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Supplementi ai quattro libri del primo volume

Paucis natus est, qui populum aetatis suae cogitat

| Prima metà

La dottrina della rappresentazione intuitiva (§§ 1-7 del primo volume)

«Warum willst du dich von uns Allen Und unsrer Meinung entfernen?» – Ich schreibe nicht euch zu gefallen, Ihr sollt was lernen.

j. w. goethe 3

[In occhiello: «È nato per pochi chi pensa agli uomini del suo tempo», seneca, Lettere a

Lucilio, 79, 17; trad. it. in Tutte le opere. Dialoghi, trattati, lettere e opere in poesia, a cura

di G. reale, Bompiani, Milano 2000, p. 851. Schopenhauer utilizzava Lucius Annaeus Seneca, Opera omnia, quae supersunt. Recognovit et illustravit Fridericus Ernestus Ruhkopf, 4 voll., Weidmann, Lips 1797-1808 (cfr. HN, v, n. 530, p. 163).]

Il punto di vista fondamentale dell’idealismo

Infinite sfere luminose, brillanti di luce propria, nello spazio in-finito; intorno a ciascuna, illuminate da esse, ruotano pressappoco una dozzina di sfere piú piccole; queste ultime, calde all’interno, sono rivestite da una crosta indurita e fredda, sulla quale un rive-stimento di muffe ha generato esseri viventi e conoscenti: è questa

la verità dell’esperienza, il reale, il mondo1. Eppure, per un essere

pensante non è piacevole trovarsi sopra a una di quelle innumerevoli sfere che si librano liberamente nello spazio sconfinato, senza sapere né da dove venga né dove vada, ed essere solo uno di innumerevoli esseri simili che si accalcano, si spingono, si tormentano, generan-dosi e trapassando incessantemente e rapidamente nel tempo senza inizio e senza fine; accanto ad essi niente di costante, eccezion fat-ta per la materia e per il ripresenfat-tarsi, per mezzo di certe vie e di certi canali, delle stesse svariate forme organiche che, solo per una volta, vengono all’esistenza. Tutto ciò che la scienza empirica può insegnare sono | soltanto la conformazione e la regola piú precise di questo andamento. – ora, finalmente, la filosofia piú recente ha riflettuto, soprattutto per opera di B e r k e l e y e di K a n t , sulla possibilità che tutto questo sia in primo luogo solo un f e n o m e n o c e r e b r a l e , sottoposto a condizioni s o g g e t t i v e cosí grandi, numerose e diverse, che la sua presunta realtà assoluta scompare e lascia spazio a un ordine del mondo affatto diverso, che starebbe alla base di quel fenomeno, vale a dire che starebbe ad esso come la cosa in se stessa sta alla mera apparenza fenomenica.

«Il mondo è mia rappresentazione»: questo, come gli assiomi di Euclide, è un principio che ciascuno deve riconoscere come vero subito, non appena lo abbia compreso, sebbene non si tratti di un principio tale che ognuno lo possa comprendere non appena lo ha sentito. – L’aver condotto alla coscienza questo principio e l’averlo connesso al problema della relazione dell’ideale con il reale, ossia della relazione del mondo che sta nella nostra testa con il mondo che

1 [Su questo cfr. anche infra, cap. 24 (La materia).]

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[In occhiello: «“Perché da tutti noi | e dal nostro pensiero ti vuoi allontanare?” – | Io non scrivo per piacere a voi, | a voi che dovete imparare» (j. w. goethe, Zahme Xenien, I, vv. 5-8; in Werke, Weimar 1888, vol. III, p. 229; ora in Sämtliche Werke, a cura di K. Eibl, dKv, Frankfurt am Main 1988, vol. I, p. 621. Schopenhauer utilizza id., Gedichte, 2 voll., cotta, Stuttgart-Tübingen 1815; cfr. HN, v, n. 1457, p. 407).]

