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Adam Zagajewski, TRADIMENTO, a cura di Luca

Bernardini, ed. orig. 1981, trad. dal polacco di Va-lentina Parisi, pp. 298, €30, Adelphi, Milano 2007

Che la tassonomia possa essere il "corona-mento di una contemplazione quasi amorosa" ce lo dimostra il poeta polacco Adam Za-gajewski, che non teme l'implacabilità delle ti-pologie, anzi, vi ricorre con entusiasmo e ver-ve, per dare nome e coerenza a un mondo che sa spaccato, diviso, tanto splendido quanto triviale. Sotto questa luce dovremmo leggere il tentativo, all'apparenza un po' av-ventato, di suddividere, sin dalla prima pagi-na, il genere umano in tre specie, "stanziale, emigrante e senza dimora". Del resto, suo fine è illustrare la sua appartenenza a quest'ultima tipologia, vera protagonista del volume. Due

città, la più compiuta e intensa delle prose

raccolte in Tradimento, è la storia di una lacerazione an-tropologica e geo-poetica, di un soggetto diviso tra la tra-scendenza di un Country of

the Mìnd e l'immanenza di

una dislocazione sospetta e non conciliante. Da un lato sta Leopoli, (Lemberg, Lwów, L'viv), abbandonata a soli quattro mesi di vita, la città degli avi, la "semper fidelis" alla polonità, capitale dell'A-tlantide galiziana ai tempi del-l'Imperiai Regio, divenuta ucraina dalla notte al giorno, "cristallizzata dalla memoria e purificata dalla nostalgia";

dall'altro, invece, sta Gliwice, cittadina indu-striale dell'Alta Slesia, terminal della deporta-zione, il cui grigiore socialista divenne lo schermo opaco ove si riflesse il sogno topofi-lico di tutto un popolo di déracinés: la Leopo-li dei leoni dormienti, appunto. Con premesse simili è forse più facile soppesare e valutare la merce rara che Zagajewski - considerato or-mai un classico in Polonia e in profumo di Olimpo, alla stregua dei suoi amici adelphiani, Mifosz, Walcott, Herbert e Brodskij - ci offre: gioielli di scrittura, se non sinistri, certo in-quietanti, come il quintetto per archi di Mozart citato a congedo di Due città, un Allegro piut-tosto serio, luminoso e cupo allo stesso tem-po, un mix di rococò e sofferenza, "rococò e paura"; o il mica tanto ironico elogio della scissione, della frattura: "Il mondo è spacca-to, evviva il dualismo! E se non possiamo eli-minarlo, lodiamolo!".

FEDERICO ITALIANO

con le parole, di benedire l'esistente alla ma-niera di Rilke, nella pienezza della presenza inconsapevole. Ecco allora che la verità del-l'essere, soprattutto nella prima sezione, si legge per esempio nella "ruggine quieta delle cisterne", mentre colpevole appare la specie integrata, l'essere umano a una dimensione dell'odierna civilizzazione. Procedendo nella lettura, il contrasto si attenua, sino a stem-prarsi in pietas verso le secrete cure dei mor-tali, mutando così il canto in preghiera e il de-stino dell'io narrante in quello di tutti i soprav-vissuti.

STEFANO GUGLIELMIN

Camillo Pennati, MODULATO SILENZIO, pp. 145,

€ 14, Joker, Novi Ligure (Al) 2007

Nei versi di Camillo Pennati l'esperienza contemplativa si pone quale momento

cen-Maria Grazia Calandrane, LA MACCHINA RESPON-SABILE, pp. 150, € 14, Crocetti, Milano 2007

Nelle tre sezioni che lo compongono, il testo sviluppa una biografia sommersa sopra la quale si stende l'intrico del mondo, il "paradi-so non finito del mondo", mes"paradi-so in scena per celare pudicamente un intimo dialogo con l'ombra materna, con il suo corpo, ormai "estraneo" e "minerale". Rispetto ai suoi pre-cedenti libri, qui Calandrane scioglie il conna-turato surrealismo in un canto tragico, che tocca con maggiore immediatezza il lettore, gettandolo nell'esperienza della perdita, ve-nata tuttavia da una luce albale, che si adagia su chi resta, "estrema razza azzurra", mentre sulla crosta terrestre brulica una materia scu-ra e senza spescu-ranza. Questa luce permea an-zitutto la lividissima mater archetipica, il mare-grembo striato dal "cherosene", nel cui umore galleggiano i detriti dell'Occidente sconfitto (emblematicamente incarnato, nella seconda e terza parte del libro, da eventi luttuosi tratti dalle due guerre mondiali), ma riposa anche "la viscerale / pace della persona". Recupe-rando infatti la lezione del Sanguineti "laborin-tico", la poetessa romana costruisce, con questo intensissimo libro, un "colatoio alche-mico", una macchina responsabilmente agita dalla lingua, in cui si filtra "l'oro del mondo", che è eredità d'affetti e capacità di toccare

