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Come si è già accennato, dato il risvolto strutturale che ha assunto lo sviluppo della tesi, è auspicabile una breve trattazione che illustri le basi e designi le nomenclature con le quali si studierà successivamente le sollecitazioni a cui è sottoposto il rotore oggetto di studio.

3.1. Stati tensionali

Per tensione si intende una forza esercitata su un’unità di superficie, costituita da componenti normali e tangenziali alla superficie stessa.

Ogni singolo punto di un oggetto, infatti, ha tensioni rappresentabili con una matrice 3x3, dove, sulla diagonale principale, ci sono le tensioni normali σ e le altre sono tangenziali 𝜏 (Figura 3.1).

σ = [

𝜎𝑥 𝜏𝑦𝑥 𝜏𝑧𝑥

𝜏𝑥𝑦 𝜎𝑦 𝜏𝑧𝑦

𝜏𝑥𝑧 𝜏𝑦𝑧 𝜎𝑧]

La matrice è simmetrica per mantenere l’equilibrio alla rotazione.

(Figura 3.1) Rappresentazione delle tensioni tramite vettori in un elemento infinitesimo in un sistema di riferimento tridimensionale

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Esiste sempre almeno un sistema di riferimento che rende la matrice diagonale e viene definito terna principale. Infatti, cambiando il sistema di riferimento si modificano le componenti di tensione ma non gli invarianti. In questo caso si avrà una matrice avente sulla diagonale gli autovalori.

σ = [

𝜎1 0 0

0 𝜎2 0

0 0 𝜎3

]

Il circolo di Mohr rappresenta graficamente questa matrice e anche tutte le matrici aventi lo stesso invariante; in altre parole, fornisce lo stato tensionale in un punto partendo dai valori delle tre tensioni principali σ1, σ2 e σ3 (Figura 3.2). Le intersezioni, tra i diametri del circolo con la circonferenza stessa, rappresentano tutte le giaciture che una terna di riferimento può avere rispetto a quel punto.

(Figura 3.2) Rappresentazione del circolo di Mohr sulla base dei tre valori delle tensioni principali (a) e schematizzazione esplicativa

del rapporto implicito tra tensioni normali e tangenziali con i relativi invarianti.

Per definizione, si ha che σ1> σ2> σ3 e che se σ>0 si ha uno stato di trazione, viceversa se σ<0 uno stato di compressione.

La rappresentazione di Mohr consente di conoscere i valori delle componenti di tensione ad ogni inclinazione α del piano fisico eseguendo una rotazione di 2α del diametro del cerchio di Mohr.

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(Figura 3.3)

Quindi i massimi valori delle tensioni tangenziali si raggiungono con giaciture a 45° rispetto alla direzione principale (90° sul piano di Mohr). Una rotazione di 90° sul piano fisico produce un’altra tensione principale (Figura 3.3).

3.2. Criteri di plasticità

I criteri di plasticità hanno la funzione di correlare lo stato tensionale alle prove standardizzate di caratterizzazione dei materiali. Se ne deduce la σeq, che rappresenta la resistenza effettiva che il materiale oppone a essere deformato. In altri termini, è un valore unico e completo che descrive uno stato di sollecitazione più complesso. Se tale valore supera la Tensile Yield Strenght si ha una deformazione permanente perché si entra in campo plastico. In linea generale, quando si dimensiona un componente in fase di progettazione, si cerca di evitare tale effetto.

- Criterio di Galileo

Lo stato plastico è individuato dalla sola massima tensione principale σ1 positiva. Il limite consiste nel fatto che non si tiene conto dei valori di tensione negativi e la potenzialità di ricadere erroneamente in una compressione infinita perché, anche tramite σ negative, si può ottenere una deformazione plastica.

- Criterio di Tresca

Sono le tensioni tangenziali a produrre deformazioni, perciò lo stato tensionale dipende dalla σmax e σmin tale che: 𝜏max = (σ1 - σ3) / 2. Il limite consiste nel fatto che non è un criterio esattissimo e a volte

31 - Criterio di Von Mises

Lo stato tensionale dipende sia dalle σ che dalle 𝜏 poiché ognuna di esse dà un contributo energetico nel trovare σeq = (((σ1 – σ2)2 + (σ1 – σ3)2 + (σ2 – σ2)2) / 2)0.5.

