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Le teorie sociologiche

2.1 Sociologia generale e sociologia dell’educazione

“I pedagogisti hanno il diritto di ricevere dalla sociologia un aiuto pratico per risolvere alcuni problemi basilari dell’educazione. Ma nessuna disciplina può fornire un aiuto concreto se manca di una definizione dei propri concetti di base e di una metodologia autonoma. Inoltre, tutti gli studi applicati rivestono un carattere interdisciplinare ed è illusorio sperare che la sociologia, da sola, possa risolvere tutti i problemi della società e della scuola” (Banks, 1973, pp. 8-9), condividendo questa affermazione, si è scelto di esaminare una selezione della letteratura sociologica riferita sia alle teorie che alle indagini empiriche nazionali e internazionali che hanno analizzato in particolare la professione docente focalizzando il nostro oggetto di indagine.

La sociologia generale in quanto scienza della società, osserva, rileva empiricamente e studia analiticamente i fenomeni sociali per evidenziarne gli aspetti di uniformità, ripetibilità e prevedibilità e definire il profilo di quei processi di cambiamento che guidano i meccanismi di innovazione e autoregolazione, propri di ogni struttura sociale (Ferrarotti, 1986; Losito, 2000). I fenomeni sociali sono tendenzialmente regolari e ripetitivi, anche se non in modo deterministico e questo permette ai sociologi di formulare delle leggi generali che governano l’agire sociale, nel senso che ne rappresentano delle possibilità tipiche. La sociologia studia anche i

sottosistemi sociali (aree omogenee e strutturate) e i relativi ruoli e istituzioni, quali gli

insegnanti e la scuola per l’educazione, cui spettano precisi compiti e funzioni. Per comprendere un sistema educativo inserito all’interno di una data società e cultura, bisogna necessariamente conoscere dapprima questi aspetti (Ribolzi, 1993).

Dalla prospettiva della sociologia generale, la società è un sistema organizzato in base alla differenziazione e alla gerarchia dei ruoli, in cui ogni individuo occupa una posizione che ha un diverso valore sociale al suo interno: “in termini di ricchezza, potere, prestigio, inserimento nel gruppo e il sistema di relazione fra le posizioni tende a strutturarsi secondo schemi fissi, che possono essere formali e informali” (Ribolzi, 1993, p. 16). Le modalità dell’organizzazione possono cambiare, mantenendo però “un

insieme di interazioni dotate di stabilità, regolarità e continuità garantite dalla struttura, che ha il compito di mantenere nel tempo il perseguimento dei fini sociali, attraverso un’adeguata distribuzione dei ruoli” (Ibidem). Esiste un rapporto funzionale tra i ruoli e l’organizzazione e questo vale in modo particolare per il sistema scolastico che si configura come “un’organizzazione gerarchica altamente standardizzata, tanto che scuole diverse restano comparabili tra loro nonostante le differenze culturali”, la cui funzione fondamentale è quella di garantire il funzionamento e l’adempimento formale dei fini dell’organizzazione (Ribolzi, 1993, pp. 16-17).

La sociologia dell’educazione, che studia uno specifico campo di interesse tenendo conto delle interconnessioni esistenti tra i vari fenomeni della realtà circostante (Banks, 1973), nasce da due matrici: la teoria sociologica generale e il supporto alle decisioni pedagogiche, infatti essa si interessa dell’inserimento dei nuovi membri nella società alla quale appartengono e del modo in cui la società stessa si riproduce tramite i processi educativi. L’interesse per lo studio di tali processi è dovuto al fatto che un miglioramento in quel settore si ripercuote positivamente anche nella società complessiva, poiché il sistema educativo è in rapporto con quello sociale e la pedagogia e la sociologia lo studiano con approcci e prospettive differenti (Ribolzi, 1993).

