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tedesca tra Otto e Novecento

CAMILLAMIGLIO

Tre tipi di orientalismo

Edward Said individua, con un certo grado di utile semplifica-zione, tre categorie di «orientalisti» occidentali: il filologo, che si occupa della cultura orientale dal punto di vista scientifico; il sag-gista, o filosofo, che incorpora il sapere orientale in percorsi pro-pri; il poeta, i cui viaggi immaginari o reali costituiscono materia di ispirazione e creazione autonoma1.

In questo saggio cercheremo di capire il rapporto di reciproca influenza tra questi tre tipi di orientalismo e quali importanti risultati la loro interazione culturale abbia prodotto nell’area tedesca tra Otto e Novecento, con particolare attenzione alle opere riguardanti la Rivelazione del Buddha e il buddhismo. Attraverseremo brevemente il lavoro di orientalisti del primo tipo: alcuni traduttori, da Schmidt a Neumann; del secondo tipo: un filosofo, Schopenhauer; e del terzo tipo: due scrittori-poeti,

Rilke e Hesse. Un filo di continuità li lega tutti: il circuito erme-neutico che abbraccia il lavoro dei traduttori, l’immaginario dei filosofi e dei poeti, per tornare ai traduttori stessi. Cercheremo di aggiungere anche un piccolo contributo alla pur ricca trattazione di Said: lo scaffale tedesco. Said infatti attribuisce una pregnanza al fenomeno nell’area francese-francofona e britannica-anglofo-na che non riconosce nell’area tedesca-germanofobritannica-anglofo-na. A fare la differenza sarebbe la presenza o non presenza di interessi politici e coloniali, forti nel caso francese e inglese, meno nel caso tede-sco. Ma per rispondere a Said basterebbe accennare ai tangibili interessi austriaci verso l’Oriente attraverso la porta dell'impero ottomano; al profondo espansionismo dello spirito che insieme alla Weltliteratur è altrettanto pervasivo da parte tedesca, al punto da spingere gli studi germanici a cercare una nuova patria «indo-germanica» proprio tra Tibet e Gange; oppure al tentativo di creare una sintesi occidentale-orientale che fondasse un nuovo umanesimo. Così Goethe (nel Divan)2e Rückert (con le sue Rose

orientali, o con le traduzioni da Sa’di, Rumi, Hafez)3vollero attin-gere alla letteratura persiana, o ancora, più tardi e con diverse modulazioni, Hofmannsthal (La 672° notte)4alle Mille e una notte, o Thomas Mann (Giuseppe e i suoi fratelli) all’antichità babilonese-biblica.

Vero è comunque che l’orientalismo tedesco nell’Età di Goethe5sembra concentrarsi soprattutto intorno ad aspetti lin-guistici, culturali e filologici connessi allo studio e alla scoperta, oltre che del persiano, del sanscrito e dell’indologia. Basti pensa-re agli studi di Herder o di August Wilhelm Schlegel.

2Cfr. J.W. Goethe, Il Divano occidentale-orientale, a cura di Ludovica Koch e Ida Porena, Milano, Rizzoli, 1997 [1827].

3Cfr. F. Rückert, Orientalische Dichtung in der Übersetzung Friedrich Rückerts, a

cura di Annemarie Schimmel, Carl Schünemann, Bremen 1963, e F. Rückert, in

Id., Ausgew. Werke, I, a cura di Annemarie Schimmel, Frankfurt am Main, Insel, 1988 [1822].

4Cfr. H. von Hofmannsthal, La novella della 672° notte, in Id., La mela d’oro e altri racconti, a cura di Gabriella Bemporad, Milano, Adelphi, 1978.

5Accolgo l’accezione più ampia di Età di Goethe: un arco temporale e cul-turale molto vasto che comprende le categorie periodizzanti del Tardo Illuminismo, dello Sturm und Drang, della Klassik e della stessa Romantik, estendendosi lungo tutto il lungo periodo creativo di Goethe, all’incirca dal 1770 al 1832; cfr. M. Cometa, L’Età di Goethe, Roma, Carocci, 2006.

