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Tecniche analitiche finalizzate alla tracciabilità e all’individuazione

3.2 Miele

3.2.1 Tecniche analitiche finalizzate alla tracciabilità e all’individuazione

3.2.1.1 Le analisi melissopalinologiche

La base dell'analisi pollinica (o melissopalinologica o microscopica) sta nel fatto che i granuli pollinici delle diverse specie botaniche sono riconoscibili all'osservazione microscopica, così come è possibile risalire a una pianta dal suo seme. Il miele contiene sempre granuli pollinici, in quanto questi possono "contaminare" il nettare nel momento in cui l'ape lo raccoglie. E' quindi possibile, dall'osservazione del polline contenuto nel miele, opportunamente recuperato e montato, risalire all'origine botanica del miele. Il metodo però non è così semplice come si potrebbe credere. La prima difficoltà risiede nell'identificazione dei granuli pollinici, che richiede una notevole esperienza in quanto occorre memorizzare le forme polliniche che devono poi essere riconosciute durante l'analisi vera e propria e i particolari che permettono di distinguere un polline dall'altro possono essere visualizzati solo da un occhio esercitato: di conseguenza è una analisi possibile solo in laboratori specializzati in cui operi personale che si dedica principalmente a questo tipo di determinazione. La seconda difficoltà è dovuta al fatto che la quantità di polline che finisce nel nettare al momento della raccolta di

questo (inquinamento primario), è estremamente variabile a seconda della pianta: questo aspetto è stato studiato attraverso mieli uniflorali sperimentali ottenuti con l'impiego di piccole colonie di api imprigionate in serra assieme alla specie da studiare. In questo modo si è visto che l'inquinamento primario può variare da un centinaio di granuli pollinici per grammo di miele (per esempio per la robinia) fino a diversi milioni (nel caso estremo del non- ti-scordar-di-me). La conseguenza di queste osservazioni consiste nel fatto che non è possibile, in un miele misto, come sono praticamente tutti i mieli naturali, usare semplicemente un conteggio percentuale delle forme polliniche ritrovate per risalire all'origine botanica. Immaginando per esempio un miele che sia prodotto per metà sulla robinia e per metà sul non-ti-scordar-di-me, all'analisi pollinica il sedimento risulterebbe costituito da alcune decine di granuli della prima e di alcuni milioni del secondo: usando un conteggio percentuale la robinia resterebbe completamente mascherata dal non-ti-scordar-di- me. Non è neppure possibile usare dei coefficienti di correzione (o le quantità assolute di polline), in quanto conosciamo la consistenza esatta dell'inquinamento primario solo per una cinquantina di piante mellifere europee, contro le centinaia (o migliaia) che ci interesserebbero; inoltre tali valori non sono costanti, ma variano a seconda delle condizioni: per esempio, anche dalla semplice distanza tra la sorgente nettarifera e l'alveare ha un'influenza sull'entità dell'inquinamento primario. L'analista quindi usa interpretare il risultato del conteggio alla luce della "rappresentatività" dei pollini che sono stati trovati (cioè la tendenza dei vari pollini a essere iper-, normalmente o iporrapresentati rispetto al nettare), del risultato dell'analisi pollinica quantitativa (la quantità totale di polline) e delle altre analisi effettuate (organolettica e fisico-chimiche). Il terzo problema risiede nel ruolo stesso del polline come indicatore di origine botanica e può, in alcuni casi, rendere del tutto impossibile risalire all'origine botanica di un miele attraverso lo spettro pollinico. I pollini che si rinvengono nel miele non hanno per origine solo i meccanismi di inquinamento primario, l'unico che possa fornire informazioni sull'origine botanica, ma possono anche finire nel miele in fasi successive. Il polline raccolto dalle api come tale può inquinare il miele in formazione durante i processi di maturazione dello stesso (inquinamento secondario) o durante l'estrazione (inquinamento terziario). Infatti nel miele si trovano sempre granuli pollinici di piante che non forniscono nettare (papavero, quercia, cisto, olivo, piantaggine, romice, graminacee ecc.), a volte anche in quantità consistente. I pollini di piante prive di nettare non disturbano la determinazione dell'origine botanica del miele, in quanto vengono conteggiati a parte, ma come sapere se un granulo pollinico di una pianta che è bottinata sia per il polline che per il nettare indica un contributo in nettare o è d'origine secondaria o terziaria? Questa è una ulteriore fonte di imprecisione nella determinazione dell'origine botanica: quando poi le

tecniche di apicoltura portano alla smelatura di favi che hanno contenuto (o che contengono) polline (favi del nido o da alveari con favi di un'unica dimensione, tipo Langstroth o divisibile, o a sviluppo orizzontale, tipo la Layens spagnola) lo spettro pollinico primario risulta completamente mascherato dal polline di origine terziaria e non è più possibile risalire all'origine botanica attraverso l'analisi pollinica.