Si tratta del criterio più accurato dei tre descritti. Ma, mentre Tresca si riesce a rappresentare bene su Mohr, Von Mises è più complicato e bisogna introdurre semplificazioni. Se si devono eseguire calcoli complessi, Tresca può risultare molto utile perché trascura la tensione principale intermedia σ2; inoltre, approssimando la T.Y.S. per difetto, si rimane comunque tranquilli sulla garanzia del risultato calcolato.

3.3. Stati deformativi

Anche le deformazioni infinitesime ε, correlate alle tensioni σ tramite la legge di Young, possono essere rappresentate come tensori 3x3:

dε = [ 𝑑𝜀𝑥 𝑑𝛾𝑦𝑥/2 𝑑𝛾𝑧𝑥/2 𝑑𝛾𝑥𝑦/2 𝑑𝜀𝑦 𝑑𝛾𝑧𝑦/2 𝑑𝛾𝑥𝑧/2 𝑑𝛾𝑦𝑧/2 𝑑𝜀𝑧 ] ε = ∫ 𝑑𝑙 𝑙 𝑙𝑓 𝑙𝑜 = ln ( 𝑙𝑓

𝑙𝑜) chiamata deformazione reale

La legge di Young è:

σ = E ε

con E = modulo di Young, costante caratteristica del materiale.

Le componenti fuori dalla diagonale principale d𝛾 prendono il nome di deformazioni di scorrimento e sono responsabili della distorsione angolare secondo la relazione d𝛾 = 𝑡𝑔(𝜗). Nel tensore compaiono come 𝑑𝛾/2 perché per l’equilibrio compaiono sempre in coppia.

Fino a quando si è nel campo delle piccole deformazioni, cioè 𝑙𝑖𝑚

𝑑𝑙→0𝑑𝑙, posso usare le deformazioni ingegneristiche per semplicità di calcolo, ovvero le ε definite come e = 1𝑙∫ 𝑑𝑙𝑙𝑙𝑓

𝑜 = (lf - lo) / lf. Quando

si entra nel campo delle grandi deformazioni, (ε > 0.002, scelto come valore di riferimento qualora non sia deducibile con esattezza il punto in cui si ha la perdita della relazione di linearità tra σ e ε), ovvero il campo plastico, tale uguaglianza perde di significato e bisogna usare le deformazioni reali.

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Per la valenza che hanno tali formulazioni e considerando il campo d’analisi in cui si studierà il rotore nei capitoli successivi, l’utilizzo dell’una o dell’altra è equiparabile.

Come esempio, prendo la dilatazione di un volumetto infinitesimo di dimensione dx-dy-dz. La variazione di volume generica in campo elastico (e piccoli) è:

dx’ = dx + dx ex = dx (1 + ex)

V’ = dx (1 + ex) * dy (1 + ey) * dz (1 + ez) = (1 + ex) (1 + ey) (1 + ez) dx dy dz

Δ = ΔV / V = (V – V’) / V = ex +ey +ez = 1𝐸 (σx + σy + σz - 2ν (σx + σy + σz)) = 3 (σx + σy + σz) 1− 2𝜈𝐸

3.4. Caratterizzazione del materiale

Il materiale esaminato per la realizzazione del rotore è chiaramente un metallo, in particolare una lega ferrosa perché deve possedere proprietà elettromagnetiche tali che garantiscano il funzionamento della macchina. Utilizzando un termine più consono, si tratta di un materiale ferromagnetico: in queste leghe i domini di Weiss (Figura 3.4), ovvero grani di dimensione nell’ordine di 10-1 o 10-3 mm, hanno la capacità di orientarsi e disporsi allineati se sottoposti ad un campo magnetico H, fino ad avere un’intensa magnetizzazione.

(Figura 3.4) A sinistra, fotografia al microscopio dei domini di Weiss; a destra rappresentazione schematica e qualitativa di domini

orientati casualmente e quindi caratteristici di un materiale non magneticamente indotto.

All’aumentare di H si ha un allineamento graduale dei domini di Weiss fino alla saturazione magnetica. Esistono ferromagneti più “duri”, ovvero quelli utilizzati come magneti per la loro magnetizzazione residua elevata, ma quello esaminato, essendo il materiale costituente di un rotore, si tratta di materiale più “dolce”.

