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In terapia combinatoria (TC) si somministrano contemporaneamente due o più farmaci allo scopo di ottenere un aumentato effetto terapeutico dalla loro combinazione. Quando si combinano due farmaci è possibile che l’effetto terapeutico sia maggiore, uguale o minore della somma degli effetti dei farmaci presi singolarmente. Se l’effetto è uguale si parla di effetto additivo mentre se è maggiore si parla di effetto sinergico tra i farmaci. Se si ottiene un effetto minore, i farmaci interferiscono negativamente nell’azione reciproca e si parla di effetto antagonista. Il tipo di effetto che si ottiene non dipende solo dalla natura dei farmaci che vengono somministrati ma anche dalle loro dosi. Una combinazione degli stessi farmaci può quindi presentare effetto additivo, sinergico o antagonista a seconda delle quantità assolute e/o relative dei farmaci che la compongono. Dunque, l’individuazione delle combinazioni con effetto sinergico è di fondamentale importanza per la messa a punto di una terapia efficace.

I vantaggi dell’utilizzo di una terapia combinatoria rispetto ad un farmaco singolo sono: - diminuzione degli effetti collaterali

se i farmaci hanno effetto sinergico possono essere somministrate dosi minori, limitando l’insorgenza di effetti collaterali.

- sfruttamento di diversi meccanismi d’azione

è possibile utilizzare farmaci appartenenti a classi diverse (vedi La chemioterapia

antitumorale) che agiscono sfruttando differenti meccanismi d’azione.

- limitazione dell’insorgere di resistenza

la combinazione di farmaci può portare all’eliminazione di tutte le cellule tumorali, evitando la selezione di una popolazione resistente al farmaco, o comunque rallentare l’insorgere della resistenza.

Lo svantaggio principale consiste nella possibilità che gli effetti collaterali di uno o più farmaci risultino potenziati.

5.1.Terapie combinatorie basate sull’uso del cisplatino

Sono state proposte numerose terapie combinatorie basate sull’uso del cisplatino. Questo è dovuto in parte alla necessità di diminuire le dosi del cisplatino per limitarne gli effetti collaterali. D’altra parte, il cisplatino è attivo su un’ampia varietà di tumori ed è stato quindi combinato con i farmaci specifici per ciascun tipo, sia quelli in uso prima dell’introduzione del cisplatino che quelli sviluppati successivamente. Inoltre, sono state proposte combinazioni degli altri chemioterapici a base di platino, in particolare con l’oxaliplatino per la sua attività anche in tumori resistenti al cisplatino.

- Gemcitabina-Cisplatino

E’ una combinazione usata per il trattamento di molti tumori come quello alla vescica, al pancreas, al tratto biliare, alla cervice uterina, alle ovaie, al polmone non a piccole cellule e il mesotelioma ovarico maligno.

- BEP e TPF

Sono due combinazioni del cisplatino con antibiotici. La BEP consiste nell’uso di bleomicina, etoposide e cisplatino ed è usata per il trattamento del cancro alle ovaie e ai testicoli. La TPF invece è una combinazione di docetaxel, cisplatino e 5-FU ed è usata nel trattamento del cancro allo stomaco e del carcinoma a cellule squamose della testa e del collo.

- VIP e VeIP

Sono combinazioni di ifosfamide (agente alchilante) e cisplatino con etoposide (VIP) o vinblastina solfato (VeIP). La prima viene usata solo nel trattamento del cancro ai testicoli mentre la seconda anche in quello alle ovaie.

- Carboplatino-Taxol

Questa combinazione è usata nel trattamento del tumore alle ovaie e al polmone non a piccole cellule.

- Combinazioni con oxaliplatino

Il regime FOLFOX, costituito da acido folinico, 5-FU e oxaliplatino viene usato nel trattamento del cancro al colon-retto o del cancro al pancreas che non risponde al

trattamento con gemcitabina. Aggiungendo irinotecano (inibitore della topoisomerasi I) si ha la combinazione FOLFIRINOX, usata nel trattamento del cancro al pancreas in stadio metastatico. XELOX e CAPOX, combinazioni di oxaliplatino con capecitabina (profarmaco del 5-FU), sono usati nel trattamento del tumore al colon-retto in stadio avanzato.

5.2. Terapia combinatoria con rame

Nella progressione di alcuni tipi di tumori si osserva un aumento dei livelli di rame nel sangue e nei tessuti e un aumento dello stress ossidativo cellulare. Il rame è quindi un possibile target per la terapia antitumorale. Attualmente però vengono applicati due approcci opposti.

Da una parte il rame è noto come promotore dell’angiogenesi ed è stata dimostrata la sua interazione con diversi fattori proangiogenetici (Marzano et al. 2009). Poiché l’angiogenesi è strettamente necessaria per lo sviluppo del tumore (vedi Angiogenesi) è stato proposto l’utilizzo di agenti chelanti per ridurre la quantità di rame nell’organismo. Alcuni di essi si sono dimostrati in grado di inibire l’angiogenesi in vivo (Crowe et al. 2013, Marzano et al. 2009). In un trial clinico in Fase I è stata somministrata trietilentetrammina, un agente chelante del rame, come pretrattamento per una terapia a base di carboplatino. Questa terapia combinatoria ha portato a risultati positivi in un ristretto numero di partecipanti: 1 solo paziente ha mostrato progressione del tumore su 5 pazienti trattati (Fu et al. 2012). Inoltre, il tetratiomolibdato (TM), agente chelante utilizzato nel trattamento del morbo di Wilson, è stato utilizzato in un trial clinico in Fase II nel trattamento del tumore ai reni in stadio avanzato. Dai risultati del trial sembra che l’effetto del TM sia di tipo citostatico ossia di inibizione della proliferazione cellulare e non di riduzione della massa tumorale per induzione di apoptosi (Goodman et al. 2004). Questo limiterebbe il suo uso a quello di agente coadiuvante in combinazione con un agente con attività citotossica. In un altro trial di Fase II, il TM è stato somministrato a 19 pazienti con tumore alla prostata ma non c’è stata una riduzione della progressione della malattia (Henry et al. 2006). L’efficacia antitumorale del TM come agente singolo non è stata ancora dimostrata (Khan and Merajver 2009).

In alcuni casi l’attività anti-angiogenesi deriva dalla formazione di un complesso tra il chelante e il rame presente all’interno delle cellule tumorali che è in grado di inibire il proteasoma e indurre l’apoptosi (Marzano et al. 2009). Questo non è però vero per il TM

o l’acido etilendiamminotetraacetico (EDTA), che pur complessando efficacemente il rame, non possiedono questa attività inibitoria. Sembra quindi che sia necessaria la formazione di un legame meno forte per permettere l’interazione del metallo con i substrati cellulari (Tisato et al. 2010).

D’altra parte la somministrazione di sali di rame, in particolare CuSO4, in concomitanza

con il trattamento con cisplatino si è mostrata in grado di limitare l’insorgere di effetti collaterali (Sorenson and Wangila 2007). Poiché il rame nell’organismo si trova solo legato a proteine o piccole molecole (vedi Trasporto e omeostasi), gli effetti positivi sono imputabili ai complessi di rame che si formano in vivo.