2. Segesta in epoca arcaica e classica
2.3 Il tempio dorico
Il tempio dorico fu senz'altro, insieme al teatro, uno degli emblemi della città antica ed ha dunque attratto l'interesse di molti nel corso dei secoli. La struttura fu infatti oggetto di indagini e restauri già a partire dall'epoca borbonica, tuttavia i primi studi sistematici effettuati con metodi scientifici moderni, risalgono al 1966, con le indagini di H. Schläger poi proseguite, a causa della sua prematura scomparsa, da Dieter Mertens (Fig. 10).98 L'edificio, seppur rientrando nei canoni
dell'architettura templare di V sec. a.C. in Sicilia,99 si presenta incompiuto. Tale
incompiutezza con ogni probabilità viene fatta risalire, visto l'inquadramento cronologico che della struttura è stato dato, alla presa della città da parte dei Cartaginesi. Questo dato ha tuttavia generato un acceso dibattito, soprattutto a ragione del fatto che è apparsa ancora più inconsueta l'apparente mancanza, in un edificio altrimenti così canonico, di qualsiasi elemento che si possa riferire alla cella. Il dibattito ha contrapposto da un lato studiosi come B. Pace e V. Tusa che sostenevano la teoria secondo la quale una cella non sarebbe in realtà mai stata progettata. Secondo Pace infatti, si tratterebbe di una struttura che partendo dai canoni architettonici greci li avrebbe modificati e adattati in vista di una ritualità tipicamente elima. Sebbene non siamo a conoscenza dei riti che prevedeva la religiosità elima, Pace sostenne tuttavia che la mancanza della cella fosse dovuta ad una precisa scelta architettonica.100 Di diverso parere si mostrò Mertens. Egli
innanzitutto confutò quella che da molti studiosi venne ritenuta una controprova alla tesi dell'esistenza della cella, ossia il fatto che sia stata costruita la peristasis prima della cella stessa. Lo studioso tedesco passa infatti in rassegna una serie di esempi di edifici templari in cui fu indubitabilmente seguito questo schema costruttivo.101 D'altro canto la documentazione delle tre piante pubblicate nel corso
98 MERTENS, 1974; 1976, 697-700; 1977, 187-193.
99 Il tempio presenta 6 colonne sul lato corto e 14 sul lato lungo secondo un rigoroso sistema proporzionale che scandisce anche le altre misure della struttura, quali l'euthynteria (che segue come il numero delle colonne la proporzione di 3:7), l'alzato della fronte e l'altezza delle colonne (misurate secondo la proporzione 2:3 e la sua potenza 4:9). Per approfondimenti su questo argomento vd. MERTENS 1977, 191-193.
100 Per un'analisi della questione vedi MERTENS 1977, 187, Nota 2.
101 Mertens riporta sia esempi di templi nella madrepatria (quale l'Hephiasteion di Atene e il tempio di Asklepios a Epidauro), sia numerosi esempi dalla Magna Grecia (come i templi arcaici a Metaponto e Paestum e l'Apollonion di Siracusa). Lo studioso arriva inoltre ad immaginare che in Occidente, vista la grande importanza riservata alla peristasis, tale
dell'800 e relative a tale edificio, mostrava la presenza ancora in situ di alcuni resti della fondazione della cella stessa, che via via sparirono, essendo stati evidentemente asportati. Serradifalco nel 1834 segnalava infatti la presenza di 9 blocchi relativi alla fondazione della cella, Hittorf nel 1870 ne registrava 6 ed infine Koldewey nel 1899 ne rilevava solamente 2. All'epoca in cui Mertens scrive, nel 1977, non ve n'era più alcuno. Le indagini condotte da Mertens all'interno della peristasis, confermarono le sue ipotesi. Lo scavo rivelò infatti la presenza di trincee di fondazione che partendo all'altezza delle terze colonne del lato lungo, correvano parallele alle due fronti del tempio, in posizione simmetrica rispetto all'asse centrale. Questi due cavi di fondazione presentavano dimensioni diverse, facilmente spiegate dallo studioso tedesco come esigenze strutturali per l'allettamento dei blocchi. Se infatti nella parte occidentale della cella affiorava la roccia viva, consentendo di alloggiare le fondazioni direttamente sul banco roccioso, sul lato orientale era necessario scavare più a fondo perché il letto delle fondazioni raggiungesse la roccia e tale operazione richiedeva necessariamente anche una fondazione più larga. Come già detto, in entrambe le trincee non furono rinvenuti in situ i blocchi relativi a tali fondazioni, in quanto asportati nel corso dei secoli. Tuttavia la presenza di alcuni grandi frammenti di questi blocchi tra i detriti che riempivano le trincee e il rinvenimento, fuori dal tempio, lungo il pendio Nord, di alcuni di essi, hanno consentito a Mertens di ricavare la tecnica muraria (opus isodomum) con cui era costruita la cella ed anche le dimensioni delle sue pareti (120 cm di larghezza).
Un altro dato molto interessante emerse inoltre a seguito dello scavo della parte orientale della cella. Nel punto in cui correva la trincea parallela alla fronte orientale del tempio, parzialmente distrutta a seguito di interventi di epoca successiva, venne alla luce una fila di buchi atti con ogni probabilità all'alloggiamento di pali lignei. Tale fila di incassi collegava due incavi più larghi ed insieme ad essi delineava un edificio di epoca precedente, sul quale evidentemente il tempio dorico si sarebbe impostato e di cui la più recente struttura avrebbe seguito impianto ed orientamento. La struttura più antica si procedimento secondo il quale la costruzione della cella sarebbe stata successiva a quella della
peristasis, avrebbe forse costituito la norma. Egli sottolinea inoltre che, viste le dimensioni
degli intercolumni vuoti, pari a 2,40 m ciascuno, sarebbe stato possibile per i costruttori trasportare facilmente gli elementi architettonici all'interno della peristasis.
presentava, da quel che ne rimaneva, strutturalmente piuttosto primitiva, con un alzato costituito probabilmente da mattoni crudi e con una specie di colonnato, forse all'aperto, costituito dai pali lignei. Quasi al centro del tempio è stato inoltre rinvenuta una piccola struttura composta da pietre rozze incassate nella roccia, di forma pressappoco circolare. Tuttavia non vi sono elementi sufficienti per fornirne una datazione ed un'interpretazione.