33 Definisco la legge che regola l’induzione magnetica:

B = μ H

Con B = campo di induzione magnetica, H = campo magnetico applicato, μ = permeabilità magnetica. Applicando un campo magnetico H via via crescente si ottiene un orientamento dei domini di Weiss graduale fino ad ottenere un’intensa magnetizzazione. Si arriva ad un punto che per grossi aumenti del campo H comportano sempre più modesti incrementi di B fino a che non sono trascurabili: si arriva alla saturazione magnetica del materiale comportata dal prefetto allineamento dei domini. Seguendo la sopracitata relazione è possibile graficare il ciclo di isteresi di magnetizzazione (Figura 3.5):

(Figura 3.5) In ascissa H e in ordinata B, con la linea verde il ciclo di isteresi di un materiale più duro, con la linea rossa quello relativo ad un materiale più morbido. B1 è la massima induzione ottenibile per il relativo materiale; per valori di H > H1 ho saturazione

magnetica. B2 è l’induzione residua che si ottiene sul materiale quando si “spegne” il campo H. H3 è il campo coercitivo che bisogna

applicare per annullare l’induzione sul materiale.

Questa può essere interpretata come una prima caratterizzazione dal punto di vista magnetico. Per quanto concerne il lato prettamente meccanico, per la simulazione è necessaria a priori una caratterizzazione del materiale tale da comprenderne le proprietà postume alle lavorazioni di produzione. La prova di caratterizzazione può seguire diverse metodologie ma il principio che sta alla base è grossomodo sempre il medesimo, ovvero si cerca di comprendere la risposta del materiale in seguito ad una sollecitazione esterna. Possono essere prove distruttive o non distruttive, a seconda della condizione finale del provino. Tra le prove distruttive la più comune è la

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prova di trazione. Si tratta di un esperimento nel quale si applica un carico quasi-statico di tensione mono-assiale noto e si misura la deformazione corrispondente.

Il risultato del test è un grafico similare a questo (Figura 3.6):

(Figura 3.6) A sinistra, grafico avente in ascissa ε e in ordinata σ, conseguente ad una prova di trazione. A destra disegno

rappresentativo di un provino e delle dimensioni fisiche che bisogna considerare per effettuare la prova.

Con σ calcolato come tensione ingegneristica tale che:

σ = F / A = 4F / πd02

(F= forza generata dalla macchina, A = area della superficie trasversale del provino) e ε calcolato come deformazione ingegneristica:

ε = (Lf-Lc) / Lf

(Lf lunghezza finale del provino).

Il modulo di Young caratteristico del materiale si trova come E = tan(α) con α angolo di inclinazione del tratto lineare OA.

Nel momento in cui si oltrepassa il punto A entrando nel tratto AB, si ha lo snervamento, ovvero si entra nel campo delle grandi deformazioni con valori di ε generalmente superiori allo 0,2%: il

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provino si plasticizza. Ciò significa che il materiale non ha più un ritorno elastico pari al valore della deformazione provocata e rimane geometricamente (e anche meccanicamente) modificato. Così facendo si ottiene un incrudimento, ovvero l’aumento del carico di snervamento con il carico raggiunto. Il materiale si carica di energia di deformazione che diventa sua energia interna specifica. Il risultato è che da quel punto in avanti, anche se lo si scarica, serve più energia per deformarlo, a discapito dell’allungamento massimo ottenibile.

Nel momento in cui si raggiunge il punto E, si ha la strizione, ovvero un incremento localizzato della deformazione e la generazione di tensioni non più soltanto mono-assiali ma anche radiali. Le tensioni ingegneristiche, infatti, calano in EF ma se si calcolano le tensioni vere:

σ = 4F / πd2 e le deformazioni reali ε = ∫𝑙𝑙𝑓𝑑𝑙𝑙 𝑜 = ln ( 𝑙𝑓 𝑙𝑜)

risulta che le proprietà del materiale continuano ad aumentare.

3.5. Trattazione analitica di un caso di deformazione assial -simmetrico

Si introduce lo studio delle deformazioni assial-simmetriche e soprattutto un’illustrazione che ne esplica il cambio di coordinate al fine di semplificare la trattazione, dato che è la base sulla quale si sviluppa lo studio analitico.