L'analisi pollinica viene usata anche per la determinazione dell'origine geografica di un miele; questa applicazione in effetti è quella originaria, quella per la quale la tecnica era stata messa a punto: si basa sul fatto che ogni zona presenta una vegetazione caratteristica, che si riflette sullo spettro pollinico del miele. In questo caso l'origine del polline, primaria, secondaria o terziaria, non ha importanza, a meno che agli alveari nomadi non sia stato fatta percorrere una distanza superiore al livello di precisione richiesto alla determinazione. Nei mieli con polline di origine terziaria la determinazione dell'origine geografica risulta addirittura facilitata, data la grande ricchezza di polline che aumenta la probabilità di rinvenire forme polliniche particolari tipiche di una determinata origine. Raramente però la determinazione dell'origine geografica presuppone il ritrovamento di forme polliniche particolari; molto più spesso si basa sulla presenza in associazione di diverse forme (e la contemporanea assenza di altre), nonché sulla loro frequenza. Si parla quindi molto più spesso di spettri tipici, che di forme polliniche tipiche. Anche la determinazione dell'origine geografica attraverso l'analisi pollinica non è una scienza esatta: l'analista dà un responso che ha tante più probabilità di corrispondere alla realtà quanto meno dettagliato è il livello della determinazione, che può variare dall'individuazione delle grandi aree geografiche e vegetazionali alle singole vallate di una stessa regione, e quanto maggiore è la sua competenza in materia. Infatti l'analista ha come supporto per questo lavoro alcune pubblicazioni scientifiche, ma il grosso delle valutazioni le deve fare sulla base della propria personale esperienza, confrontando lo spettro del miele in esame con quello di tutti i prodotti simili precedentemente analizzati. Il compito viene reso ancora più difficile dalle variazioni della vegetazione spontanea e, molto più spesso, da quelle colturali e delle condizioni produttive e di mercato che portano a una situazione tutt'altro che statica e alla necessità, per l'analista, di non considerare mai conclusa la fase di apprendimento.

3.2.1.2 L'individuazione delle frodi

Le determinazioni previste dalla legge 753 dovrebbero, già da sole, permettere di individuare i prodotti fraudolenti, ottenuti per aggiunta di sostanze zuccherine o anche ottenuti dall'alimentazione forzata delle api. In realtà queste analisi permettono di evidenziare solo frodi grossolane che, proprio grazie all'esistenza della legge e dei limiti di composizione che

contiene, non vengono più fatte. Per passare il vaglio delle analisi di legge il frodatore deve escogitare metodi più sofisticati, usare materie prime più simili al miele e maggiormente selezionate e conoscere profondamente il prodotto che vuole imitare: tutto questo porta a un costo tale del prodotto fraudolento che l'inganno non appare sicuramente rimunerativo, considerati i rischi e il costo del miele naturale. Le materie prime più simili al miele prodotte dall'industria sono gli sciroppi zuccherini ottenuti per idrolisi (chimica ed enzimatica) e isomerizzazione enzimatica a partire da diversi amidi (di riso, di mais ecc.). Queste sostanze trovano largo impiego nell'industria alimentare e delle bevande. Hanno composizione diversa a seconda della tecniche utilizzate per la produzione: varia il rapporto fruttosio/glucosio e varia il residuo di oligo- e polisaccaridi. L'identificazione di queste sostanze in miscela con miele richiede un'analisi approfondita della composizione zuccherina: nei laboratori moderni sono possibili analisi strumentali (gascromatografia e HPLC) che permettono di dosare tutti gli zuccheri presenti nel miele. Per alcune di queste frodi, quelle fatte con gli sciroppi più economici, che contengono più glucosio e più polisaccaridi, l'identificazione della frode può essere fatta con questo tipo di analisi, o anche con sistemi ancora più semplici che permettano di evidenziare la componente oligo- e polisaccaridica del prodotto in questione (cromatografia su strato sottile e precipitazione alcolica delle destrine). Quando sono impiegati sciroppi con composizione a più alto contenuto in fruttosio e quantità di oligosaccaridi simile a quella del miele, l'individuazione della frode può essere problematica. Esiste un mezzo analitico che può dire con certezza se gli zuccheri hanno per origine il mais o le piante che normalmente producono miele: nel mais infatti (come anche in altre piante adattate ai climi aridi) il sistema di trasformazione dell'anidride carbonica dell'aria in sostanze organiche differisce da quello della maggior parte delle altre piante. Il ciclo di fissazione del carbonio del mais viene detto C4, quello delle altre piante C3. Un effetto di questo diverso ciclo è che il rapporto tra gli isotopi non radioattivi del carbonio è diverso nelle molecole organiche prodottesi con ciclo C4 rispetto a quelle originatesi in piante a C3: negli zuccheri sintetizzati con il ciclo C4 c'è meno carbonio pesante (13C). Per determinare questa caratteristica i prodotti sospetti devono essere analizzati con uno spettrometro di massa ad alta risoluzione e questo metodo non è alla portata di tutti i laboratori. Nella maggior parte dei casi però non è necessario ricorrere a un mezzo così sofisticato: sottoponendo un miele ad una completa analisi fisico-chimica, organolettica e microscopica deve necessariamente uscire un quadro coerente; in altre parole, a un certo spettro pollinico deve corrispondere una certa composizione e un aspetto, odore e sapore conformi. Anche se non basta un quadro insolito per affermare che si è di fronte a un prodotto fraudolento, in genere è abbastanza per insospettire e approfondire le indagini. Tra le analisi relativamente semplici che possono essere utilizzate per l'indagine in questo senso

viene a volte usato il dosaggio della prolina. Questa è l'aminoacido libero che è presente in maggiore quantità nel miele e deriva principalmente dalle api: una sua carenza può indicare una diluizione con sostanze estranee.

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