Alla ricerca della scientificità
2.3. Lo sviluppo dei modelli teoric
Nella storia del servizio sociale si è assistito, fin dalla prima metà del 900, ed in particolare nei Paesi anglosassoni, allo svilupparsi di più modelli teorici di riferimento.
Inizialmente si pone l’enfasi sui condizionamenti ambientali, successivamente, siamo negli anni 1920, sullo studio della personalità umana (scuola diagnostica).
I modelli operativi degli anni seguenti hanno focalizzato l’attenzione sugli aspetti psicosociali della personalità, e tra gli anni '40 e gli anni ‘60 sono sorti, infatti, numerosi modelli teorico- operativi che, pur avendo comuni idee di fondo, hanno mostrato alcune specificità.
Si fa riferimento a quei modelli che si caratterizzano per una impostazione di tipo medico (presuppongono cioè l’esistenza di una patologia) e per un approccio di tipo individuale. Solo negli anni ‘70 hanno cominciato ad emergere modelli orientati ad una visione integrata del servizio sociale.
Si può affermare che modelli elaborati nel corso di tutti questi anni sono riconducibili a due fasi di sviluppo: una prima fase dominata dal modello medico (studio-diagnosi-trattamento: fasi mutuate direttamente dal linguaggio medico), che ha visto prevalere interventi settoriali, ed una seconda fase in cui si assume la teoria dei sistemi come quadro esplicativo dei fenomeni stessi e si teorizzano interventi in prospettiva unitaria e globale.
Nella prima fase il servizio sociale opera prevalentemente nella logica della cura, della presa in carico di situazioni problematiche da risolvere (aspetto terapeutico), partendo dalla premessa che gran parte delle situazioni di disagio, di devianza, ha origine in una condizione personale di incapacità, o impossibilità, a governare i cambiamenti, i problemi che si verificano nel corso della vita.
E’ il periodo in cui il lavoro degli assistenti sociali è influenzato e orientato dalle teorie psicoanalitiche, dagli approcci diagnostico-terapeutici e comportamentistici, dall’orientamento psicosociale e da quello funzionale.
È anche il periodo in cui i modelli teorici si differenziano per la tipologia dei destinatari dell’azione sociale: lavoro con il singolo (case work), lavoro con i gruppi (group work), lavoro con la comunità (community organization).
Possiamo descrivere il MODELLO MEDICO (studio-diagnosi-trattamento) nei seguenti termini: trattasi di un approccio nel quale il compito dell’operatore sociale consiste nel “trattare” una “malattia sociale”.
Egli è la persona in grado di dare delle risposte o di fornire delle soluzioni, dei “rimedi” a chi soffre di una carenza o di una disfunzione sociale.
Questo modello di trattamento sociale si è modificato sotto l’influsso delle correnti psicoanalitiche e psicoterapeutiche successive, senza perdere però le sua caratteristiche principali.
Il termine trattamento viene sostituito da quello di terapia e si diffonde l’idea e la pratica professionale della terapia sociale, della socioterapia, della psicoterapia, etc.
Esistono due forme di trattamento sociale: il trattamento indiretto, detto anche socioterapia, centrato sull’ambiente esterno al cliente e che agisce mediante la modificazione dell’ambiente e il trattamento diretto o psicoterapia, centrato sulla persona-cliente e che consiste nel fornire un sostegno psico-sociologico, nonché nello sviluppare la comprensione di se stessi e della propria situazione.
La seconda fase si caratterizza per l’assunzione della teoria generale dei sistemi come paradigma interpretativo dei fenomeni sociali e individuali, alla quale si accompagnano concetti quali complessità, multifattorialità, cambiamento, equilibrio.
Il vero cambiamento del servizio sociale è avvenuto quando si è cercato di abbandonare definitivamente il modello medico per aderire al modello di intervento-cambiamento che parte da un’analisi della situazione iniziale, mette in atto una serie di strategie di intervento e valuta i risultati ottenuti.
Alla base del MODELLO DI INTERVENTO SISTEMICO vi è la concezione del ruolo dell’operatore sociale come agente di cambiamento (cambiamenti personali, familiari, sociali).
L’obiettivo di cambiamento sostituisce gli obiettivi di cura del modello medico. L’assistente sociale deve, partendo dalla comprensione della dinamica sociale e psicologica in cui si trova il cliente, definire gli obiettivi di cambiamento da raggiungere e i mezzi per conseguirli.
Questa definizione di obiettivi e di mezzi è chiamata progetto d’intervento.
La complessità delle variabili intervenienti nell’insorgenza di un problema, individuale o sociale, comporta l’implementazione di interventi multipli, passando dalla mera logica della cura a quella della promozione e attivazione di potenzialità (risorse individuali, sociali, territoriali, istituzionali) utilizzabili in funzione della crescita di autonomia dei soggetti nel gestire i propri problemi e, quindi, anche della prevenzione di nuove situazioni di disagio, o del riprodursi delle medesime.
Quindi si realizza il passaggio da un approccio lineare causa-effetto ad un approccio sistemico, da teorie centrate fondamentalmente sulla persona (psicoanalitiche e psico-sociali) a schemi interpretativi che tengono conto del contesto di vita dell’utente e di lavoro del professionista.
Assistiamo al graduale passaggio da una visione antropocentrica al riconoscimento della persona come soggetto inserito in un contesto, che realizza il proprio progetto di vita nell’incontro relazionale con il contesto stesso.
La persona non è più vista come destinataria-consumatrice dell’aiuto, ma come protagonista consapevole dello stesso, con simmetrica responsabilità, seppur con ruoli differenti, rispetto agli altri soggetti dell’aiuto.
Pur evidenziando le differenze che connotano i modelli teorici di servizio sociale, va sottolineato che in ciascuno di essi sono rinvenibili elementi di stabilità, cioè i principi e i valori del lavoro sociale, pur con le modificazioni e gli adattamenti connessi alle evoluzioni storico- culturali.
Non è possibile avvicinarsi ai singoli modelli pensando di poter trovare un modello in grado di rappresentare la realtà complessa che l’assistente sociale deve affrontare, né possiamo pensare che un modello possa operare cambiamenti in qualsiasi situazione (Perino 2010). Pertanto sarebbe improprio e limitativo rifarsi nella pratica ad un solo modello: occorre considerare le caratteristiche delle diverse situazioni e quindi degli obiettivi che si individuano in base ai quali l’operatore può individuare il modello più appropriato e consono al processo di cambiamento che si vuole attuare in accordo con l’utente (se possibile).
Si sottolinea l’importanza dell’adozione da parte dell’operatore di una mentalità elastica e flessibile anche nell’applicazione dei vari modelli alle situazioni concrete che affronta; ciò gli
Vale la pena fare un accenno alla competenza riflessiva che deve sempre avere l’operatore anche rispetto ai modelli teorici, così da acquisire maggior competenza nel maneggiare adeguatamente, in maniera critica e coerente, la “cassetta degli attrezzi” dell’assistente sociale.