La sociologia dell’educazione, ispirandosi alle teorie dei grandi sociologi (Collins, Durkheim, Luhmann, Parsons, Weber) evidenzia come l’educazione dipenda dalle condizioni sociali e concretamente non miri tanto a conseguire la realizzazione ottimale della natura individuale dell’uomo, quanto a delineare un profilo di persona in grado di adattarsi alla divisione del lavoro attuata e più in generale alla società in cui vive. Di conseguenza, l’educazione si specializza in base ai bisogni sociali e diventa sempre più complessa, al passo con la società. In realtà, il sistema educativo svolge il difficile doppio ruolo di esprimere e tramandare i valori di una cultura, promuovere lo sviluppo personale e collettivo, ma al contempo mantenere un ordine sociale dato, riproducendolo. Perciò il processo educativo risultante è una sorta di equilibrio tra la conservazione della tradizione e la ricerca del nuovo, tra la struttura sociale e la variabilità individuale. Ogni generazione riceve un patrimonio culturale che a sua volta modifica, arricchendolo di nuovi contributi e ponendosi come un principio di rottura (Ribolzi, 1993; Spadolini, 2007; 2013).

2.2 Le teorie classiche

L’analisi del sistema scolastico vanta una lunga storia di studio nell’ambito della sociologia e il mutamento dei termini di riferimento nel corso del tempo è un segno esteriore dei cambiamenti interni che lo riguardano. Di seguito, si richiamano alcune concezioni della scuola e dei processi educativi elaborate dagli autori classici, che hanno nutrito il pensiero sociologico in campo educativo e che aiutano a comprendere le diverse problematiche emerse nelle indagini sociologiche analizzate più avanti, in questo capitolo.

2.2.1 E. Durkehim

Dalla sua prospettiva funzionalista, analizza i fattori che generano e mantengono l’ordine morale e la solidarietà sociale e riscontra che il processo educativo svolge un’importante funzione adattiva e integrativa, perché costruisce i rapporti sociali mediante il processo di socializzazione, trasmette alle nuove generazioni il patrimonio culturale che perpetua la società e le norme e i valori comuni espressi nella coscienza collettiva, che vengono interiorizzati dagli individui (Durkheim, 1973; Ribolzi, 1993).

Il processo educativo si fonda sul rapporto asimmetrico tra le generazioni, una relazione di potere e di autorità necessaria per educare la natura umana indisciplinata e asociale, che implica un certo grado di costrizione della libertà individuale. I processi di socializzazione consentono di sviluppare le personalità individuali in modo storicamente determinato e socialmente integrato (Durkheim, 1962).

L’educazione è dunque al servizio della società e varia in base all’ordine sociale che si costituisce in determinate circostanze di spazio e tempo, perciò non è universalistica ed immutabile. Ad ogni tipo di società appartiene un modello educativo funzionale che garantisce il perpetuarsi dell’integrazione. Le società complesse sono organizzate in base alla divisione del lavoro e l’individuo assume un ruolo all’interno di questa struttura, che si basa sulle interdipendenze funzionali (Durkheim, 1962).

La società controlla i luoghi istituiti a tale funzione, perciò la scuola è organizzata come una struttura con determinate condizioni fisiche, tecniche e culturali, idonee a trasmettere le conoscenze teoriche e strumentali che consentono lo sviluppo del bambino e l’acquisizione di habitus mentali comuni. Sebbene l’uomo sia visto come ‘ultrasocializzato’ e la sua funzione principale sia quella di assumere il proprio ruolo

all’interno della struttura sociale, le interazioni tra individui e la scuola con i suoi processi educativi e di socializzazione, contribuiscono anche a generare dei fenomeni di cambiamento e anticonformismo apportatori di trasformazioni sociali. Quindi la società è in parte predeterminata, ma in parte scaturisce dall’interazione tra i soggetti (Durkeim, 1971; Ribolzi, 1993; Spadolini, 2007).

2.2.2 M. Weber

Per comprendere una struttura sociale bisogna partire dalla struttura dei significati che stanno alla base delle azioni degli individui, degli stati o schemi mentali interni che condizionano l’interpretazione delle azioni umane, da considerare in relazione al contesto di riferimento. L’uomo è in grado di produrre e mantenere il suo universo sociale che diventa reale solo quando ne diviene consapevole e intenzionalmente lo modifica. L’azione sociale comprende sia l’aspetto soggettivo che strutturale (Ribolzi, 1993; Weber, 1961).

