che distinguono le parti e saremmo costretti a ricorrere ai nomi di parti precise, e a parlare di ‘testa’, ‘piedi’ e così via; e se volessimo elencarle rapidamente, poiché mancano differenze specifiche, non possiamo enumerarle una a una, perché sono molte, e sarebbe o impossibile, o lungo farlo.

[354] La differenza che sussiste tra divisione e partizione è di questa natura: nella

divisione procediamo per specie, nella partizione per parti. Le specie poi sono quelle subordinate al genere e che ne possono condividere definizione e nome. Le parti sono quelle di cui consta il tutto e non possono condividerne mai la definizione, a volte il nome. Possiamo tuttavia considerare un solo e medesimo ente allo stesso tempo come genere e come tutto, ma con una valenza diversa; ne è un esempio ‘uomo’: se volessimo applicare la divisione in giovane, vecchio e fanciullo, allora sarebbe un genere e le altre sarebbero le sue forme; se volessimo applicare la partizione in testa, piedi e mani, allora lo intenderemmo come tutto e le altre come sue parti; infatti giovane, vecchio e

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