I primi incontri della cultura tedesca con il buddhismo, fatte salve le pur interessanti e precoci osservazioni di alcuni gesuiti come Heinrich Roth6, avvengono attraverso la mediazione della corona di Russia: Pietro il Grande prima, e poi Caterina II. Fu Pietro il Grande a chiamare, nel 1721, alcuni studiosi tedeschi, tra cui J.B. Menke da Lipsia, a decifrare una misteriosa iscrizione tro-vata un anno prima nel tempio di Ablaikit, lungo le sponde del fiume Irtych, distrutto durante una guerra sanguinosa tra Mongoli e Kalmuki nel 1671. I fogli sparsi erano redatti in una lin-gua ancora sconosciuta, il tibetano, e solo dopo molte peripezie tra San Pietroburgo, Londra e Parigi se ne trassero alcune diver-genti versioni in latino e russo. Solo molti anni dopo, nei primi anni del XIX secolo, il sinologo Abel Rémusat avrebbe stabilito la versione affidabile del testo, e lo avrebbe riconosciuto come tra-duzione da un originale sanscrito perduto: Sütra sull’adesione al grande mantra, discorso del Buddha Vairocana sull’uso dei mantra per raggiungere il risveglio7.

Un altro importante incontro della cultura tedesca con il bud-dhismo avviene per volontà di Caterina II di Russia, che negli anni Sessanta del XVIII secolo aveva invitato gruppi di coloni tedeschi a insediarsi nelle regioni fertili ma quasi spopolate del medio e basso Volga. Le due colonie fondate più a sud confinava-no direttamente con le zone abitate dai Kalmuki buddhisti, e ven-nero stabiliti rapporti e scambi amichevoli. Missionari e mercan-ti, pionieri della comunità che ancora oggi si chiama «Wolgadeutsch», trascorrevano lunghi periodi nella Kalm

üken-steppe, la grande piana dei Kalmuki.

6Autore di una grammatica sanscrita nel 1664; osservatore attento di usanze buddhiste; inviò la grammatica sanscrita all’amico Athanasius Kircher, all’epoca impegnato a decifrare il cinese, bollò tale lingua come «assolutamente barbari-ca»; cfr. S. Batchelor, The Awakening of the West: the Encounter of Buddhism and Western Culture, Berkley, CA, Parallax Press, 1994, pp. 227-229. Va ricordato comunque che con l’espulsione dei gesuiti da Spagna e Portogallo e dai relativi possedimenti oltremare tra 1759 e 1768, e poi con lo scioglimento della Compagnia di Gesù nel 1773 venne a mancare una fonte di osservazione e stu-dio diretto di diversi ambiti, non ancora coordinati tra loro ma già abbastanza ben messi a fuoco da singoli studiosi dell’Ordine. Sull’importanza degli studi operati dai gesuiti nel campo dell’orientalistica cfr. G. Roscioni, Il desiderio delle Indie, Torino, Einaudi, 2001.

Ci sono arrivate cronache e racconti di pietisti Herrnhuter in visita a Sarepta. Le loro impressioni sulla cultura buddhista sono molto positive (vedremo invece, quasi due secoli dopo, come il giudizio di Hesse su Ceylon sarà molto diverso). I pii coloni sono sorpresi dal fatto che le genti kalmuke «non siano dei rozzi ado-ratori di feticci, ma abbiano un sistema religioso finemente elabo-rato, dove nulla è arbitrario, e tutto viene trattato secondo rego-le e ordine». La musica è diversa da quella di casa propria, ma non è «un informe disordine, ma a suo modo una sinfonia, solo che segue armonie diverse»8.

Compare qui un elemento che si troverà in Arthur Scho-penhauer e in Karl Eugen Neumann: la ricerca di una continuità, di un’analogia tra pensiero orientale e occidentale, il riportare a «noi» ciò che è «loro»: «trovano molto bello il vangelo, e lo loda-no perché, dicoloda-no, contiene gli stessi insegnamenti delle loro scritture». Già emerge un altro topos dell’approccio comparativo: il parallelo tra la morte di Gesù e la morte di Saschamuni (sanscri-to: ‡åkyamuni) «morto non si sa quante volte per giungere in soc-corso dei bisognosi»9.

