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Terapie, spazi e relazioni nella psichiatria

§1. Controllare per guarire: il richiamo all'ordine dell'alienistica

La figura di Philippe Pinel è indissolubilmente legata al mito del gesto

liberatore del medico-filantropo che sciolse le catene a cui i pazzi erano costretti,

liberandoli dalle condizioni disumane in cui erano tenuti negli asili francesi, come del resto in tutta Europa, ancora nel XVIII secolo. Nella pagine del suo Traité, il padre dell'alienistica ribadisce più volte la necessità di trattare con umanità i pazienti, regolandosi tra "la dolcezza o la fermezza"58 a seconda delle resistenze e delle reazioni di questi senza maltrattarli. Nonostante le esagerazioni di molte ricostruzioni della figura di Pinel come di un filantropo magnanimo, è senza

38 dubbio corretto affermare che la sua gestione dell'ospedale di Bicêtre come della clinica Salpêtrière si iscrisse sotto il segno di una riforma del trattamento degli alienati, riforma che, ben inteso, non significò certamente restituire loro la dignità di persone, ciò che continuò ad accadere nei manicomi in tutta Europa fino a non molto tempo fa non è certo sinonimo di umanità e diritti59. Il gesto liberatore di Pinel significa concretamente togliere le catene - o meglio, alcune, e soltanto ove le condizioni del pazzo sono gestibili - che impedivano agli alienati di "vivere" l'asilo, la riforma del loro trattamento consiste nel progressivo passaggio dalla forma carceraria del manicomio, ove i folli erano tenuti legati e fermi per la maggior parte del tempo in vere e proprie celle, alla forma della caserma che comprende attività differenti anche all'aperto, scandite da orari ben precisi. Rendendo gli alienati liberi di vagare all'interno o nel cortile dell'ospizio, anche se solo ad alcune condizioni ben prefissate, è possibile osservarli, vedere le manifestazioni della loro follia, spiarli quando credono di non esser visti, "la

curabilità della follia è funzione della sua visibilità"60 poiché soltanto sciogliendoli dalle catene per farli uscire dalle celle buie e sordide è possibile indagarli in ogni momento e applicare concretamente l'auspicato "trattamento morale" per guarirli.

La follia si manifesta in una moltitudine di comportamenti abnormi che affliggono la volontà e la razionalità dell'uomo, rendendolo incapace di esercitare correttamente le sue funzioni "morali" secondo ciò che è lecito, come la volontà, la parola, il giudizio. La vita dell'alienato è segnata da un profondo disordine, sia fisico che morale; primo principio del trattamento pineliano è dunque riportare

ordine muovendo anzitutto dalla ritmi di vita affinché influenzino la sua mente

liberandola dal vortice inconsulto della follia. L'azione del manicomio è un'azione riformatrice: abituando l'alienato alle regole rigide dell'asilo è possibile salvarlo dalla sua irragionevole condizione o, almeno, renderlo docile e innocuo. Le parole di Pinel non lasciano dubbi circa il suo indirizzo terapeutico e organizzativo:

Non ci si deve stupire dell'estrema importanza che io attribuisco al mantenimento della calma e dell'ordine in un ospizio di alienati e alle qualità fisiche e morali che esige una sorveglianza di questo tipo, poiché è questa

59 Sul vasto tema del trattamento disumano degli internati, si veda E. Goffman, Asylums. Le

istituzioni totali. La condizione sociale dei malati di mente e di altri internati, 1961.

39 una delle basi fondamentali del trattamento della mania, e poiché senza di essa non si possono ottenere né osservazioni esatte, né una guarigione permanente.61

Attività, pasti e pulizie cadenzate con variazioni stagionali: l'asilo è un vero e proprio mondo parallelo, una realtà artificiale dove regnano regole fisse che "resettano" il folle, riconducendolo alla moralità e alla ragione; il controllo e l'ordine proposti da Pinel sono i cardini di un paradigma che si impone con forza nella psichiatria successiva, anche dopo l'Ottocento.