sta al di fuori di essa, costituisce, insieme al problema della libertà

morale, il carattere distintivo della filosofia moderna2. Infatti, solo

dopo che per millenni ci si era misurati con un filosofare puramen-te o g g e t t i v o si è scoperto che, tra le molpuramen-te cose che rendono il mondo cosí enigmatico e inquietante, la prima e piú immediata è che la sua stessa esistenza, per quanto smisurata e consistente pos-sa essere, è appepos-sa tuttavia a un unico e sottilissimo filo, e che tale filo è la coscienza in cui esso si viene a trovare. Questa condizione, alla quale l’esistenza del mondo è soggetta in modo irrevocabile, le imprime, a dispetto di qualsivoglia realtà e m p i r i c a , il marchio dell’ i d e a l i t à e, di conseguenza, quello del semplice f e n o m e -n o . È per questo che essa deve ve-nire rico-nosciuta, qua-nto me-no da un certo punto di vista, come affine al sogno; anzi, deve essere

collocata nella medesima classe del sogno3. La stessa funzione

cere-brale che, durante il sonno, fa apparire come per incanto un mondo perfettamente oggettivo, evidente, addirittura tangibile deve infat-ti avere una parte altrettanto significainfat-tiva nella raffigurazione del mondo oggettivo durante la veglia. Entrambi i mondi sono infat-ti, per quanto diversi nella materia, costituiti da una sola forma, e questa forma è l’intelletto, la funzione cerebrale. – Probabilmente il primo a raggiungere il grado di consapevolezza richiesto da quella verità fondamentale è stato c a r t e s i o , il quale, di conseguenza, ne fece (sia pure, in modo provvisorio, solo nella forma del dubbio | scettico) il punto di partenza della propria filosofia. con ciò, con

il fatto che egli assunse come certo solamente il cogito ergo sum4, e

ritenne invece l’esistenza del mondo un che di provvisorio e di pro-blematico, venne realmente scovato il punto di partenza essenzia-le e il solo corretto, che è a un tempo il v e r o punto d’appoggio di tutta la filosofia. Tale punto d’appoggio è in effetti essenzial-mente e obbligatoriaessenzial-mente i l s o g g e t t i v o , l a c o s c i e n z a p a r t i c o l a r e . Poiché questo solo è e resta l’immediato: tutto il

2 [Su questi temi cfr. lo Schizzo di una storia della teoria dell’ideale e del reale che apre il primo volume di Parerga e paralipomena (Parerga I, pp. 17-54).]

3 [Nell’Appendice al primo volume, dedicata alla Critica della filosofia kantiana, Scho-penhauer si era spinto sino a riconoscere come «la base dell’intera filosofia kantiana», «la sua anima e il suo merito piú significativo», precisamente la «costituzione onirica del mon-do»: Kant «riuscí in questo intento scomponendo e mostrando pezzo per pezzo, in modo straordinariamente accorto e ingegnoso, l’intero meccanismo della nostra facoltà conosci-tiva, per mezzo della quale viene a costituirsi la fantasmagoria del mondo oggettivo» (cfr.

Mondo 2013, p. 535).]

4 [Penso, dunque sono. cfr. cartesio, Principî della filosofia, I, 7 e 10; Discorso sul

me-todo, Iv.]

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resto, qualsiasi cosa sia, è comunicato solo da esso e da esso condi-zionato, e di conseguenza ne dipende. Perciò è giusto che si con-sideri c a r t e s i o come il padre della filosofia moderna, e che la si faccia iniziare con lui. Proseguendo su questa via, B e r k e -l e y giunse, non mo-lto tempo dopo, a-l-l’autentico i d e a -l i s m o , vale a dire alla conoscenza che ciò che si estende nello spazio, ossia il mondo oggettivo, materiale, in generale, come tale esiste esclusi-vamente nella nostra r a p p r e s e n t a z i o n e , e che è falso, anzi assurdo, attribuirgli, i n q u a n t o t a l e , un’esistenza al di fuo-ri di ogni rappresentazione e indipendente dal soggetto conoscente, ossia ammettere una materia semplicemente presente ed esistente di per se stessa. Questo modo di vedere assai corretto e profondo costi-tuisce tuttavia propriamente l’intera filosofia di B e r k e l e y : egli si è esaurito in esso.