Per comprendere il sistema scuola si deve prima comprendere il significato soggettivo che studenti e insegnanti attribuiscono alle azioni che quotidianamente vi compiono e poi comparare i diversi sistemi scolastici presenti nelle varie società che si susseguono nel tempo, per poter passare da una spiegazione storica (individualizzata e casuale) ad una sociologica (standardizzata e basata su tipi ideali). Esiste un nesso molto stretto tra la struttura sociale e le forme assunte dal sistema educativo, il quale a sua volta è connesso con quelle di potere. Il potere è il collegamento tra l’azione sociale e la struttura burocratica delle organizzazioni e ad ogni tipo di potere (legale, tradizionale e carismatico) corrisponde un tipo ideale di educazione. Il modello di potere tipico delle organizzazioni moderne, caratterizzate dalla scuola di massa, è quello legale, che assegna maggior peso all’istruzione e in cui l’amministrazione burocratica (ruolo centrale) esercita il potere in virtù del sapere (carattere razionale), perché la conoscenza è una delle aree dell’attività umana che più si presta alla burocratizzazione (Spadolini 2007; 2013; Weber, 2014).

2.2.3 T. Parsons

La teoria struttural-funzionalista spiega i rapporti tra l’educazione e la struttura sociale secondo una prospettiva organica, che implica una correlazione funzionale tra le

diverse istituzioni che compongono il sistema sociale generale. Distingue tre sistemi: sociale, culturale e della personalità, autonomi, correlati e non gerarchizzabili, ciascuno con una propria organizzazione relativamente indipendente e oggetto di studio delle tre scienze umane: sociologia, antropologia e psicologia, che insieme costituiscono la scienza dell’azione (Parsons, 1965; Ravaglioli, 2010).

L’azione sociale nasce dall’interscambio e dal compromesso tra gli obiettivi dei tre sistemi e la complessità dell’ambiente ed è definita come il modo in cui l’attore si relaziona all’oggetto, fissa uno scopo inquadrato in una situazione, con un orientamento normativo e valoriale che avviene nella socializzazione e origina il complesso delle motivazioni (Parsons, 1962). La società è un tipo particolare di sistema sociale, perché raggiunge il massimo livello di autosufficienza in relazione all’ambiente, si basa su di un sistema istituzionalizzato di valori legittimi e condivisi da tutti i membri, grazie al processo di socializzazione e interiorizzazione favorito da specifiche agenzie (famiglia, scuola) che rendono i singoli capaci di relazionarsi al sistema sociale e svolgere le azioni attese dal ruolo in esso assunto. La scuola ha la funzione di selezionare le persone in base alle capacità che possiedono e assegnarle ai ruoli più idonei secondo le competenze maturate. Poiché l’uguaglianza delle opportunità è impossibile da concretizzare, il procedimento selettivo e meritocratico della scuola serve per allocare le persone all’interno dei ruoli ma anche per mantenere la condizione di disuguaglianza sociale. L’insuccesso in questo ambito dipende o da fattori interni all’organizzazione scolastica oppure da un rapporto disfunzionale con gli altri sistemi (Ravaglioli, 2010; Ribolzi, 1993).

La scuola è, dopo la famiglia, il fulcro del sistema integrativo e la socializzazione il tramite dello sviluppo delle attitudini e capacità individuali, alla base dell’assunzione del ruolo futuro (Parsons, 1974). La scuola riproduce i valori e le strutture della società e persegue il principio della prestazione e del successo in base alla riuscita individuale (achievement). In quanto istituzione educativa, la scuola ha una struttura che funziona secondo le regole basilari di ogni sistema sociale, segue una logica economica di tipo input-output per rispondere alle richieste del sistema occupazionale, ignora l’elemento volontaristico dell’azione sociale e trascura gli aspetti individuali (Spadolini, 2007; 2013).