Al loro ingresso nel manicomio i pazienti vengono spogliati dei loro effetti personali come del proprio statuto di soggetti, divengono oggetti da laboratorio pronti per essere studiati, domati, disciplinati, guariti; sono in esilio dal mondo del commercio umano, sono pericolosi per se stessi o per gli altri, di una pericolosità che sgorga direttamente dalla loro condotta sconsiderata62 o dalla perdita progressiva di ragione. L'azione "morale" del medico e dei sorveglianti del manicomio tenta di ricondurre il pazzo alla ragione perduta e alla sua responsabilità attraverso un insieme di pratiche che agiscono sul corpo e sul suo spirito domandoli. "L'arte di soggiogare e di domare l'alienato"63, come Pinel definisce la sua competenza, è il fulcro stesso del dispositivo manicomiale il quale funziona grazie all'ordine artificiale a cui il malato è sottoposto e grazie al costituirsi della relazione di dominio assoluto del curatore sul curato che si instaura fin dall'ingresso di quest'ultimo nella struttura asilare: l'interrogatorio.

§2. L'interrogatorio

"La pratica o il rituale dell'interrogazione e dell'estorsione della confessione è il procedimento più importante, più costante, e che in ogni caso non è mai cambiato molto all'interno della pratica psichiatrica"64 dichiara Michel Foucault nel suo corso sul potere psichiatrico tenutosi al Collège de France durante l'inverno del

61 P. Pinel, La mania. Trattato medico-filosofico sull'alienazione mentale, op. cit., p. 73.

62 Importante ricordare come molto spesso il folle è il soggetto dalla sessualità libertina o

considerata snaturata, i manicomi affollavano infatti di dissoluti, ninfomani, onanisti, omosessuali. Sulla sessualità come espressione della follia si veda M. Foucault, La volontà di sapere, 1976.

63 P. Pinel, La mania. Trattato medico-filosofico sull'alienazione mentale, op. cit., p. 55.

64 M. Foucault, Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), trad. di M.

40 1973-74; il filosofo francese ha insistito sul significato dell'interrogatorio come "metodo disciplinare"65 operato dal medico sulla vita interiore dell'alienato, in cooperazione con l'ordine e la disciplina della sua vita esteriore, del suo corpo attuato tra le mura del manicomio.

Il significato disciplinare è indubbio, tuttavia non è il solo aspetto: come hanno notato Galzigna66 e Fiorino67, il dialogo è anche e soprattutto lo strumento che il medico ha a disposizione per "penetrare il segreto" dell'alienato, insieme al suo sguardo. Nell'alienistica delle origini la cura morale è una terapia fondata soprattutto sulla relazione interpersonale tra il paziente e lo psichiatra, poiché a questi spetta il compito di persuaderlo, consigliarlo, portarlo a ragionare per dirigere le sue passioni e guarirlo; al tempo stesso tale relazione è necessaria all'alienista per accrescere la sua conoscenza riguardo la mania in generale. Questa relazione si istituisce proprio grazie all'interrogatorio, effettuato al momento dell'ingresso del pazzo nel manicomio: come si fa confessare al criminale il proprio delitto prima di essere rinchiuso in prigione, o come il parroco vuol conoscere il peccato del fedele prima di dettare le opportune pratiche di espiazione e concedere l'assoluzione, il medico rivolge all'alienato questioni riguardanti i suoi sentimenti e le sue passioni affinché possa carpirne i tratti abnormi, verificando che egli non sita mentendo né simulando, riconoscerlo come soggetto da internare e ricostruire la storia della sua follia. Le domande dello psichiatra hanno lo stesso significato indagatore del bisturi dell'anatomopatologo: scandagliare l'internato per riconoscere in lui la presenza del male morale, il suo tipo particolare, la sua gravità, il suo decorso. Ma non solo: l'interrogatorio definisce l'autorità del medico, un'autorità inquisitrice che "produce scosse morali e riduce l'alienato «dans un état opposé et contraire à celui dans lequel il était

avant de recourir à ce moyen»"68 ossia lo riconduce alla ragione dominandolo per

65 M. Foucault, Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), op. cit., p. 208. 66 M. Galzigna, La malattia morale. Alle origini della psichiatria moderna, op. cit., p. 82. 67

V. Fiorino, Spazi del sé. Riflessioni sul "soggetto" attraverso i modelli e le pratiche psichiatriche in Italia tra Ottocento e Novecento, in "Memoria e ricerca", n. 47, settembre- dicembre 2014, pp. 17 ss.

41 guarirlo, come un padre di famiglia reprime le cattive abitudini del figlio, seguendo una metafora cara a Pinel69.

