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2. Propaganda, la guerra delle immagini

3.1 Televisione

Se la rete è il luogo che, per primo, accoglie i contenuti di propaganda fondamentalista, è la televisione il medium che fornisce un’importante cassa di risonanza al messaggio veicolato da Isis.

Le immagini e i contenuti violenti, assumono valore nel momento in cui entrano nell’agenda setting dei notiziari televisivi, a conferma della nota teoria di Mc Luhan per cui “il mezzo è il messaggio”. Contenuti del genere, infatti, se assimilati in differita nel web, susciterebbero probabilmente una reazione di sdegno, che nella maggior parte dei casi si esaurirebbe poco dopo la fruizione del contenuto stesso.

Al contrario, la diffusione in tv delle immagini, prima delle torture agli ostaggi e poi delle stragi degli attentati, provoca puntualmente un cortocircuito comunicativo. In cui le breaking news, i collegamenti in diretta e le cacce all’uomo prevalgono sull’analisi contestuale degli eventi.

Secondo Loretta Napoleoni, giornalista, saggista e studiosa delle reti organizzative del terrorismo a livello internazionale:

«Chi gestisce e veicola a livello mondiale la propaganda dello stato islamico appare perfettamente consapevole del fatto che, in un mondo in cui il ciclo mediatico di 24 ore ha trasformato giornalisti e lettori in una sorta di drogati dell’evento scioccante e straordinario, il valore della verità di una notizia passa in secondo piano, rispetto alla sua capacità di impressionare»126.

Quando viene lanciato l’allarme di un possibile attentato nel mondo occidentale, assistiamo ad un’improvvisa saturazione nella scaletta dei

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Sensini Paolo, ISIS mandanti, registi e attori del “terrorismo” internazionale, Arianna

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notiziari televisivi. Immagini e notizie provenienti dal luogo in questione monopolizzano l’agenda di tutte le emittenti.

La narrazione degli eventi, tra l’altro, avviene con modalità simili tra loro: lunghe dirette dal luogo dell’evento, in attesa delle dichiarazioni di rivendicazione da parte dell’ormai decadente Stato Islamico.

L’attenzione è concentrata soltanto sul discorso in essere, sul dramma che si sta consumando in tempo reale. La corsa alla scoperta dell’identità dell’attentatore viene preferita all’analisi razionale delle concause che hanno scatenato un simile gesto.

Si cerca di cavalcare la “notiziabilità” offerta da un evento di tale portata, tenendo alta il più possibile l’attenzione dell’audience. Quest’ultima è molto sensibile, oltre che alla violenza, al tema della sicurezza. Secondo Freccero, critico televisivo:

«chi consuma più televisione ha una percezione costante di pericolo, che gli deriva dalla visione di fiction e notiziari basati sulla violenza, dal momento che telegiornali e trasmissioni di approfondimento giornalistico sono costellate di delitti stupri e rapine. La violenza percepita non ha un riscontro reale, ma è più forte della realtà»127.

Gli attentati, da qualche anno a questa parte, si sono iscritti a questo palinsesto macabro. Essi hanno una potenza televisiva ancora maggiore, propri perché coinvolgono temi socio-culturali all’ordine del giorno presso i notiziari.

Sono i temi della sicurezza percepita e quello della convivenza con le persone di fede musulmana, in una logica di contrapposizione “noi-loro”. Questo soprattutto in Italia, dove le statistiche relative alla delinquenza sono in continuo calo128 e la comunità musulmana non è radicata come in altri paesi europei come Francia, Belgio e Regno Unito.

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Freccero Carlo, Televisione, Bollati Boringhieri, Torino 2013, p.123.

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La pagella politica di AGI, In Italia c'è meno violenza. Lo dicono i dati, 15/02/2017, www.agi.it.

75 Ciononostante, la cronaca continua a fornire la giustificazione, specie ai partiti xenofobi, di continuare la propria campagna di opinione contro immigrazione, delinquenza e culture diverse.

Nel suo libro Televisione, lo stesso Freccero conferma la tesi per cui a condizionare il messaggio sia il medium televisivo, ancora prima che i contenti mostrati. Lo fa riprendendo le critiche espresse del filosofo Karl Popper in Cattiva maestra televisione.

Quest’ultimo sosteneva che la violenza non poteva essere considerata un medium, ma piuttosto un contenuto. Allo stesso tempo, la violenza viene però usata anche per alzare l’audience televisiva e creare dipendenza nel consumatore.

Tenendo presente queste considerazioni, si giunge alla conclusione che il messaggio negativo è in qualche modo suggerito dal medium stesso, quindi dalla televisione, «che ha nell’audience l’unico obiettivo e non si preoccupa quindi delle ricadute diseducative della sua programmazione»129.

La questione della violenza in televisione gioca un ruolo importante, in un contesto in cui la guerra delle immagini e delle parole ha raggiunto la sua portata massima.

Da una parte i gruppi terroristici che si esibiscono in azioni violente, dall’altra l’ampia copertura e il sensazionalismo degli organi di informazione, dato il grande interesse del pubblico verso questo tipo di contenuti.

Uno “scambio di favori” in cui i media, televisione in primis, finiscono per servire le esigenze dei terroristi. Ciò avviene nel momento in cui Isis sfrutta le loro dinamiche per ottenere il massimo impatto psicologico dai propri attacchi: diffondere insicurezza e paura nelle popolazioni, ma anche affascinare e stimolare l’azione di lupi solitari.

La volontà è quella di mettere a dura prova l’opinione pubblica dei paesi occidentali, colpendo a fondo immaginario e sensibilità collettiva. Lo scopo finale è stimolare una reazione violenta da parte del mondo occidentale e

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rafforzare l’odio percepito nei confronti del mondo islamico in generale. Condizioni senza le quali Isis non avrebbe modo di giustificare non solo gli attentati, ma anche la sua stessa “missione”.

Haroro Ingram, ricercatore dell’International Centre for Counter-Terrorism130

, ha analizzato come i media occidentali possono, con la loro copertura, amplificare od ostacolare la propaganda. Secondo la sua esperienza è importante tenere a mente che le azioni e i messaggi di propaganda sono studiati per ottenere una specifica reazione da parte del pubblico a cui è rivolta:

«Un membro dell'opposizione siriana mi disse nel 2015: la cosa importante è come voi reagite ai media di Daesh. Daesh ha costruito una trappola mediatica e tutti i media occidentali ci sono cascati. Loro sanno di quali paure e immagini i media occidentali sono affamati, così Daesh dà loro esattamente quello e i media le diffondono»131.