trale e culminante dell'esistere. Così come la contemplazione non è occasione di esotiche o ultra-tecnologiche uscite dal mondo, essa non va neppure confusa con il semplice guardare, perché richiede un occhio adde-strato a descrivere, anziché eventi e forme esteriori, la physis che vibra nei fenomeni, l'o-perare essenziale della natura. Questa azio-ne è insieme visioazio-ne e autorispecchiamento: "la sensoriale / conoscenza intrinsecata del-l'esistere", scrive Pennati. Il modulato silenzio costituisce solo un aspetto dell'intima struttu-ra ciclica della struttu-rappresentazione, irriducibile a categorie antropomorfiche. In realtà, la chiave che permette l'avvicinamento alla dif-ficile ricerca di Pennati non è tanto quella rap-presentata dall'immersione nel silenzio, che pure abbraccia ogni cosa ("tutto / è insito e unicamente situato nel comprensivo / silenzio a percepirsi percepito come di sé"), quanto quella dell'osmosi. Che tale sia la via da se-guire per intuire qualcosa del nucleo pulsan-te dell'universo e della poesia spulsan-tessa, Penna-ti lo dichiara esplicitamente, come in un ma-nifesto: "compenetrare per osmosi il dove il quando / il come". La verità del mondo coin-cide con un inesauribile flusso osmotico, con il fondersi perpetuo di enti e oggetti apparen-temente separati, quando non in conflitto: compito del poeta è ripercorrere e continua-mente ridefinire questo "reciprocarsi coinvol-gente di sensibile / e scambievole effusione", "unica esperienza intersecante", "senso del coesistere entro il percepimento stesso del-l'esistere". Ne deriva un'impressione di divina monotonia analoga all'effetto generato dalle manifestazioni più vitali dell'arte popolare e tradizionale.

GIAMPIERO MARANO

del dérèglement statunitense, si riproduce almeno cinque volte, campa fino a settantu-no anni. E tutto, diremmo quasi soltanto per l'ebbrezza di poter scrivere ancora una poe-sia. Corso, e perciò la sua scrittura, ha la saggezza pratica dell'immigrato italiano: co-me per lui le droghe sono un vizio in tutto uguale all'alcolismo di un minatore di Zola, e non un atto culturale, così il verso libero, l'e-sclamazione, l'irrisione, l'aforisma, la deriva allucinogena, sono soltanto "buone manie-re" per tornare al nocciolo della poesia e della vita, alla visione stupita, dopo il delirio, del "semplice elefante", dell'inarrivabile semplicità del creato. In A Difference of

Zoos, dopo aver invocato una compagine di

chimere psichedeliche nella sua camera d'albergo, il poeta conclude: "La stanza finì per diventare insopportabile! / Andai allo zoo / e ah grazie a Dio il semplice elefante". In questo libro, nel volto vitale e non vitalista della generazione beat, negli alti - altissimi

e candidi - di Corso raggiun-giamo continuamente il grato orgasmo di chi si affranca dai propri limiti, siano essi culturali o individuali. Pertanto, ogni volta che Corso, grazie all'e-sercizio poetico, alla devozio-ne per i poeti del passato e al-l'amore per la vita ("Con un amore un delirio per Shelley (...) e l'affamato guaito della mia gioventù"), leva la testa so-pra se stesso e soso-pra il proprio tempo, incontriamo il corpo bianco della poesia, \'ètre de

beauté. Corso ci porta là, con

la tenacia l'inciampo la furbizia l'estrema franchezza del suo verso, e là ci lascia, con una discrezione pa-terna, in sua compagnia.