2.2.4 N. Luhmann

Nella sua teoria sistemica, la società è intesa come un insieme di sistemi logici e sociali integrati, autoreferenziale in quanto costituisce da sé gli elementi di cui è composto e autopoietico, perché in grado di riflettere sui propri scopi e modificarli, dando luogo a processi di differenziazione strutturale (Luhmann & Schorr, 1988; Ravaglioli, 2010).

L’indagine storica in prospettiva evoluzionistica ha evidenziato la differenziazione del sistema educativo dal sistema sociale e dagli altri sottosistemi (familiare, economico, scientifico, politico, ecc.). Con l’età moderna è avvenuta la separazione tra la scuola che insegna, guidata dalle routines e ispirata alla tradizione, e la struttura riflessiva costituita da esperti che tematizzano e problematizzano l’insegnamento. La differenziazione tra la pratica e la teoria è tipica dell’evoluzione di un sistema: la teoria emerge dalla pratica, dalla quale si esonera ma con la quale mantiene un rapporto con il riformismo pedagogico. Si genera il problema dell’equilibrio tra le due parti del sistema ed emerge il bisogno di riflessione per comprendere ciò che accade (Luhmann & Schorr, 1988; Spadolini, 2013).

Le ‘formule di contingenza’ sono dei concetti che spiegano l’evoluzione pedagogica occidentale e il processo di differenziazione funzionale che caratterizza il mutamento delle istituzioni e si traduce nel mondo simbolico. Sono formulazioni delle funzioni esperite, che assegnano significato alle pratiche educative; sono prestazioni di riflessione che fanno riferimento alla funzione e controllano il rapporto tra funzione, prestazione e riflessione, per cui richiedono la riflessione anche sulla riflessione. Le formule che simbolicamente rappresentano le modificazioni avvenute nei secoli della modernizzazione educativa, sono: perfezione, formazione e capacità di apprendere. Il sistema educativo si relaziona con l’ambiente esterno ma non è in grado di padroneggiare interamente la realtà esterna, né la riflette pedissequamente, poiché è un sistema autoreferenziale che prende dall’esterno ciò che è alla portata della propria capacità selettiva (Ibidem).

La modernizzazione ha trasformato l’ambiente del sistema scolastico e ha imposto il paradigma della formazione alla cultura pedagogica. Mentre l’educazione è rivolta allo sviluppo della personalità, la formazione enfatizza l’integrazione della personalità nell’ambiente, secondo una prospettiva più pragmatica (e funzionalista). Ne consegue

che le conoscenze selezionate per il curricolo scolastico tendono ad essere strumentali e il sapere pedagogico si sposta dal terreno filosofico verso quello cognitivo e delle scienze empiriche (sociologia soprattutto) (Ibidem).

La modernizzazione è coincisa con lo sviluppo delle istituzioni, che modellano il comportamento umano in base alle esigenze sociali, mediante un processo di sviluppo adattivo mediato dalle ‘organizzazioni’. La modernizzazione coincide con lo sviluppo delle organizzazioni e anche i problemi dell’educazione sono esaminati sotto l’aspetto organizzativo. Il sistema educativo definisce la propria funzione sulla base dei riferimenti al sapere scientifico, ai valori e alla forma organizzativa, che sono i canali di collegamento con la società o le sue esteriorizzazioni, ossia la selezione che il sistema educativo compie riguardo alla complessità degli elementi che costituiscono il suo ambiente. In questa prospettiva, anche la personalità è un sistema da cui discende il problema del rapporto tra sistema educativo e personalità (Ibidem).

In generale, le finalità di un’organizzazione coincidono con la soddisfazione dell’utenza e per quanto riguarda il sistema educativo, comprendono non soltanto il successo dell’insegnamento-apprendimento, ma anche la redditività del titolo di studio, le opportunità di lavoro e di carriera che offre e la certificazione delle competenze acquisite, adeguate alle attuali esigenze professionali.