Quindi conviene cambiare il sistema di riferimento e passare dalle coordinate cartesiane del tipo (x,y,z) a quelle cilindriche (r,ϑ,z) tale che (Figura 3.7):

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(Figura 3.7)

Si riporta una trattazione puramente analitica di quelle che sono le tensioni agenti su un infinitesimo di una geometria semplificata associabile al rotore in esame; una corona circolare tridimensionale di raggio esterno Re, raggio interno Ri, sviluppo h, densità ρ che ruota a velocità ω. Lo scopo di tale trattazione non è operativo, quanto più dimostrativo per avere un’unità di grandezza con la quale potersi interfacciare per essere certi che i risultati ricavati da Ansys siano attendibili e perciò aver condizionato bene il problema nel calcolatore e successivamente per esaltare i vantaggi nell’usufruire di un software che risolva in modo quanto più agevole.

Sia Ri < r < Re, 0 < ϑ < 360 e si suppone h = costante. Fissare h costante è un’ipotesi molto forte perché in verità si ha h(r). Ma i calcoli a mano diverrebbero troppo onerosi.

(Figura 3.8)

37 Le forze interne radiali sono:

dFr = (σr + 𝑑𝜎𝑟

𝑑𝑟 dr) (h + 𝑑ℎ

𝑑𝑟 dr) (r + dr) dϑ - σr r h dϑ (3.1)

e semplificando gli infinitesimi di ordine superiore risulta:

dFr = 𝑑𝜎𝑑𝑟𝑟 h r dr dϑ + σr h dr dϑ (3.2)

ma bisogna tener conto anche il contributo radiale delle forze interne tangenziali:

dFtr = – 2 σt h dr sin(dϑ/2) (3.3)

lim sin(ϑ) per ϑ → 0 ≈ ϑ (3.4)

dFtr = – σt h dr dϑ (3.5)

e le forze centrifughe:

dFc = m a = ρ ω2 h r2 dr dϑ (3.6)

Scrivendo l’equazione di equilibrio radiale:

dFr + dFtr + dFc= 0 (3.7)

(𝑑𝜎𝑑𝑟𝑟 h r dr dϑ + σr h dr dϑ) +( – σt h dr dϑ) + (ρ ω2 h r2 dr dϑ) = 0 (3.8)

Svolgendo i calcoli e semplificando si ottiene:

σt = σr +𝑑𝜎𝑟

𝑑𝑟 + ρ ω

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Al momento si dispone di un’equazione e due incognite, quindi è necessario usufruire di alcune equazioni di supporto per ottenere una formulazione completa: la legge di Hook: σ = E ε, con E modulo di Young e sia ν il coefficiente di Poisson.

Si prendono le equazioni costitutive:

σt = E (εt – ν εr) (3.10) σr = E (εr – ν εt) (3.11) e le equazioni di compatibilità: εr = 𝑑𝑢𝑑𝑟 (3.12) εt = 𝑢 𝑟 (3.13)

Inserendo la (3.13) nella (3.12) si ottiene:

εr = r 𝑑𝜀𝑡𝑑𝑟 + εt (3.14)

Ponendo a sistema la (3.10) con la (3.11) nonché con l’ausilio della (3.14) e manipolando matematicamente si arriva al sistema composto da:

εt = (σt - ν σr ) / E (3.15) E (r 𝑑𝜀𝑡𝑑𝑟 + εt) = σr - ν σt (3.16) Si risolve a sistema: E (r 1𝐸 𝑑𝑟𝑑(σt - ν σr)+ 𝐸1 (σt - ν σr)) = σr - ν σt (3.17) 𝑑𝜎𝑡 𝑑𝑟 r - ν 𝑑𝜎𝑟 𝑑𝑟 r + (1 + ν) (σt - σr) = 0 (3.18)

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A questo punto si mette a sistema la (3.9) e la (3.18) per capire come variano le tensioni al variare del raggio r.

E 𝑑𝑟𝑑(σr +𝑑𝜎𝑑𝑟𝑟 + ρ ω2 r2) r - ν 𝑑𝜎𝑑𝑟𝑟 r + (1 + ν) (σr +𝑑𝜎𝑑𝑟𝑟 + ρ ω2 r 2 - σr) = 0 (3.19)

E, svolgendo i conti, si ottiene:

𝑑2𝜎𝑟

𝑑𝑟2 r +

𝑑𝜎𝑟

𝑑𝑟 + (3 + ν) ρ ω

2 r 2 = 0 (3.20)