La vera filosofia, perciò, deve in ogni caso essere i d e a l i s t i -c a ; anzi, essa deve esserlo foss’an-che soltanto per essere onesta. Poiché non c’è niente di piú certo del fatto che nessuno può mai uscir fuori da sé per identificarsi immediatamente con le cose che sono diverse da lui; e che invece tutto ciò di cui abbiamo una co-gnizione sicura, e quindi immediata, trova posto all’interno della sua coscienza. Al di là e al di fuori di essa non si può dare alcuna certezza i m m e d i a t a ; ma i principî primi fondamentali di una scienza debbono possedere proprio una certezza di questo genere. È del tutto conforme al punto di vista delle altre scienze l’assumere il mondo oggettivo come senz’altro dato; ma non è cosí per il punto di vista della filosofia, il quale deve riportarsi a ciò che è primo e originario. Solo la c o s c i e n z a è immediatamente data, e perciò il s u o fondamento è circoscritto ai fatti della coscienza: vale a dire che essa è essenzialmente i d e a l i s t i c a . – Il realismo, che, essendo in apparenza conforme alla realtà dei fatti, trova credito presso gli intelletti rozzi, prende le mosse | in effetti da un’assun-zione arbitraria ed è perciò un precario castello in aria, in quanto trascura o rinnega quello che è il primo fra tutti i fatti possibili: che tutto ciò che noi conosciamo si trova all’interno della coscien-za. Infatti, che l’ e s i s t e n z a o g g e t t i v a delle cose sia con-dizionata da qualcosa che le rappresenti, e che, di conseguenza, il mondo oggettivo esista solo c o m e r a p p r e s e n t a z i o n e non è affatto un’ipotesi, né tanto meno una proposizione arbitraria imposta d’autorità, men che meno un paradosso messo in campo solo per il gusto della disputa: si tratta invece della verità piú cer-ta e piú semplice, la cui conoscenza è resa difficile solo dal fatto

che essa è sin troppo semplice e che non tutti hanno una capacità di riflessione sufficiente a ricondurli agli elementi primi della loro coscienza delle cose. Un’esistenza oggettiva assoluta e in se stes-sa non si può dare in nessun caso; anzi, un’eventualità del genere è del tutto inconcepibile, poiché ciò che è oggettivo esiste, come tale, sempre ed essenzialmente nella coscienza di un soggetto, del quale è dunque rappresentazione, condizionata di conseguenza dal soggetto stesso e, inoltre, dalle forme della rappresentazione, che, come tali, appartengono al soggetto, non all’oggetto.

A prima vista sembra del tutto certo che i l m o n d o o g g e t -t i v o c i s a r e b b e anche se non esis-tesse alcun essere conoscen-te, poiché lo si può pensare in abstracto senza che venga alla luce la contraddizione che esso porta dentro di sé. – Solo se si vuole r e a l i z z a r e questo pensiero astratto, vale a dire se lo si vuole ricondurre a rappresentazioni intuitive, in forza delle quali soltan-to esso (come ogni astratsoltan-to) può avere contenusoltan-to e verità; e perciò solo se si cerca d i i m m a g i n a r e u n m o n d o o g g e t t i v o s e n z a u n s o g g e t t o c o n o s c e n t e , allora ci si rende con-to che ciò che si immagina in quescon-to modo è in verità il contrario di ciò che ci si era proposti di immaginare, ossia nient’altro che un processo che si svolge nell’intelletto di un soggetto conoscente che coglie intuitivamente un mondo oggettivo, e dunque proprio ciò che si era voluto escludere. Questo mondo intuitivo e reale, in-fatti, è evidentemente un fenomeno cerebrale: perciò nell’assunto che esso debba esserci, in quanto tale, anche indipendentemente da tutti i cervelli, si cela una contraddizione.