La missione tra i Kalmuki non diede luogo a molte conversio-ni, ma in compenso aprì la strada a un importante studioso: Isaak Jakob Schmidt (1779-1847). Imparò la lingua dei Kalmuki, il mon-golo, il tibetano, e in seguito si stabilì a San Pietroburgo, dove diventò famoso proprio come primo traduttore di testi storici e religiosi buddhisti. Nel 1829 venne nominato membro della Accademia delle Scienze pietroburghese. Il suo lavoro costituisce la base scientifica di un istituto di ricerca sul buddhismo che restò a lungo un punto di riferimento in Occidente. Sua la prima tra-duzione, in francese dal tibetano, del Sütra del diamante, apparsa a San Pietroburgo nel 183710. Il lavoro pionieristico di Schmidt venne continuato dall’ungherese Csoma de Körös, dal francese Eugène Burnouf e dal britannico Brian Houghton Hodgson (più importante, in generale per la sanscritistica).

8In M. den Hoet, «Ein Baum mit tiefen Wurzeln, Teil 1, Über die Anfänge des Buddhismus im deutschen Kulturkreis», in Buddhismus Heute 34 (2002) http://www.buddhismus-heute.de/archive.issue_34.position_5.de.html. Sulla sto-ria degli studi sul buddhismo in Germania, cfr. Hens Wolfgang Schumann, Buddhi-smus und BuddhiBuddhi-smusforschung in Deutschland, Godersberg, Inter-Nationes, 1972.

9Ibidem.

Schmidt in ogni modo non risultava tedesco, ma suddito dello zar e, tuttavia, morta Caterina II la posizione di privilegio della colonia tedesca in Russia tramontò. Nel 1822 le autorità russe vie-tarono le attività missionarie dei Wolgadeutsche presso i Kalmuki, ma l’interesse dei tedeschi per la cultura di quei luoghi lontani restò vivo. Quando, dopo alcuni decenni, presso l’Uni-versità di Lipsia venne istituita Zentralasienkunde come ambito di ricerca e insegnamento, giocò un ruolo decisivo la lunga dura-ta dei rapporti dei gruppi degli Herrnhutern (originari appunto della Sassonia) con le popolazioni mongoliche della grande Russia (cui appunto appartenevano i Kalmuki). Nel 1882 a Lipsia si poteva già imparare il mongolo e il tibetano11.

Schopenhauer e il «Buddhaismus»

Tra i lettori più importanti di Schmidt, nella storia della rice-zione del Buddhismo in Germania, va annoverato senz’altro Arthur Schopenhauer, che sin dalla prima gioventù si era interes-sato delle Weltanschauungen orientali. Il suo punto di partenza era stato, come è noto, Kant, in particolare le sue riflessioni su spazio, tempo e causalità. Su questa base Schopenhauer descriveva l’uo-mo come un essere (Wesen) che attraverso la propria volontà (Wille) crea una rappresentazione (Vorstellung) del mondo (Welt). Ovvero: crea il proprio mondo (Die Welt ist im Bewußtseyn vorhan-den). Poiché la volontà è determinata dall’egoismo e dall’istinto di sopravvivenza, inevitabilmente la vita prevede molto dolore. L’uomo può sottrarsi al dolore solo se impara a sottrarsi nel pen-siero all’imperio della volontà praticando una profonda, univer-sale compassione rispetto a tutto ciò che la vita è e comporta. Alla quiete, la volontà arriva attraverso la Vertiefung in der Kunst. Tale contemplazione estetica viene descritta da Schopenhauer in figu-re di meditazione.

11Il primo professore a ricoprire una cattedra di sanscrito e indologia in una università tedesca fu A.W. Schlegel a Bonn (1767-1845); cfr. Id., Über die gegen-wärtige Lage der Indischen Philologie, 1819. In seguito: cattedre a Tübingen 1856,

Göttingen 1862, München 1867 e appunto Leipzig 1888.