Può essere ricondotta ad un’equazione differenziale del secondo ordine del tipo:

y” x + 3 y’ + k x = 0 con k = ρ ω2 (3 + ν) e y(x) = σ

r(r) (3.21)

che si può agevolmente risolvere per parti se si sostituisce Y = y’ e si moltiplicano entrambi i membri per x2 |

Y’ x3 + 3 x2 Y = - k x3 (3.22)

Ricordando l’integrazione per parti: ∫ 𝑓 𝑑𝑔 = 𝑓 𝑔 − ∫ 𝑔 𝑑𝑓 + 𝑐 e assumendo f = Y(x) e g = x3

Y = - k/4 + c/x3 (3.23)

si integra nuovamente e si risolve per y:

y = c1/x2 + c2 – k x2/8 (3.24)

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Si applicano le condizioni al contorno per trovare le costanti c1 e c2. È ragionevole pensare che:

σr (r) = 0 se r = Re (3.26)

σr (r) = 0 se r = Ri (3.27)

Con qualche calcolo si arriva a:

c1 = -k Re2 Ri2/8 (3.28)

c2 = k (Re2 + Ri2)/8 (3.29)

Ottenendo infine la formulazione di σr (r):

σr (r) = - 𝒌𝑹𝒆 𝟐𝑹 𝒊 𝟐 𝟖𝒓𝟐 + 𝒌(𝑹𝒆𝟐+𝑹𝒊𝟐) 𝟖 - 𝒌𝒓𝟐 𝟖 (3.30)

E sfruttando la (3.9) si può ottenere anche la σt (r):

σt (r) = - 𝒌𝑹𝒆 𝟐𝑹 𝒊 𝟐 𝟖𝒓𝟐 + 𝒌(𝑹𝒆𝟐+𝑹𝒊𝟐) 𝟖 - 𝟑𝒌𝒓𝟐 𝟖 + 𝒌𝒓𝟐 𝟑+𝝂 (3.31)

Successivamente è necessario trovare le tensioni equivalenti di Von Mises σVM (r) con l’apposito

criterio. Calcolando 𝑑𝜎𝑉𝑀(𝑟)

𝑑𝑟 = 0, si può trovare il valore di r per cui si hanno le tensioni σVM massime. Infine, sostituendo tale valore di r in σVM (r) si riescono a trovare le tensioni equivalenti più alte

all’interno dell’oggetto.

Essendo questa una parte di calcoli di un certo onere analitico, nonché un semplice errore di distrazione avrebbe portato ad un irrimediabile risultato errato, ho lasciato che il calcolatore risolvesse il problema per me. Riporto qui sotto il codice di Matlab utilizzato:

clc clear all Ri=7.5*(10^(-3)); Re=31*(10^(-3)); ro=7200; w=32; v=0.3;

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k=ro*(w^2)*(3+v); syms sigmar(r)

ode = diff(sigmar,r,2)*r + 3*diff(sigmar,r) + k*r == 0; cond1 = sigmar(Re) == 0;

cond2 = sigmar(Ri) == 0; conds = [cond1 cond2];

sigmar = simplify(dsolve(ode,conds));

sigmat = simplify(sigmar + diff(sigmar,r)*r + ro*(w^2)*r^2); Rsigmarmax = abs(double(vpasolve(diff(sigmar,r)==0 , r))); Rsigmarmax = 1000*Rsigmarmax(1) %mm Rsigmatmax = abs(double(vpasolve(diff(sigmat,r)==0 , r))); Rsigmatmax = 1000*Rsigmatmax(1) %mm Crt = (sigmar+sigmat)/2; Rrt = abs((sigmar-sigmat)/2); sigmamax = Crt + Rrt; sigmamin = Crt - Rrt; sigmaTresca = simplify((sigmamax-sigmamin)/2); r1 = double(abs(((vpasolve(diff(sigmaTresca,r)==0 , r))))) %m

solution = double(subs(sigmaTresca,r,r1))/1000000 %Mpa

Nel Command Windows viene così stampato che le σeq massime si hanno lungo il raggio di 22.5 mm

e le σeq massime sono 6.51* 10-4 MPa (Figura 3.9).

Nel programma sono state calcolate le σeq secondo il principio di Tresca (e non Von Mises), perché

il calcolo ha valenza qualitativa e, a scapito di un leggero errore, ne va di velocità di formulazione e calcolo.

(Figura 3.9) Risultato numerico ottenuto tramite il calcolatore che raffigura in scala cromatica l’andamento delle sollecitazioni nel

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