L’obiezione fondamentale che si può muovere all’indispensabi-le ed essenziaall’indispensabi-le i d e a l i t à d i t u t t i g l i o g g e t t i , obiezione che, in modo piú o meno chiaro, si agita in ciascuno di noi, è sen-za dubbio questa: anche la persona | che io stesso sono è oggetto per un altro, del quale è dunque una rappresentazione; e tuttavia io so con certezza che continuerei a esserci, anche senza che co-stui si rappresentasse questa mia persona. Ma anche tutti gli al-tri oggetti stanno con il suo intelletto nella stessa relazione in cui i o sto con esso: ne segue che anch’essi continuerebbero a esserci anche senza che quell’altro se li rappresentasse. – Ecco la mia ri-sposta: quell’altro, come oggetto del quale io considero ora la mia persona, non è semplicemente i l s o g g e t t o , bensí anzitutto un individuo conoscente. Perciò, se anche costui non ci fosse, e se addirittura in generale non esistesse nessun altro essere cono-scente eccetto me stesso, anche in questo caso non sarebbe in nes-sun modo soppresso quel s o g g e t t o nella rappresentazione del

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quale soltanto esistono tutti gli oggetti. Poiché anche io stesso so-no questo s o g g e t t o , proprio come lo è ogni essere coso-noscente. di conseguenza, nel caso in questione, senza dubbio la mia per-sona ci sarebbe ancora, ma nuovamente come rappresentazione, vale a dire nella mia propria conoscenza. Essa infatti viene cono-sciuta, anche da me stesso, sempre e solo mediatamente e mai in modo immediato, poiché tutto l’essere-rappresentato è un essere mediato. vale a dire che io conosco il mio corpo come o g g e t -t o , ossia come una real-tà es-tesa, disloca-ta nello spazio e capace di agire solo nell’intuizione del mio cervello, la quale viene comu-nicata tramite i sensi, sui cui dati l’intelletto intuente esercita la propria funzione, che è quella di risalire dall’effetto alla causa, sí che, mentre l’occhio vede il corpo o le mani lo toccano, esso co-struisce quella figura tridimensionale che si presenta nello spazio come quel corpo che è il mio. In nessun modo però, nemmeno nella sensibilità complessiva del corpo o nell’autocoscienza interiore, mi è data immediatamente una qualche estensione, forma e attività; queste ultime verrebbero in tal caso a coincidere con il mio stesso essere, il quale quindi, per esistere in questo modo, non avrebbe bisogno di alcun altro essere, nella conoscenza del quale venire raffigurato. Piuttosto, quella sensibilità complessiva, come anche l’autocoscienza, esistono immediatamente solo in relazione con la v o l o n t à , vale a dire sotto forma del gradevole o dello sgradevo-le, e come ciò che è attivo negli atti della volontà i quali, per l’in-tuizione esteriore, si presentano come azioni del corpo. Segue da ciò che l’esistenza della mia persona o del mio corpo c o m e u n c h e d i e s t e s o e d i a t t i v o presuppone sempre u n c h e d i c o n o s c e n t e diverso da esso, poiché esso è essenzialmente un’esistenza nell’apprensione, nella rappresentazione, e dunque è essenzialmente un’esistenza p e r u n a l t r o . In | effetti, sia che il cervello nel quale essa si raffigura appartenga ad essa oppure a una persona estranea, abbiamo sempre a che fare con un fenomeno cere-brale. Nel primo caso la nostra persona si scompone poi in conoscen-te e conosciuto, in oggetto e soggetto, che qui, come dappertutto, stanno l’uno di contro all’altro senza poter essere separati e senza poter essere unificati. – Se ora dunque la mia propria persona, per esistere come tale, necessita sempre di un essere conoscente, allora ciò dovrà valere almeno nella stessa misura anche per gli altri oggetti, per i quali l’obiezione sopra riferita voleva rivendicare un’esistenza indipendente dalla conoscenza e dal suo soggetto.

