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Unità nella competizione.

I partigiani delle Langhe nella prova della guerra

civile

Oggi, una storia della Resistenza ha senso civile unicamente come corpo a corpo. Il corpo a corpo dei personaggi, impegnati a combattersi non soltanto per odio, ma per una diversa idea di umanità, di giustizia, di società. Il corpo a corpo dello storico con loro. Per guardare non a santini né a mostri, ma a figure vere. E per cercare di compiere, insieme alle migliori fra queste, un nuovo passaggio di valori e di memoria587

3.1 Cosa sono le relazioni?

Nella lettura di questa parte dello studio bisognerà tenere presente, oltre al primo capitolo di inquadramento storico generale sulla guerra partigiana nella VI zona, soprattutto quello appena concluso e le considerazioni in esso contenute. In particolare, la comprensione dei rapporti tra formazioni partigiane è affidata a due principali chiavi di lettura, che sono il concetto di «complessità» delle relazioni e la concezione di un loro procedere secondo «fasi».

3.1.1 La “complessità” delle relazioni: due piani, umano e politico

L'addentrarci nei microcosmi di brigata ci ha consentito di comprendere le loro particolarità. Abbiamo altresì potuto osservare come la connotazione ideologica, che è pur presente in tutti i gruppi, non è da far risalire esclusivamente alle direttive di un determinato partito quanto piuttosto alle decisioni particolari dei comandanti o dei comandi periferici. I partiti, nella maggior parte dei casi, concorrono a indirizzare strategicamente lo sviluppo delle brigate o a indicarne la linea in alcuni specifici casi, come ad esempio avviene nella costituzione delle giunte popolari. Nelle scelte tattiche però, le unità partigiane conducono una politica propria (vedi ad esempio il caso di Alba, in cui mentre “Andreis” e “Nanni” non ritengono opportuno partecipare all'azione, il CBG ne rimprovererà l'inerzia). Gruppi isolati inoltre, si trovano fuori da queste dinamiche, e solo a partire dal periodo estivo verranno inquadrate con le conseguenze che abbiamo visto. Le formazioni di “Mauri” poi, che si collocano formalmente dentro il partito liberale, agiscono fuori dalla politica, accogliendo principalmente le direttive dei rappresentanti del comitato militare. Un rapporto, quello

tra ex ufficiali, che non si configura come nel «vecchio» esercito secondo lo schema “ordine-esecuzione”, ma che vede emergere una certa autonomia di scelta tra gli stessi comandanti delle formazioni militari. È il caso di “Otello”, che alza la voce per non essere stato informato a proposito della nomina di “Barbato” al comando della VIII zona

perché i nostri superiori diretti non ci hanno messi al corrente di quanto si stava facendo in un campo così delicato [...]? [...] tutti noi [soldati della VI divisione, NdA] siamo sempre pronti a dare tutto il nostro contributo alla Causa alla quale abbiamo votata la nostra vita, ma in tutte le questioni che riguardano le nostre presenti e future desideriamo per lo meno di essere interpellati come gli altri. [...] [ai superiori militari] chiediamo tutto l'appoggio che ci possono dare e che ci è necessario specie in questo momento conclusivo nel quale si sta per gettare le basi di quello che sarà domani il nuovo esercito nazionale588

Ogni formazione non è quindi riconducibile a uno schema o a un assioma che ne spieghi il comportamento in base alla propria appartenenza. In ognuna di esse si distinguono gradi diversi di senso di appartenenza al gruppo, di politicizzazione e di coerenza alle disposizioni del comando superiore, che contribuiscono a disegnare un quadro variegato e composito per ogni formazione.

Nel corso di questo capitolo avremo modo di osservare più da vicino la “complessità” dei rapporti tra le formazioni; una formula che non significa difficoltà nel comprenderli, quanto invece suggerisce la molteplicità dei soggetti che vi sono implicati (organismi, persone) e la varietà della struttura delle relazioni, dato che queste non si configurano solo nell'ambito di soggetti diversi tra loro (per es. tra autonomi e garibaldini) ma assumono importanza anche quando sono stabilite tra soggetti del medesimo gruppo (si vedrà a questo proposito il rapporto tra Piero Cosa e “Mauri”) o tra base e vertice. Nel nostro caso, parleremo più facilmente di relazioni tra i garibaldini di “Nanni” e gli autonomi di “Mauri”, volendo con ciò insistere sulla specifica denotazione che assumono le formazioni a seconda della loro appartenenza divisionale e del comandante che le guida.