L'interrogatorio è il cardine della psichiatria, dalle origini al suo assetto contemporaneo, nonostante si siano modificati i contenuti e i temi delle questioni; le domande spostano il loro centro di interesse così come cambiano gli obiettivi dei modelli psichiatrici che vanno costituendosi: gli interrogatori di Pinel ed Esquirol hanno come tema i sentimenti e le passioni alterate dell'internato, mentre durante il corso dell'Ottocento le questioni riguardano l'orientamento spazio- temporale70 del malato, come si ritrova nelle cartelle cliniche di Kraepelin e Bleuler e degli archivi manicomiali.

L'interrogatorio kraepeliniano congiunge l'instaurazione del rapporto autoritario tra medico e pazzo con le indagini diagnostiche sui sintomi, ereditando dunque dall'alienistica delle origini lo sguardo e la parola come strumenti clinici fondamentali. Oggetti da scandagliare grazie a domande serrate e standardizzate sono sia lo stato dell'attività psichica del malato, ossia la sua memoria, i caratteri dei sintomi di cui non ha consapevolezza, ad esempio la durata di un tic o di un particolare movimento, i disturbi sensoriali come deliri ed allucinazioni, il suo senso dello spazio e del tempo. Una relazione umana tra due soggetti, per quando incentrata sull'autorità e sul dominio del medico rispetto al paziente, viene trasformata in un'analisi clinica asettica, in cui il malato diviene esclusivamente oggetto da studiare anche attraverso le domande che gli vengono rivolte. Lo psichiatra americano Leston L. Havens in un saggio del 196571 analizza lo stile e il metodo delle lezioni che Kraepelin impartiva ai suoi allievi durante il consueto giro mattutino nella clinica, così somigliante alla ronda nelle caserme, durante il quale ancora oggi si visitano i pazienti e si rivolge loro domande preformate suo sintomi in vista di una diagnosi precisa e di una prognosi concreta. Kraepelin ricopre il ruolo dello "psichiatra modello" che mostra agli allievi come procedere nell'indagine scientifica dell'oggetto in questione, il malato: per quanto ritenga

69 P. Pinel, La mania. Trattato medico-filosofico sull'alienazione mentale, op. cit., p 134.

70 La riflessione sullo spazio e il tempo in psicopatologia sarà centrale nell'alternativa alla

psichiatria riduzionista elaborata da Eugène Minkowski nei suoi capolavori La schizofrenia (1927) e Il tempo vissuto (1933), vi si è dedicata una sezione nel secondo capitolo di questo lavoro di tesi.

71 L.L. Havens, Emil Kraepelin, in "Journal of nervous and mental Diseases", n. 141, 1965, pp. 16-

42 centrali l'analisi e la ricostruzione della storia dei casi clinici, dimostra una completa diffidenza nel prendere in esame le vicende psicologico-emotive delle biografie dei suoi pazienti come possibili cause dei disturbi mentali che li affliggono, nel suo letto d'ospedale, egli non ha nulla a caratterizzarlo se non il suo quadro clinico e alla storia della sua vita si è sostituita la storia della nascita e del decorso dei suoi sintomi: il malato è la sua malattia. "Il contenuto delle comunicazioni e dei comportamenti del paziente interessa meno della loro forma, del loro contorno, della loro cadenza e dell'unità del flusso vitale"72, la storia della persona è subordinata alla storia del quadro clinico e la storia familiare è piuttosto la storia delle patologie dei parenti e dei congiunti che non quella delle relazioni tra questi e il malato e i traumi emotivi che egli racconta sono comunque considerati come effetti della patologia e non come cause.

"Kraepelin è del tutto lontano ad essere un medico compassionevole"73 e l'obiettività del suo metodo completamente rivolto a registrare i sintomi esteriori lo porta a trattare il paziente

come un oggetto osservato, di cui si parlava, lui presente, forse sacrificando delicatezza di sentimenti. Si tratta d'altronde di una pratica comune in medicina: ciò che conta è la malattia che il paziente 'ha preso' o 'ha'. La malattia non è una sua 'colpa', rimane separata dalla sua persona e perciò i commenti su di essa non devono essere presi come 'caso personale'.74