Intanto si capisce che l’esistenza che è condizionata da un essere

conoscente è solamente l’esistenza n e l l o s p a z i o , ossia quella di una realtà estesa e agente: solo quest’ultima è sempre una real-tà conosciuta, e di conseguenza un’esistenza p e r u n a l t r o . viceversa, ogni realtà che esiste in questo modo può avere anche una e s i s t e n z a p e r s e s t e s s a , per la quale non necessita di alcun soggetto. Tuttavia quest’esistenza non può essere di per se stessa estensione e attività (le quali costituiscono, congiuntamen-te, la capacità di riempire uno spazio), ma è necessariamente un essere di altro tipo, vale a dire quello di una c o s a i n s e s t e s s a , la quale, proprio in quanto tale, non può mai essere o g g e t -t o . – Sarebbe dunque ques-ta la rispos-ta all’obiezione principale che abbiamo avanzato piú sopra, la quale perciò non invalida la verità fondamentale che il mondo che è presente oggettivamente può esistere solo nella rappresentazione, ossia solo per un soggetto.

Si osservi qui ancora che lo stesso K a n t non può aver pensa-to, tra le sue cose in sé, alcun o g g e t t o , per lo meno sino a che si è mantenuto consequenziale. Questo risulta infatti già dal fatto che egli ha dimostrato che lo spazio, come anche il tempo, sono una semplice forma nella nostra intuizione che, di conseguenza, non ap-partiene alle cose in sé. ciò che non si trova nello spazio né nel tem-po non può nemmeno essere un o g g e t t o : quindi l’essere delle c o s e i n s é non può piú essere un che di o g g e t t i v o , ma solo una realtà di tutt’altro genere, una realtà metafisica. di conseguen-za, in quel principio kantiano è già contenuto anche il fatto che il mondo o g g e t t i v o esiste solo come r a p p r e s e n t a z i o n e .

Nulla è stato cosí continuamente, possiamo dire ostinatamente, e sempre di nuovo ripetutamente frainteso, come l’ i d e a l i s m o , nella misura in cui esso viene interpretato come una negazione della realtà | e m p i r i c a del mondo esterno. Si basa su ciò il continuo richiamo al sano buon senso che compare con varie trasformazio-ni e sotto diverse spoglie come, per esempio, la p e r s u a s i o n e

f o n d a m e n t a l e della scuola scozzese5, o la f e d e jacobiana

5 [Schopenhauer si riferisce alla cosiddetta filosofia del senso comune, sviluppata nell’am-bito della scuola scozzese fondata ad Aberdeen da Thomas reid (1710-96), che fu il succes-sore di Adam Smith alla cattedra di filosofia morale dell’Università di Glasgow e che, nel 1764, scrisse una Ricerca sulla mente umana in base ai principî del senso comune (se ne veda la trad. it. curata da A. Santucci, Utet, Torino 1975, rist. 1996, corredata da un’utile bibliogra-fia). La critica che reid rivolse allo scetticismo (in particolare a david Hume) muoveva dal-la convinzione che proprio e solo il senso comune potesse consentire di affrontare in modo efficace il problema della conoscenza: il contenuto del senso comune – e anzitutto il ricono-scimento della realtà del mondo esterno – si costituisce come un che di certo, che la filosofia non può negare ma solo, semmai, discutere e chiarire. Esponenti della scuola scozzese furo-no, oltre al suo fondatore, d. Stewart, T. Brown, J. Mackintosh, W. Hamilton, J. Mccosh.] 9

nella realtà del mondo esterno6. Il mondo esterno non ci si dà in

nessun modo in credito, come racconta invece J a c o b i , e

nem-meno viene da noi accolto per credenza o per fede7: esso si dà cosí

com’è, e mantiene immediatamente ciò che promette. ci si deve rammentare che J a c o b i , che ha presentato un tal genere di siste-ma del mondo basato sul credito e che per fortuna lo ha trasmesso ad alcuni professori di filosofia che per trent’anni gli hanno fatto eco filosofeggiando comodamente e verbosamente, è quello stesso Jacobi che ha denunciato dapprima L e s s i n g come spinozista, e piú tardi S c h e l l i n g come ateo, ricevendo da quest’ultimo la