3.1.2 Le fasi dei rapporti tra formazioni nelle Langhe

Lo scenario dei rapporti ci ha consentito di analizzare lo sviluppo delle formazioni e d'individuare le fasi del loro interagire; quest'ultimo determinato dai più diversi fattori, sia di origine esterna che interna alle brigate.

588 “Comunicazione di Otello al generale Nito”, 28.2.45 in G. Perona (a cura di), Formazioni autonome,

Il primo dato da considerare è di ordine temporale. Le relazioni tra formazioni partigiane nelle Langhe prendono infatti avvio solo a cominciare dalla primavera del '44. Ciò non è da ricondurre esclusivamente ai processi di espansione del movimento che “costringono” a instaurare un rapporto con gli altri gruppi. Esso è invece più semplicemente determinato dal fatto che tra la fine di marzo e l'inizio di aprile le bande di “Mauri” del cuneese occidentale si spostano nelle Langhe, dove contemporaneamente giunge anche Giovanni Latilla, inviato da “Barbato” per organizzare nella zona i nuclei comunisti che si stanno formando su iniziativa di vecchi militanti del luogo, tra cui Ettore Vercellone “Prut” e Celestino Ombra “Tino”. La necessità di spostarsi in aree più adatte alla guerriglia partigiana e di aumentare il numero di combattenti fanno propendere sia “Mauri” che “Barbato” – probabilmente due tra i militari con maggiore esperienza – di concentrare la loro azione nella medesima area. Lo spostamento si verifica in un momento di forte crisi per le prime bande, che escono disintegrate dal primo inverno a causa dei rastrellamenti. E questo ci fa anche riflettere sul valore che assume il nuovo scenario delle Langhe per molti di quei partigiani che erano fortunosamente scampati alla cattura o alla fucilazione.

Quelle colline che lentamente scendono su Alba sono il contesto della riorganizzazione

primaverile delle bande. Questo periodo, che sembra preannunciare la sconfitta del

nazifascismo, è certamente pieno di entusiasmi e carico di una nuova consapevolezza: che l'azione di difesa è finita. Complice la ripresa dei lanci – documenti maurini lo certificano –589 e l'ingresso di nuove forze, nuclei reduci dall'inverno occupano paesi e

colline stabilendo presidi da dove lanciare attacchi e sortite alle pattuglie repubblicane. Questo processo conduce presto a stabilire un contatto con gli altri gruppi, che non sempre si avvia nel migliore dei modi. Si tentano i primi accordi per stabilire zone di giurisdizione, in cui i rispettivi comandi esercitano i propri diritti di requisizione, reclutamento e mantenimento dell'ordine. I torrenti, i piccoli paesi, diventano i punti di riferimento della nuova geografia amministrativa partigiana, ponendo pertanto le basi per una pacifica convivenza prima che l'espansione numerica del movimento e la politica di inquadramento delle bande rimetta tutto in discussione.

Il periodo degli accordi informali, in cui certo non manca la competizione, segna un passaggio nella storia dei rapporti tra formazioni, ma mostra anche le sue debolezze e i suoi limiti, poiché nella fase successiva, quella propriamente estiva, quegli stessi

accordi verranno riposti in un cassetto e totalmente elusi. Nella definizione dei rapporti poi, interviene anche il CG che, costituitosi in giugno, dispone una rapida anagrafe dei gruppi esistenti e tenta di definire le zone operative di tutto il nord Italia. Non solo. Le direttive dai comandi centrali sono chiare: ogni unità deve inquadrarsi in una formazione riconosciuta dal CLN. Questa circostanza, che permette di regolarizzare e di strutturare l'intero “esercito partigiano”, crea nello stesso tempo un ulteriore fattore di conflitto, poiché tutte le bande non ancora inquadrate presentano particolarità a livello geografico e giurisdizionale che il CG non è in grado di considerare, lasciando allo «spirito di collaborazione» dei comandi la risoluzione di eventuali contese a livello locale.

La fase estiva, che è densa di avvenimenti, di processi e di problematiche – la cui trattazione lasceremo alle pagine che seguono – si conclude con un tentativo di compromesso tra le forze partigiane in campo, che effettivamente viene raggiunto (accordi tra “Mauri” e Latilla del 28 ottobre '44). Ciò non vale però a stemperare gli ultimi mesi di guerra, in cui la creazione dei comandi unici di zona, l'arrivo delle missioni alleate e l'ingresso di nuove formazioni, i GL, nelle Langhe contribuiranno a sconvolgere nuovamente gli assetti organizzativi e gli equilibri politici cercati e infine stabiliti con la fine dell'estate.