LORENZO CARLUCCI

G r e g o r y C o r s o , POESIE. MLNDFIELD - C A M P O MENTALE, ed. orig. 1989, trad. dall'inglese di

Mas-simo Bacigalupo, pp. 525, testo inglese a fronte, € 6, Newton & Compton, Roma 2007

Abbiamo qui di fronte il viso buono del

beatnik, il caso - tutto americano - del

bam-bino di strada che si emancipa attraverso la poesia ("Andavo tutto il tempo in biblioteca e leggevo i libri che potevo") e rimane a es-sa devoto per tutta la vita, pur non rinun-ciando alla vita. Corso viaggia il mondo, è alcolista, eroinomane, segue tutte le regole

LA POESIA SCAPIGLIATA, a cura di Roberto Came-ra, pp. 499, € 15, Rizzoli, Milano 2007

In una precisa e nitida presentazione, Ro-berto Camera ci traghetta attraverso l'avventu-ra della produzione poetica scapigliata. Un'in-troduzione demiurgica in cui il curatore, fatta salva la tentazione di esprimere unicamente il proprio punto di vista, si muove attraverso le voci dei protagonisti di quella stagione e dei suoi posteriori e principali critici. Ne viene fuori un accorto ritratto di un movimento antinomico e, per definizione, transitorio. In pagine lucide vengono trattati, senza l'ansia di un punto fer-mo da apporre in conclusione, i principali nodi valutativi riguardanti quella stagione della no-stra letteratura: la condizione di proto-avan-guardia, le istanze ribellistiche e anti-borghesi (e spesso decisamente piccoloborghesi), il rapporto ambivalente con il romanticismo di matrice nordica e con la sua menomata (civile o patetica) versione nostrana, il legame conflit-tuale con lo scientismo positivista, mortificante da un lato nella sua dichiarata inerzia dinnanzi all'inconoscibile, ma già pronto a farsi, nella sua accezione ardigoiana e post-ardigoiana, metafisica riqualificata con le recenti scoperte scientifiche. In una ricognizione che pure privi-legia i "maggiori" (Praga, Boito, Tarchetti), non si manca di dar spazio alle esperienze più late-rali: quelle più giocate su di un filone populisti-co o socialisteggiante (Ghislanzoni, Fontana, Cavallotti) e quelle, in particolare in aria pie-montese (Camerana su tutti), più eversive, co-me da insegnaco-mento continiano, negli aspetti formali. Non è questo un libro che pretende di chiudere diatribe: presentando anzi spesso il conflitto delle interpretazioni mostra un territorio ancora aperto e fecondo, imprescindibile per qualsiasi attento lettore dell'ultimo Ottocento o del primo Novecento. "Le idee non si spargono e non continuano che grazie alle loro interne contraddizioni", avrebbe scritto qualche anno dopo il giovane Prezzoli™ (Studi e capricci sui

mistici tedeschi, Quattrini, 1912). Mostrando

ciò, Camera non ha posto un sigillo negativo sulla poesia scapigliata, ma ne ha approntato la miglior difesa possibile.

2 L'INDICF

• • • E L L I B R I D E L M E S E I I

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Eric-Emmanuel Schmitt, ODETTE TOULE-MONDE E ALTRI RACCONTI, ed. orig. 2006,

trad. dal francese di Alberto Bracci Testasecca, pp.163, € 15, e/o, Roma 2007

Il nuovo libro di Eric-Emmanuel Schmitt raccoglie otto racconti nati durante la la-vorazione di Odette Toulemonde, primo film di cui lo stesso Schmitt ha firmato la regia. Veri e propri divertissement, gii otto racconti tracciano il ritratto di altrettante fi-gure femminili, in sospeso tra innocenza, saggezza e cinismo. Se le storie, il lin-guaggio e le strategie narrative appaiono spesso convenzionali, ogni racconto re-gala una chiusura a sorpresa, con rove-sciamenti, smentite, guizzi ironici o com-moventi. Le brevi avventure dell'ambizio-sa Wanda Wippening, la cui abilità princi-pale risiede nel "sapersi sposare e nel sa-pere divorziare", della sognante Rosa Lombardi, "una Cleopatra trapiantata su un cocuzzolo della Sicilia", dell'ingenua e poi disillusa Aimée Favart, "bella, disponi-bile e cogliona", e

delle altre eroine del-la raccolta si affran-cano così, in extre-mis, dagli stereotipi e dalle inverosimi-glianze della lettera-tura di consumo. Schmitt sembra in-fatti confrontarsi con humour con la narra- C [ ( tiva di genere, "per cassiere e parruc-chiere", che

appas-siona Odette Toulemonde, "commessa di giorno e piumaia la sera", nel racconto più riuscito della raccolta. L'autore trova un originale equilibrio tra distanza critica e adesione, e la garbata parodia del rac-conto sentimentale sfocia sovente nel suo riscatto. Per gustare fino in fondo il piace-re sospetto della lettura, conviene acco-starsi a questi racconti con la stessa gio-cosità che ne ha determinato la genesi: attraversare con leggerezza il luogo co-mune, sperando di inciampare nel subli-me che si annida tra le sue pieghe, ben sapendo, come ci insegna Baudelaire, che "un'immensa profondità di pensiero" si cela nelle frasi fatte, "buche scavate da generazioni di formiche".