nota e ben meritata punizione8. coerente con uno zelo di questo

ge-nere egli, abbassando il mondo esterno a mero oggetto di fede, ha voluto solo aprire una porticina alla fede in generale e preparare il credito per ciò che effettivamente avrebbe poi dovuto essere portato in credito all’uomo; come se, per introdurre della cartamoneta, ci si volesse appellare al fatto che il valore della moneta sonante consiste

6 [cfr. f. h. jacobi, David Hume über den Glauben oder Idealismus und Realismus («da-vid Hume sulla fede, o Idealismo e realismo»), Breslau 1787; Leipzig, 18152; rist. anast. Wissenschaftliche Buchgesellschaft, darmstadt 1976; trad. it. Idealismo e realismo, a cura di N. Bobbio, de Silva, Torino 1948.]

7 [Friedrich Heinrich Jacobi (1743-1819) riteneva che la nostra convinzione dell’esisten-za delle cose del mondo esterno avesse come unico fondamento una rivelazione miracolo-sa: «Mediante la fede noi sappiamo che abbiamo un corpo, e che fuori di noi esistono altri corpi ed altri esseri pensanti. Una rivelazione verace, meravigliosa! Poiché noi sentiamo solo il nostro corpo, in questo o quell’altro stato; e mentre lo sentiamo in questo o quell’al-tro stato, avvertiamo non solo i suoi mutamenti, ma anche qualcosa di affatto diverso, che non è né semplicemente sensazione né pensiero, cioè altre cose reali, e invero con la cer-tezza con cui avvertiamo noi stessi […]. cosí dunque abbiamo una rivelazione della natu-ra, la quale non solo comanda, ma costringe gli uomini a credere e ad ammettere mediante la fede verità eterne» (id., La dottrina di Spinoza. Lettere al Signor Moses Mendelssohn, trad. it. di F. capra, riveduta da v. verra, Laterza, Bari 19692, pp. 135-36).]

8 [Nelle lettere a Mendelsshon sulla dottrina di Spinoza, citate nella nota precedente, Jaco-bi accusò Lessing di spinozismo, ossia di ateismo (la dottrina di Spinoza infatti, identificando dio e natura e configurandosi come la quintessenza del razionalismo, si risolverebbe secondo Jacobi in un panteismo e in un fatalismo ateistici). Il suo scritto suscitò tra il 1811 e il 1812 una vasta polemica (nella quale intervennero, tra gli altri, Goethe, Herder e Schelling) che si tra-mutò ben presto in una riscoperta e in una rivalutazione della filosofia di Spinoza. Schelling, in particolare, attaccò direttamente Jacobi nello scritto F. W. J. Schellings Denkmal der Schrift von

den göttlichen Dingen u.s.f. des Herrn Friedrich Heinrich Jacobi und der ihm in derselben gemachten Beschuldigung eines absichtlich täuschenden, Lüge redenden Atheismus («replica di Schelling allo

scritto sulle cose divine del Signor F. H. Jacobi e all’accusa, che in quello scritto gli viene mos-sa, di professare un ateismo ingannevole e menzognero»), cotta, Tübingen 1812 (lo si legge in

Sämtliche Werke, a cura di K. F. A. Schelling, cotta, Stuttgart 1856-61, vol. vIII, pp. 19-136).

Sul rapporto Schelling-Jacobi, cfr., oltre a verra, F. H. Jacobi. Dall’illuminismo all’idealismo, Edizioni di Filosofia, Torino 1963, pp. 252-56 e 294-300, l. s. ford, The controversy between

Schelling and Jacobi, in «Journal of the history of philosophy», 1965, pp. 75-89; trad. ted. Streit

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