Lo psichiatra può così appoggiarsi su una conoscenza fondata sull'osservazione e la classificazione dei dati, una conoscenza per distacco da cui devono essere esclusi i tentativi di empatia e avvicinamento emotivo al fine di preservare l'oggettività e l'esattezza dei risultati scientifici. Questa Missa solemnis75, come Foucault chiama l'interrogatorio, è un compito che potenzialmente può assolvere

qualsiasi medico con qualsiasi paziente poiché il protocollo cui attenersi

rigidamente è sempre lo stesso. Il paziente viene considerato come un oggetto fino a privarlo della sua personalità e allo psichiatra è richiesto di spogliarsi della sua personalità e delle sue emozioni per ricoprire il ruolo che l'organizzazione

72 L.L. Havens, Emil Kraepelin, in "Journal of nervous and mental Diseases", op. cit. in F.

Mondella, Il concetto di malattia mentale nell'opera di Emil Kraepelin, op. cit. p. 18.

73Ivi, p. 23. 74 Ibidem.

43 manicomiale gli ha destinato, ossia l'inquisitore-scienziato i cui contributi empatici e personali non solo esulano dalle ricerche, ma anzi ne inficerebbero il risultato76.

Eppure, l'interrogatorio è un momento molto particolare, segnato da una grande difficoltà di partenza: esso riguarda istanze che non possono che essere personali e soggettive poiché i sintomi non si presentano mai realmente divisi dalla storia individuale del paziente, ogni caso è un universo a sé; al tempo stesso è proprio a queste istanze che lo psichiatra tenta di dare un ordine, rintracciare cause generali e regolarità affinché si costruisca un tipo, si isoli un morbo e se ne studino le cause ed il decorso.

I quadri clinici costruiti grazie all'osservazione dei sintomi, all'interrogatorio riguardante la storia della malattia e le - spesso troppo poche - evidenze anatomiche sono tentativi di tipizzazione di una molteplicità soggettiva e irripetibile; questo processo attua una semplificazione che non rispecchia il reale. Kraepelin stesso, dopo che le ricerche anatomiche sulle relazioni tra cervello e stati patologici della mente non avevano dato i risultati sperati e dopo il presentarsi di sintomi nuovi a decorso inaspettato che scombinavano le classificazioni tanto faticosamente costruite, è costretto ad ammettere l'incertezza su cui riposa la nosografia:

più volte negli ultimi tempi è stata espressa l'idea che la ricerca clinico- psichiatrica è giunta in un certo senso ad un punto morto. Il procedimento sinora in uso di circoscrivere le forme morbose considerando le cause, i fenomeni clinici del decorso e dell'esito, così come i reperti autoptici, si sarebbe usurato e non potrebbe più soddisfare; si dovrebbero battere perciò nuove vie. E a tali considerazioni non si può negare una certa legittimità.77 La complessità dell'Essere-uomo busse alle porte della psichiatria, nuovi sintomi scombinano le nosografie rendendo estremamente difficile qualsiasi tentativo di generalizzazione del caso specifico.

76 "La 'empatia' è un procedimento del tutto insicuro, che è indispensabile per il contatto umano e

per la ispirazione poetica, ma quale mezzo di indagine può portare alle più grosse illusioni". Cfr. E. Kraepelin, Die Erscheinungsformen des Irreseins, in "Zeitschrift für gesamte Neurologie und Psychiatrie", 1920, 6, p. 5 in F. Mondella, Il concetto di malattia mentale nell'opera di Emil Kraepelin, op. cit., p. 106.

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§3. Il giudizio psichiatrico tra natura e cultura: la scienza del senso comune

Le enormi difficoltà nel costruire un sistema nosografico comprovabile dall'esperienza clinica e dalle evidenze anatomiche ammesse dalla riflessione di Kraepelin non sono ancora state risolte dalla psichiatria. Al contrario delle altre scienze mediche che, per quanto anch'esse possano incontrare "continenti oscuri" e perplessità diagnostiche, riescono a riconoscere con certezza ed evidenze somatiche una determinata patologia, la diagnosi psichiatrica resta nel mondo dell'incertezza. Ancora oggi, le dispute interne ed esterne al mondo psichiatrico circa la validità del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders78 nel determinare malattia, prognosi e terapia rivelano quanto i criteri a disposizione non siano realmente in grado di comprendere tutte le sfumature dei complessi di sintomi che i malati vanno presentando.

