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Teorie economiche per la flessibilità: un approccio critico

Come afferma Zenezini (2014) l’agenda europea negli ultimi due decenni ha assegnato un ruolo centrale al tema delle riforme economiche come motori di crescita. Le premesse a questo dibattito sono le seguenti: 1) la centralità delle riforme è dovuta a livello storico al processo che ha portato alla creazione del mercato interno europeo e ai vincoli alla politica macroeconomica posti nei trattati europei; 2) alla base di questo orientamento vi sono le teorie economiche monetariste secondo cui la crescita va realizzata tramite politiche di offerta e le politiche macroeconomiche hanno unicamente il compito di garantire la stabilità macroeconomica: l’obiettivo delle riforme è di spostare l’equilibrio da un equilibrio inefficiente a un equilibrio superiore tramite la modifica di alcuni aspetti istituzionali- regolativi, misurando molto spesso la riuscita delle riforme tramite l’aumento del tasso di crescita; 3) per quanto riguarda il contesto italiano nel mercato del lavoro si è maturata la convinzione che siano necessarie riforme strutturali per sbloccare le rigidità che frenano la concorrenza nel mercato del lavoro. L’autore nella sua analisi in primo luogo distingue i

52 caratteri del riformismo economico degli ultimi venti anni, che ha come obiettivo la crescita economica dal riformismo storico, caratterizzato da finalità redistributiva, tramite l’estensione di diritti positivi e di cittadinanza. L’idea base è che vi siano degli ostacoli di tipo economico, culturale, politico e tecnico-organizzativo che bloccano la crescita economica e che l’economia può intervenire per rendere “più fluido il funzionamento dei mercati e, per questa via, promuovere una più efficiente allocazione delle risorse come premessa per garantire la crescita economica” (Zenezini, 2014, p. 3). I responsabili della politica economica europea affermano che le riforme economiche per allentare rigidità e regolamentazioni riescono quasi sempre ad aumentare il benessere aggregato. Nel Libro Bianco “Crescita, competitività e occupazione” del Presidente della Commissione Europea J. Delors vengono delineati gli orientamenti principali della politica economica europea: deregolamentazione, flessibilità, mercato del lavoro, investimenti e concorrenza. La Strategia di Lisbona, lanciata dall’Unione Europea nel 2000, aveva come obiettivo accelerare le riforme economiche, fissando come linea di valutazione l’impatto sulla competitività e la crescita.

Uno dei punti centrali del riformismo negli ultimi decenni è rappresentato dallo sforzo di rappresentare quantitativamente i sistemi di regolamentazione, progettando degli indicatori per misurare gli effetti sull’attività economica, l’occupazione e la crescita. Per quanto riguarda il mercato del lavoro la flessibilità è misurata tramite l’Indice di protezione dei licenziamenti dell’Ocse.16 Secondo l’autore in questo modo sono stati ignorati i fattori

specifici che hanno effettivamente sospeso la crescita, interpretando la performance economica di un paese unicamente tramite gli indicatori di regolamentazione- deregolamentazione, e non gli aspetti di contesto, le caratteristiche istituzionali, le condizioni strutturali, il ruolo delle costrizioni o opportunità a livello macroeconomico. Per quanto riguarda il mercato del lavoro inizialmente l’attenzione è posta sulla disoccupazione ma da uno studio dell’Ocse emerge come sia difficile trovare prove della “relazione tra rigidità dei licenziamenti e disoccupazione” (OECD, 1999b, pp.49 sgg. 2013b, pp.71 sgg. citato in Zenezini, 2014, p.22). Inoltre un’analisi sui dati dell’Istat e del Ministero del Lavoro17 in Italia conferma che le riforme per la flessibilità proposte come mezzo per garantire l’accesso dei giovani al mercato del lavoro e i contratti temporanei progettati come primo passo verso

16 Cfr: la Tabella 1 e le Figure 11 e 12, pp. 47-50

17 Cfr: Ministero del lavoro, Rapporto di monitoraggio sulle politiche occupazionali e del lavoro, 2008 e Istat,

53 l’impiego permanente non hanno migliorato la condizione lavorativa dei giovani né aumentato l’occupazione di buona qualità (Zenezini, 2014, p. 23). Infine, dalle indagini dell’OCSE del 2005 e del 2008 emerge che le riforme del mercato del lavoro hanno contribuito ad aumentare i profitti e alla diminuzione della produttività e “possono aver aumentato la domanda favorendo quindi l’espansione dell’occupazione a salari inferiori” (OCSE, 2005, p.28; 2008, p.39-40, citati in Zenezini, 2014, p. 32).

Gli economisti Dealfonzo ed Esposito (2014) analizzano gli effetti della deregolamentazione del mercato del lavoro e, ponendo in correlazione la variazione degli indici di protezione del lavoro con i tassi di disoccupazione ufficiali, concludono che la maggiore flessibilità introdotta nel mercato del lavoro europeo non abbia favorito la crescita occupazionale.

Anche un altro studio sostiene che la strategia europea di flessibilità non abbia migliorato le prospettive occupazionali complessive e abbia dato origine, invece, a una forte segmentazione dei mercati del lavoro rendendo difficile l’accesso a forme di lavoro stabile. In particolare le riforme che hanno interessato la riduzione del grado di rigidità del lavoro si sono concentrate sul lavoro temporaneo, mentre il grado di protezione del lavoro dipendente a tempo indeterminato è rimasto invariato, dando luogo alla così detta “deregolamentazione ai margini” ”, misurata attraverso la differenza tra l’indice di protezione del lavoro a tempo indeterminato e a tempo determinato ( ovvero EPLGAP) 18, che può essere considerata come indicatore di deregolamentazione del mercato del lavoro (Barbieri, Cutuli, 2015). Gli autori pongono in relazione la deregolamentazione del lavoro con l’aumento della probabilità di trovare un’occupazione in generale e un’occupazione stabile nei diversi paesi europei, raggruppati in tre diversi modelli regolativi (scandinavo, europeo e sudeuropeo), escludendo i paesi anglosassoni perché già fortemente deregolamentati. I dati riguardano il periodo dal 1997 al 2008, cioè prima della crisi economica. Come si osserva dalla Figura 13 i vantaggi

della deregolamentazione sono transitori; si parla infatti del così detto “effetto luna di miele”

e le possibilità di passaggio a un lavoro permanente sono molto basse, soprattutto per i paesi del Sud Europa, dove il lavoro stabile è stato gradualmente sostituito da lavoro temporaneo con garanzie legali e di welfare ridotte. Gli autori concludono affermando che mentre in alcuni contesti l’aumento della flessibilità, legato a efficaci politiche attive e sostegni alla disoccupazione, può aver originato una crescita occupazionale, ciò non si è verificato nei

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paesi sudeuropei, caratterizzati dalla flessibilità ai margini e alti tassi di disoccupazione di lunga durata (Barbieri, Cutuli, 2015).

Figura 13– Indicatore di deregolamentazione del mercato del lavoro EPLGAP e aumento della probabilità di trovare un’occupazione

Fonte: Barbieri, Cutuli (2015)