ANNALISA BERTONI

gli affaristi nella loro meritoria opera di pro-duzione della ricchezza. Per Ayn Rand l'u-nico neo del liberalismo sono gli aborriti "pescecani" della finanza; appare tuttavia evidente come la sua serrata negazione di ogni idealismo discenda, a propria volta, dal più ingenuo idealismo liberale.

DANIELE ROCCA

Ayn Rand, IL TEMA, ed. orig. 1957, trad.

dal-l'inglese di Laura Grimaldi, pp. 378, € 18,60, Corbaccio, Milano 2007

L ' U O M O CHE APPARTENEVA ALLA TERRA, ed.

orig. 1957, trad. dall'inglese di Laura Grimal-di, pp. 395, € 19,60, Corbaccio, Milano 2007

A cinquant'anni dall'edizione originale, Corbaccio pubblica la trilogia della Rivolta

di Atlante (in novembre l'ultimo volume, L'A-tlantide). Un'opera di Ayn Rand, alias Alisa

Zinov'yevna Rosenbaum, ebrea russa di San Pietroburgo che emigrò in America nel 1924, dove scrisse il celebre Noi vivi e si fe-ce paladina dei diritti femminili. Dagny Tag-gart è protagonista di questa vicenda am-bientata nel mondo dell'industria ferroviaria, un microcosmo nei quale i motori assumo-no la funzione di "un codice morale forgia-to in acciaio" (Il tema), con frequenti spraz-zi sentimentali e raffinate notaspraz-zioni psicolo-giche. All'epoca fu anche in questi roman-zi, popolarissimi negli Stati Uniti, che

\'Ame-rican way of life trovò un proprio efficace

manifesto, centrato sull'esaltazione dell'in-dividuo. Ayn Rand veicola, con perizia affa-bulatoria, prese di posizione fondate sulla critica sia di quella che chiama la "schia-vitù" del socialismo reale, sia dello spirito à

la Robin Hood ("simbolo dell'idea secondo

la quale la fonte dei diritti è il bisogno, non la conquista"). Significativa è la carrellata di passeggeri del treno Comet, nel finale di

L'uomo che apparteneva alla terra: sono

ti-pi umani descritti con acuto livore, dal filo-sofo al filantropo a chiunque non apprezzi

Laurent Gaudé, ELDORADO, ed. orig. 2006,

trad. dal francese di Riccardo Fedriga, pp. 206, € 15, Neri Pozza, Vicenza 2007

Salvatore Piracci è una figura ambigua. Mentre salva coloro che, tentando di im-migrare clandestinamente in Europa, so-no naufragati al largo della Sicilia, li con-danna a umiliazioni e difficoltà. In seguito a un intenso incontro con una delle donne che ha salvato, l'uomo ha una crisi di co-scienza, si sente in un certo senso com-plice degli scafisti, e se ne va verso l'Afri-ca, nella direzione opposta a quella presa da tutti i clan-destini. La grandez-za epica dei perso-naggi di questo ro-manzo contribuisce ad attirare l'attenzio-ne del lettore più sul percorso morale dei protagonisti che sul loro spostamento fi-sico. Infatti, la vicen-da di Salvatore è narrata in parallelo a quella di Suleiman, un libanese appena ventenne, anche lui in cammino verso il suo personale Eldora-do: un lavoro in Europa che permetterà ai suoi familiari rimasti in patria di non cade-re nella miseria più nera e ai suoi nipoti, forse, di vivere una vita degna. I due pro-tagonisti, tanto diversi, si incontreranno per un istante scambiandosi i ruoli e com-piendo i rispettivi destini. Gaudé si ispira alle rotte dei migranti nel Mediterraneo per evocare, in sequenza quasi filmica, una serie di immagini fortemente simboli-che della condizione umana attraverso il paradigma della migrazione, e per riflette-re sugli spostamenti di persone ai di là della cronaca. Chi ha il diritto di fermare coloro che procedono verso il compimen-to del proprio destino? È davvero tancompimen-to netta la linea di demarcazione tra chi re-sta e chi va? Gli esseri umani non hanno bisogno, per vivere, di un proprio Eldora-do? Queste e altre domande costituiranno il fardello dei lettore al termine di questa narrazione epica contemporanea.