La cosiddetta scuola anglogermanica è caratterizzata dall’adozione del canone påli come base di studio. Si veda in particolare Hermann Oldenberg, (1854-1920); cfr. H. Oldenberg, Buddha - sein Leben, seine Lehre, seine Gemeinde, Stuttgart, Cotta’sche Verlagsbuchhandlung, 1921 [1881].

Schopenhauer ritrovò molte delle proprie inclinazioni spiri-tuali nel buddhismo, o almeno in ciò che ai suoi tempi di esso si poteva esperire. Non ne faceva mistero: nell’ingresso di casa siste-mò una statua tibetana del Buddha.

Per Schopenhauer in un’Europa che andava scoprendo nuove libertà spirituali l’antica saggezza indiana avrebbe trova-to largo margine di vantaggio rispettrova-to alle religioni prescrittive occidentali.

Nel 1854, nella seconda edizione di Über den Willen in der Natur, Schopenhauer si esprime nel modo più esplicito. Rileva la pro-gressiva decadenza del cristianesimo e prevede il propagarsi della saggezza indiana in Europa. A differenza del cristianesimo dei primordi, la nuova religione (nuova per l’Occidente) si fonda su un sapere di élite. Anche fenomeni «poveri» come il monachesi-mo o la vita dei monachesi-monaci mendicanti vengono letti nel loro valore simbolico-elitario. Ritorna spesso il parallelo tra Buddha, Francesco d’Assisi e i mistici tedeschi (ad esempio Meister Eckhart), tutti, nella lettura che ne da il filosofo, exempla di nega-zione della volontà di vivere (Verneinung des Willens zum Leben). In moltissimi passi del Mondo come Volontà e Rappresentazione Schopenhauer rimanda alla tradizione buddhista e alle sue con-nessioni con gli analogoi francescani12, usando quasi lo stesso lin-guaggio dei primi coloni pietisti: «Ci indica la stessa cosa sotto altra veste»13, e arriva a dimostrare «che è del tutto indifferente che si riferisca a una religione atea o teista»14. Queste vite «di uomini pieni di santità e negazione di sé», per il filosofo sono più utili di tutte le vite di Livio e Plutarco. Schopenhauer, che volen-tieri alludeva con osservazioni al fiele contro la matrice ebraica del cristianesimo, considera il Buddismo come una variante più pura di ciò che sarebbe stato presente, ma contaminato, nel cri-stianesimo. La negazione della volontà di vivere è «sviluppata nelle opere antichissime (uralt) della lingua sanscrita in modo 12E consiglia la lettura della Histoire de S. Francois d’Assise di Chavin de Mallan (1845) basata sulle fonti della Vita redatta da Bonaventura, oltre che del suo omologo orientalista Spence Hardy, Eastern monachism, an account of the order of mendicants founded by Gotama Budha(1850).

13«Es zeigt uns die selbe Sache in einem andern Gewände».

14Cfr. A. Schopenhauer, Zürcher Ausgabe, Werke in zehn Bänden, a cura di

più ampio, espressa in modo più polimorfo e vivo rispetto a quan-to si possa trovare nella Chiesa cristiana e nel mondo occidentale (in der Christlichen Kirche und occidentalischen Welt)». La sapienza degli scritti buddhisti infatti, a differenza del cristianesimo, non è contaminata «da un elemento a lei del tutto estraneo, come appunto la dottrina della fede giudaica […] per cui il cristianesi-mo consiste di due elementi in sé eterogenei, tra i quali vorrei distinguere e prediligere quello puramente etico, o esclusivamen-te cristiano, separandolo dal precostituito dogmatismo ebraico». A questa impropria commistione sarebbero dovute, secondo Schopenhauer, la decadenza (Verfall) e la disgregazione (Zer-setzung) cui è esposto il cristianesimo contemporaneo.