3.2 La “scoperta” dell'altro e lo spazio conteso

I primi contatti tra autonomi e garibaldini nelle Langhe sono da far risalire tra l'ultima settimana di aprile e la prima di maggio del 1944, quando il commissario politico delle Garibaldi, Luigi Capriolo, si presenta al comando di “Mauri” con il nome di “Sulis” definendosi – secondo quanto riporta una relazione di Renato Testori – «commissario politico delle Langhe per incarico del CLN», dichiarando inoltre di dipendere da “Barbato” e di «appartenere alla Brg. Garibaldi».590 Rifiutata l'offerta di Sulis «di

rimanere presso la banda in qualità di commissario politico», “Mauri” lo allontana dalla zona senza stabilire eventuali accordi di cooperazione con i garibaldini confinanti. Di certo il maggiore non aveva apprezzato il desiderio di Sulis di “fare propaganda” nelle sue formazioni. L'allontanamento del commissario garibaldino è quindi determinato da ragioni politiche: “Mauri” – come abbiamo visto – non vuole commissari nelle sue unità.591

I contatti successivi non migliorano molto. Anzi. Nella seconda metà di maggio, un ufficiale maurino, il cap. Stefano De Marchi, denuncia due azioni di disarmo compiute da partigiani garibaldini che operano nelle Langhe592 a danno di alcuni partigiani

autonomi dipendenti da Piero Cosa e da “Mauri”.593 Questi disarmi sono, molto

probabilmente, compiuti a scopo cautelativo, come spesso avviene nel primo periodo di contatto tra bande che non si conoscono. Nelle Langhe è ancora vivo infatti il ricordo dei disastri causati al movimento dal sedicente partigiano “capitano Davide”, che era quasi riuscito a distruggere i gruppi di Rocca e di “Poli”,594 o dai tragici equivoci che

avevano portato alla cattura di un gruppo di partigiani savonesi di ispirazione comunista, parte dei quali finiranno in campo di concentramento in Germania e quattro di loro giustiziati a Cairo Montenotte, in provincia di Savona, nel gennaio 1944.595

590 “Magg. Mauri”, Renato Testori, Cuneo, 9.5.44 in AISRP, A LRT 1/1; anche in G. Perona (a cura di),

Formazioni autonome, cit., doc. 3 “Relazione del Delegato del CLN sulla situazione delle formazioni

Mauri”, p. 343

591 È escluso che “Sulis” sia stato allontanato per ragioni cautelative. Il commissario garibaldino infatti –

secondo quanto riportato dalla relazione di Testori qui sopra – era indicato come «persona sicura dal Ten. Gigi», già in contatto con “Mauri” in val Casotto e comandante di una banda nelle Langhe agli ordini di “Barbato”. Il maggiore quindi conosceva l'identità di chi aveva di fronte, tanto più che Sulis non viene trattenuto presso il comando di “Mauri” per eventuali accertamenti.

592 Si tratta dei nuclei che proprio da metà maggio vanno a costituire la 16ª e la 48ª brigata.

593 “Relazione sull'attività dei patrioti nella zona della [sic] Langhe”, Cap. Stefano De Marchi al CLN-

Torino e al magg. “Sergio Mauri”, 25.5.44_1° di liberazione in AISRP, B AUT/mb 1 i; anche in G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., doc. 4 “Relazione sull'attività dei patrioti nella zona Alba-Bra”, p. 344

594 Si veda primo capitolo di questo studio, p. 28 nota 179, e indicazioni bibliografiche in essa contenute 595 La vigilia di Natale del 1943, il “colonnello Rossi”, ten. col. Paolo Ceschi, comandante del primo

D'altra parte, anche per evitare equivoci di questo tipo, il CBG per il Piemonte emana una circolare in cui spiega le modalità con cui «regolarizzare» la posizione di elementi non conosciuti dai comandi.596

Il comando della I divisione Garibaldi, da cui dipende il gruppo di Latilla nelle Langhe, riceve notizia delle problematiche relative ai rapporti con i confinanti gruppi autonomi e ritiene quindi di dover intervenire. “Barbato”, in una relazione del 25 maggio, scrive

Si rende [...] necessario anche qui [nelle Langhe, NdA] una definizione del caso Mauri, sul quale esiste un ampio rapporto del commissario politico di brigata, compagno Sulis597

Salta sicuramente agli occhi l'«anche qui», considerato che il documento è del maggio e i gruppi garibaldini hanno avuto poco a che fare con gli uomini di “Mauri”, almeno nelle Langhe. Probabilmente, “Barbato” si riferisce ad altri episodi precedenti in cui era già emersa la problematica di stabilire cordiali rapporti di vicinato con le formazioni maurine.