La dimensione istituzionale è però intrinseca all’organizzazione scolastica e pertanto sottoposta a forme di controllo che possono variare e comprendere incentivi alla produzione, perché rendono immediatamente tangibili i risultati e possibile incrementarli attraverso ricompense materiali per le prestazioni. Le organizzazioni educative generalmente seguono criteri di controllo più di tipo normativo, per cui gli attori scolastici interiorizzano i valori dell’organizzazione che sono istituzionalizzati e che tendono a coincidere con la vocazione, la dedizione e perfino l’amore, valori che l’etica pedagogica ha costantemente esaltato. A motivo della struttura organizzativa della scuola, i risultati non sono standardizzati, perché esistono delle variabili individuali ineliminabili e il cui dinamismo non è chiaramente e totalmente controllabile. Inoltre, la scuola si caratterizza come un’organizzazione i cui legami tra i suoi operatori sono deboli. L’innovazione è percepita come un pericolo che porta alla disintegrazione e disaggregazione, creando disorientamento e nei momenti di crisi si cercano dei punti di riferimento nelle tradizioni, come il ruolo e l’identità (Ibidem).

2.2.5 Il Capitale umano

Negli anni ’60 alcuni economisti hanno esaminato il valore del titolo di studio e delle opportunità di lavoro che potenzialmente offre, nell’ambito dell’analisi del rapporto tra sistemi e processi di istruzione, conseguimento dei titoli e crescita della produttività di un Paese, al fine di determinare la quota ottimale di spesa sociale da destinare all’istruzione. E’ una teoria che considera l’educazione come un vantaggio e l’organizzazione educativa la struttura che eroga il servizio e le qualificazioni. I titoli di studio sono valutati al pari di un ‘capitale’ accumulato nel percorso di studi e da investire per acquisire altri vantaggi sociali (professione, reddito, prestigio, potere) (Crema e Vittadini, 2006; Ribolzi, 1993; Spadolini, 2013).

Il prolungamento della scolarità è visto sotto due prospettive: come consumo, quando il raggiungimento dei livelli più elevati produce un vantaggio, al di là dell’aspetto economico; come bene di investimento, perché accresce la possibilità di produrre beni economici ed è possibile misurare il contributo alla crescita economica (saggio di rendimento dell’investimento in capitale umano). Nell’ottica degli economisti la motivazione centrale è il reddito atteso, perché i lavoratori più istruiti si aspettano e di fatto ricevono retribuzioni più elevate, in quanto sono più produttivi o sono ritenuti tali dagli imprenditori. Gli individui sono così incentivati a studiare per migliorare le loro prospettive occupazionali e i governi ad investire in istruzione, perché una società più istruita consegue rapidamente un più alto grado di sviluppo generale. Le abilità si acquisiscono mediante l’educazione formale e informale, l’esperienza e la mobilità sul mercato del lavoro e poiché queste attività implicano costi e benefici, sono analizzabili come decisioni economiche, pubbliche o private. Costi e benefici sono intesi non solo in senso economico, ma anche di autorealizzazione, utilità sociale, prestigio, immagine di sé, quindi come valore simbolico dell’istruzione, che è molto più resistente alle modifiche rispetto a quello economico (Ibidem). Le credenziali educative operano da filtri selettivi sul mercato del lavoro, ma il legame tra il titolo di studio e la posizione professionale si è indebolito (De Lillo & Schiezzerotto, 1985).

Questa concezione presuppone che il sistema educativo possa modificare liberamente la quantità e qualità della forza lavoro disponibile, garantendo equilibrio al mercato del lavoro, ma in realtà non è così, perché nei rapporti tra formazione e occupazione entrano in gioco altri fattori di tipo cognitivo e ascrittivi, che rendono la

dinamica più complessa e l’esito meno prevedibile. Inoltre, tali processi comportano alcuni effetti perversi: l’eccesso di offerta di manodopera specializzata causa un sottoutilizzo delle qualifiche dei lavoratori e una traslazione di credenziali formative verso l’alto; la tendenza ad acquisire qualificazioni superiori a quelle richieste dalle mansioni lavorative causa frustrazione, comportamenti ostili sul lavoro, peggioramento dello stato di salute e un calo della produttività legato all’insoddisfazione (Crema e Vittadini, 2006; Ribolzi, 1993; Spadolini, 2013).