Schopenhauer dichiara di avere «ri-trovato» conferma delle sue intuizioni nel buddismo, dopo averle formulate per proprio conto: «infatti fino al 1818, l’anno di pubblicazione del mio libro, in Europa le notizie e nozioni sul buddhismo erano molto limita-te e scarne: qualche saggio nei primi volumi delle “Asiatic Researches”, che riguardavano soprattutto il buddhismo dei Birmani». La lettura schopenhaueriana del buddhismo, per quanto precoce, non è esente da deformazioni. Pensiamo all’in-terpretazione del nirvåña.

Nirvåña viene reso da Schopenhauer con Erlöschen e descritto come un nulla relativo (relatives Nichts). Nel manoscritto prepara-torio alla terza edizione del Mondo come Volontà e Rappresentazione il nirvåña viene interpretato in modo «negativo», come «negazio-ne del mondo ovvero del samsara». Dire che il nirvåña è il nulla significa dunque, nella lettura di Schopenhauer, ammettere che il sa∫såra non possiede alcun elemento che possa contribuire alla costituzione del nirvåña. La differenza fondamentale tra le reli-gioni non sarà dunque se esse siano monoteiste, politeiste o teiste, ma se esse siano ottimiste o pessimiste15.

Si tratta, per Schopenhauer, di un Buddhismo pessimista, con una connotazione dualistica. Non c’è rapporto tra sa∫såra e nir-våña, mentre tra i due forse andrebbe individuato un rapporto profondo: la stessa base, e il fatto che abbandonare il dolore e il mondo produce piacere.

Ad ogni modo, per sostenere la sua tesi, Schopenhauer cita ampiamente dagli appunti del compianto Csoma de Körös, Be-richten aus dem Kahgyur selbst referirte Stellen. Per esempio quelli sulle ultime parole del Buddha morente a Brahmå: «At last he himself asks Shakya how the world was made, – by whom? Here are attributed all changes in the world to the moral works of the animal beings, and it is stated that in the world all is illusion, there is no reality in the things; all is empty. Brahma being instructed in his doctrine, becomes his follower»16.

Se è lontana da Schopenhauer l’idea di nirvåña come risveglio e liberazione, del nirvåña come pienezza, tutt’altro che nichilisti-ca, parteciperanno la poesia e la poetica di Rilke, che pure da Schopenhauer trae i primi impulsi dell’interesse per il buddhismo. Attraverso Schopenhauer passano la ricezione e lo sviluppo del pensiero critico e del lavoro scientifico intorno al buddhismo. Lettori di Schopenhauer furono Neumann, Zimmermann, Dahlke, Grimm, Nyåñatiloka, Lama Govinda, e ovviamente Richard Wagner, affascinato dal Buddha al punto di progettare un’opera su di lui intitolata Die Sieger (I vincitori), che restò tutta-via nel cassetto.

Dopo Schopenhauer

Gli anni intorno alla morte di Schopenhauer furono caratte-rizzati da una crescita esponenziale degli studi intorno al buddhi-smo. A Lipsia nel 1857-59 appaiono due voluminosi e importanti tomi dello studioso amico di Karl Marx, Karl Friedrich Köppen (1808-1863), autore di una trattazione storica proto-materialisti-ca delle condizioni di sviluppo del buddhismo. Nel 1881 Hermann Oldenberg, indologo attivo a Parigi, pubblica una vita del Buddha17. Nel 1888 Friedrich Zimmermann (1852-1917), sotto lo pseudonimo di Bhikshu Subhara, pubblica a Lipsia un Buddhi-stischer Katechismus. L’intento è dichiaratamente anti-luterano con accenti che riprendono l’etica del Selbst-denken kantiano:

L’insegnamento del Buddha si rivolge a tutti coloro i quali non aspettano la «grazia divina senza proprio merito», ma hanno

16Asiatic researches20 (1836), p. 434.

coraggio e forza abbastanza per stare in piedi sulle proprie gambe; che sono abbastanza arditi da non voler credere, ma sapere, e non seguire ciecamente l’autorità, ma pensare auto-nomamamente (selbst für sich denken zu wollen). È il vero rifugio

di coloro i quali non vedono il massimo scopo della vita nel progresso materiale e nel sempre accresciuto benessere, e pro-vano bensì repulsione nei confronti delle lotte selvagge per il potere e il piacere che l’egoismo nella nostra società ancora combatte senza quartiere nonostante l’alto grado raggiunto dalla civiltà»18.