La psichiatria, negoziando continuamente i confini del suo campo ora nascondendo una contraddizione, ora servendosene, ha fatto un passo indietro rispetto all'incertezza della nosografia. Da un certo punto di vista, si potrebbe affermare che, per quanto sulle classificazioni diagnostiche siano stati versati fiumi di inchiostro, nella pratica il centro d'interesse imprescindibile per il giudizio psichiatrico non è stabilire quale sia la malattia del paziente bensì se il paziente abbia o meno una malattia, una malattia psichica. Questa considerazione traccia un'irriducibile differenza tra la psichiatria e gli altri rami della medicina: determinare quale malattia ha il paziente è del tutto secondario a stabilire se si è o meno in presenza di un caso di follia.79

Prima dell'analisi, della catalogazione e della comparazione dello stato abnorme ad altri fenomeni precedentemente registrati, prima della diagnosi differenziale, lo psichiatra si avvicina al paziente "non diversamente dal profano"80. Di fronte ad un comportamento in qualche modo "abnorme", che esula dal quotidiano, il profano affronta il dubbio se il soggetto di questi atti sia o meno "pazzo" (si badi bene: pazzo prima di "malato") chiedendosi: "io, al suo posto,

78

D'ora in poi: DSM.

79 Riprendo il problema della diagnosi e del DSM nel terzo capitolo di questo lavoro: cfr. infra, pp.

139 ss.

45 agirei ugualmente?"; e molto spesso si risponde: "no, poiché una persona normale non si comporta così. Questa persona è pazza.". Questo giudizio apparentemente personale ha una natura culturale: è grazie alle norme accettate dalla comunità in cui vive circa il comportamento sociale che il nostro profano risponde negativamente alla domanda "mi comporterei anche io come questa persona?".

Ogni azione, ogni manifestazione che deviano dalla norma socialmente riconosciuta vengono ritenute comportamenti che esulano dalla normalità, il pazzo è dunque un individuo che, in questo mondo bianco o nero, si trova agli antipodi dell'uomo "sano". La norma sociale non è immutabile, il suo essere culturale la rende storicamente costituita: ad ogni epoca il suo criterio di normalità o follia, come dimostra ad esempio la divinizzazione dei grandi digiunatori dal tardo Medioevo fino al XX secolo, ossia fino al riconoscimento dell'anoressia nervosa come disturbo alimentare, al suo ingresso nel mondo della psichiatria.

Il giudizio di sano o malato si declina sempre in base a ciò che si allontana dal comportamento socialmente riconosciuto come normale, un'attitudine bizzarra, strana. Si deve qui sottolineare come questo canone di normalità sia legato a considerazioni del tutto prive di fondamento razionale ed è proprio su questo punto che Binswanger insiste nella presentazione del caso di Ilse81, sua paziente trentanovenne.

La donna, descritta come felicemente sposata anche se non completamente soddisfatta del matrimonio, è figlia di un padre molto egoista che maltratta la moglie, angelica e "di traboccante bontà"82. Sin da bambina, Ilse soffre molto di questa situazione che la rende estremamente nervosa soprattutto perché la piccola nutre un profondo amore per il padre ed è convinta di avere una grande influenza su di lui. Da adulta, assiste un giorno ad una rappresentazione teatrale dell'Amleto che suscita in lei il dovere di agire per salvare la madre dalle violenze del padre, ma anche e soprattutto per salvare quest'ultimo dalla durezza del suo cuore. Durante l'ennesimo litigio furioso tra i genitori, davanti agli occhi del padre Ilse mette la mano destra dentro la stufa ardente per poi porgerla al padre gridandogli: "«Guarda, così ti amo, io!». Mentre compie il suo gesto avverte solo un «dolore

81 L. Binswanger, La follia come storia vissuta e come malattia mentale. Il caso Ilse in L.

Binswanger, Il caso Ellen West e altri saggi, op. cit., pp. 228-60.

46 latente», nonostante si sia procurata un'ustione di terzo grado con conseguente suppurazione"83. Per qualche settimana il gesto sembra aver avuto effetto sul padre, il quale si riserva di maltrattare la moglie per poi ricominciare come di consueto. Ilse viene portata a Bellevue circa un anno dopo il suo gesto in preda a deliri di persecuzione. Rivela agli psichiatri altri particolare sull'episodio dell'ustione dichiarando di averlo fatto per mostrare al padre