2.2.6 R. Collins

Di pensiero neofunzionalista ed esponente delle Teorie del Conflitto, critica le teorie funzionaliste classiche che affermano l’interdipendenza e l’equilibrio tra processo di industrializzazione e qualificazione professionale del lavoro, che a sua volta si basa sulle competenze e presuppone la scolarizzazione di massa. Egli rileva che non esiste una perfetta simmetria tra industrializzazione e alfabetizzazione e che soltanto nel lungo periodo è possibile riscontrare una corrispondenza tra evoluzione del lavoro e scolarizzazione, mentre nei brevi periodi la relazione è discontinua (Collins, 1980; 1992; Ribolzi 1993). E’ appurato il ruolo fondamentale delle credenziali culturali nella stratificazione delle società moderne, ma la crescita della scolarizzazione non è lineare e non è la semplice espressione della pressione socio-economica e tecnologica, poiché obbedisce anche ad una propria dinamica interna, non collegata con l’ambiente esterno. Quindi l’equilibrio e l’omeostasi tra scuola e società non è automatico (Ravaglioli, 2010; Spadolini, 2013).

Negli ultimi decenni si è verificata un’eccedenza di titoli di studio (inflazione) rispetto alla disponibilità di occupazione, così che la sovra-produzione di credenziali culturali ha generato la disoccupazione intellettuale. Inoltre, le competenze tecnico- operative professionali si acquisiscono sul posto di lavoro. La teoria funzionalista ha sovrastimato il ruolo dell’istruzione formale e la sua capacità di applicare realmente la meritocrazia, cioè di far sì che il successo scolastico dipenda dall’impegno morale e dalle qualità intellettuali della persona, indipendentemente dalle condizioni sociali. Il merito viene troppo enfatizzato, quando invece persiste l’ereditarietà della posizione sociale. Nella società agiscono altri fattori non economici e non tecnici in senso stretto, per cui “la scuola è il terreno di lotta per la conquista del prestigio, e quindi della

ricchezza e del potere” (Ravaglioli, 2010, p. 138). L’istruzione ha una funzione pragmatica, cioè l’apprendimento delle competenze in vista della carriera e dello sviluppo socio-economico, che interseca la funzione simbolica della cultura, cioè la produzione e distribuzione dei contrassegni della distinzione sociale, per cui i titoli di studio rappresentano il capitale culturale con il quale i gruppi sociali entrano in competizione e lottano per il potere (Ribolzi 1993).

2.3 Le indagini sociologiche sugli insegnanti

“La scuola è definita un’istituzione formale, in quanto destinata in modo specifico e intenzionale alla trasmissione della cultura e quindi all’educazione e istruzione delle nuove generazioni” (Besozzi, 2006, p. 229), ed ha assunto un ruolo sempre più cardinale nelle società post-moderne poiché ne delinea il profilo, anche degli individui che le abitano. Perciò “La sociologia si occupa di come le scuole sono effettivamente, del perché sono così e delle conseguenze che scaturiscono da ciò che accade nelle scuole” (Brint, 1999, p. 10). L’importanza accordata alle istituzioni scolastiche è data da diversi fattori, tra cui il fatto che “l’istruzione scolastica impegna molto del tempo dei giovani” (Idem, p. 10), da “le ingenti spese che comporta” (Idem, p. 11) e anche perché “Quella degli insegnanti […] è di gran lunga la più ampia categoria di professionisti” (Banks, 1973, p. 25), perciò “I politici e i datori di lavoro sono convinti che l’istruzione trasformi le persone in cittadini migliori e in lavoratori più produttivi” (Brint, 1999, p.

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