Nel 1894 il Preußischer Oberpräsidialrat Theodor Schultze

arriva a salutare il Buddhismo come religione del futuro. Nel 1891 l’austriaco Karl Eugen Neumann inizia la sua traduzione dei sutta dal påli – ne tratteremo poi più diffusamente. A Lipsia (15 agosto 1903), su iniziativa dell’indologo Karl Seidenstücker (1876-1936)

viene fondata una missione, il Buddhistischer Missionsverein für

Deutschland, la prima associazione buddhista nel Kaiserreich (cambia nome nel 1906: Buddhistische Gesellschaft für

Deutsch-land). Seidenstücker comincia così la sua carriera di editor e

cura-tore di riviste e collane. Fino all’inizio della prima guerra mondia-le nascono gruppi e associazioni buddhiste nelmondia-le grandi città: Berlino, Monaco, Amburgo. Dal 1909 a Breslau (oggi Wrocˆaw, in Polonia) è attiva una casa editrice esclusivamente buddhista. Lo scrittore danese, residente a Dresda, Karl Gjellerup (1857-1919) elabora contenuti e temi buddhisti nei suoi romanzi. Per opere come Der Pilger Kamamita nel 1917 ottenne il premio Nobel per la letteratura. Alla fine del XIX secolo chi si occupava di buddhismo in Germania apparteneva a circuiti accademici o all’alta borghe-sia, o ancora, ai movimenti d’élite come la teosofia. Non esisteva tuttavia un’esperienza diretta della cultura asiatica. La prima fase del buddhismo tedesco restò dunque per lo più teorica.

La situazione cominciò a cambiare con i viaggiatori svizzeri, austriaci e tedeschi diretti verso l’Asia, soprattutto verso la colo-nia britannica di Ceylon (Sri Lanka), uno dei luoghi più agevoli da raggiungere. Ciò spiega anche perché il

Theravåda-18 F. Zimmermann (Subhadra Bhikschu), Buddhistischer Katechismus zur Einführung in die Lehre des Buddha Gotama, Braunschweig, C.A. Schwetschke u.

Buddhismus, orientato alle fonti più antiche, diventi la corrente più popolare in Germania ai primi del Novecento. A partire dal 1903 molti tedeschi abbracciano il monachesimo buddhista. Tra i primi, Florus Anton Güth (1878-1957), che assunse il nome,

cele-bre, di Nyåñatiloka. Il già citato traduttore Karl Eugen Neumann sin dagli anni Novanta dell’800 aveva contatti a Ceylon con stu-diosi buddhisti. Il medico berlinese Paul Dahlke vi si convertì nel 1900. Personalità di spicco del buddhismo tedesco, viveva in modo monacale, scriveva e si adoperò per la edificazione del Buddhistisches Haus a Berlin-Frohnau. Il giudice Georg Grimm (1868-1945) imparò privatamente il påli e nel 1921 fondò la Buddhistische Gemeinde für Deutschland, negli anni Trenta

rinominata Altbuddhistische Gemeinde, ancora oggi attiva. A questi movimenti e fermenti non fu estranea la vita culturale e sociale della colonia artistica di Ascona, alla quale si dovrebbe davvero dedicare una trattazione a parte. Dalla fondazione, nel 1903, del Buddhistischer Missionsverein für Deutschland si può

cominciare a parlare di una nascente subcultura in cui si ritrova-rono interessi più disparati: vegetariani, sostenitori della Reformpädagogik, dell’emancipazione femminile, della cultura del libero corpo o Freikörperkultur, dell’alimentazione naturale e curativa ovvero Naturheilverfahren, e infine dell’immancabile movimento animalista, Tierschutz. Nel 1911 Nyåñatiloka fonda a Ceylon la prima comunità tedesca di monaci buddhisti. Altri

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