PAOLA GHINELLI

M i c h è l e M a i l l e t , SOTTO UNA STELLA NERA,

ed. orig. 2006, trad. dal francese di Edi Vesco, prefaz. di Simone Veil, pp. 220, € 15, Cairo, Milano 2007

Il romanzo, che si svolge durante la se-conda guerra mondiale, racconta la depor-tazione di una francese nata in Martinica, inizialmente arrestata perché alloggiata presso una famiglia di ebrei, poi, nei cam-pi, esclusa tra gli esclusi perché di pelle nera. Al di là delle vicende strazianti - an-cora più terribili perché coinvolgono anche i due figli della protagonista, già nati senza padre a causa dei pregiudizi razziali nei confronti della madre - colpisce il lavoro di ricerca che ha portato l'autrice a scrivere questo romanzo. La motivazione ideologi-ca principale è stata quella di attirare l'at-tenzione sulle "altre" vittime dell'Olocausto, e in particolare sui neri. Michèle Maillet, co-nosciuta come attrice ed ex giornalista, ha voluto però dare una carica romanzesca ai dati che è riuscita a reperire, e ha scelto di raccontare anche i sogni, le aspettative e le speranze della sua protagonista. Attra-verso stralci delle pagine di un diario scrit-to di nascosscrit-to, il letscrit-tore scopre che la

don-na trae la forza per continuare a vivere pro-prio dalle sue origini. Sidonie pensa alla sua Martinica perduta e la contrappone a quel mondo privo di colore e di dignità umana che costituisce il campo di concen-tramento. Soprattutto, mobilita la sua me-moria ancestrale, trae le risorse per reagi-re all'orroreagi-re dei campi dall'orroreagi-re della schiavitù che afflisse i suoi avi. La consa-pevolezza storica si fonde con l'attacca-mento alle tradizioni, e la donna finisce per rivolgersi ad Agénor, simbolo della negritu-dine e delle radici culturali. Il tragico finale, non certo inaspettato, è il più efficace sti-molo alla riflessione.

( P . G . )

Sami Michael, VICTORIA, ed. orig. 1993, trad.

dall'ebraico di Antonio Di Gesù, pp. 366, € 17, La Giuntina, Firenze 2007

La vita ha una consistenza vischiosa nel cortile in cui abita la famiglia di Victo-ria. Rifugio e antro popolato di spiriti, ven-tre femminile e urna funebre, la casa del-la Baghdad ebraica del primo Novecento è il palcoscenico di una grandiosa saga familiare che scivola lenta e densa lungo quattro generazioni. Sono leggi feroce-mente arcaiche a regolare i rapporti uma-ni in questo angolo di mondo: i legami fa-miliari sono crudeli e morbosi, l'amore vi-ve di ambigua passione o devozione fru-strante, i rapporti coniugali sono inganno o accordo economico. Follia, deformità e superstizione aleggiano sul cortile. Così come una carnalità scomposta e schiet-tamente primitiva. In un universo in cui la nascita di una bambina è una disgrazia, Victoria subisce le umiliazioni di una ma-dre folle, l'autorità del pama-dre e la violenza del fratello. E vive un amore intenso per il cugino Rafael, tanto attraente quanto fe-difrago. Il sentimento di Victoria, fatto di appassionata sopportazione e ostinata fedeltà, non sbiadisce di fronte ai tradi-menti di Rafael e nutre il loro matrimonio per decenni. Espressione della sua epo-ca, Victoria è una figura femminile deter-minata e tenace, seppure sottomessa e avvilita, di cui Sami Michael tratteggia le contraddizioni con puntualità e delicata attenzione. Sullo sfondo dei destini indivi-duali, si scorge un tratto di storia univer-sale: il passaggio degli ebrei nei campi di transito, l'arrivo nella Terra Promessa e la difficile integrazione nel nuovo Stato di Israele. La scrittura di Sami Michael è vi-tale, appassionata, intensa. Autentica-mente innamorato del gusto di narrare, l'autore arabo-israeliano (di cui in Italia è già stato pubblicato nel 2006 da La Giun-tina Una tromba nello uadi) restituisce al lettore un romanzo epico e corale. E il piacere di una lettura lenta e densa.

PAOLA GOGLIO

Sàndor Màrai, L'ISOLA, ed. orig. 1934, trad.

dal-l'ungherese di Laura Sgarioto, pp. 174, € 16,50, Adelphi, Milano 2007

Askenasi è un rispettato e non più gio-vane professore di filologia che si inna-mora di una ballerina russa. Abbandona famiglia e lavoro, affronta la disapprova-zione sociale e, infine, lascia anche l'a-mante, consapevole che non è lei la me-ta della sua ricerca, ma solo un punto di passaggio. Parte per la Grecia cercan-do la risposta a una cercan-domanda che è in-capace di formulare, cui né la moglie né

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