Queste prime relazioni, a partire da quella di Testori di inizio maggio, mettono da sé in luce i protagonisti principali del confronto politico e personale che si prospetta all'interno del movimento partigiano in Langa. Non si tratta però di un “semplice” rapporto tra «autonomi» e «garibaldini», quanto invece quello più complesso tra settore cuneese, ordina ai suoi uomini di catturare una «banda di razziatori» giunta dalla Liguria e in quel momento posizionata a S. Giacomo di Roburent. Secondo quanto riportato nelle memorie di Italo Cordero, partigiano autonomo della val Casotto, il gruppo, composto da una quarantina di uomini, non sembrava affatto una banda di criminali, come aveva sostenuto Rossi: «Fu durante quest'operazione [l'irruzione all'albergo nazionale di San Giacomo, NdA] che incominciai a dubitare che fossimo coinvolti in un brutto equivoco. Infatti i malcapitati protestavano di essere partigiani come noi e uno di loro – sentii che lo chiamavano Sambolino e m'accorsi che era considerato il loro capo – cercava di spiegare che erano partigiani comunisti». Resosi conto dell'errore commesso, Cordero tenta di rimediare, ma purtroppo dei due camion che trasportano i partigiani fatti prigionieri riesce a fermarne solo uno. L'altro giunge alla stazione dei carabinieri, che consegnano i partigiani savonesi ai tedeschi di Cuneo, in I. Cordero, Ribelle. Esperienze di vita partigiana dalla Val Casotto alle Langhe, Fracchia, Mondovì, 1991, pp. 52-55. Un'altra versione viene offerta da M. Grandi in La relazione

sull'attività del Gruppo divisioni autonome «Mauri» (settembre 1943 – aprile 1945), Editrice Ipotesi,

1979, p. 5, secondo il quale l'episodio di San Giacomo di Roburent è da far rientrare in quella strategia del «doppio gioco» introdotta dal «sedicente tenente Taranti [Giorgio, NdA]», e avallata dal col. Rossi, che prevedeva di simulare un'adesione alla RSI e nello stesso tempo continuare a «servire la Causa». I partigiani liguri, secondo questa analisi, sarebbero stati sacrificati per comprare la fiducia dei tedeschi. Per il «doppiogiochismo» del tenente Taranti si veda anche G. Perona (a cura di),

Formazioni autonome, cit., doc. 1 “Relazione sull'attività operativa del mese di novembre 1943”, pp.

333-335

596 G. Carocci, G. Grassi (a cura di), Le Brigate Garibaldi, Vol. I, cit., doc. 137 “La Delegazione per il

Piemonte al CLN del Piemonte”, 31.5.44, p. 433

597 G. Carocci, G. Grassi (a cura di), Le Brigate Garibaldi, Vol. I, cit., doc. 135 “Relazione dell'ispettore

B. sulla 1ª divisione Piemonte”, 25.5.44, p. 430. Del rapporto di “Sulis” sul «caso Mauri» non abbiamo copia. “Barbato”, in una successiva relazione sulle Langhe, sosterrà che il rapporto di “Sulis” descriveva una situazione più negativa di quella effettivamente esistente.

partigiani di “Mauri” e partigiani di Latilla-“Barbato”. Lo dimostrano gli stessi contenuti delle relazioni compilate dai comandi. La definizione del «caso Mauri» invocata da “Barbato” è spia infatti di una caratterizzazione personalistica delle unità guidate dal maggiore. Più che autonomi, raramente badogliani, i partigiani del futuro 1° GDA verrano comunemente indicati con gli appellativi «uomini di Mauri», «Maurini» o «autonomi di Mauri», quasi a marcarne una differenza rispetto ai semplici gruppi «a carattere militare».598

La strada indicata da “Barbato” sembra produrre soddisfacenti risultati. Oltre un mese dopo quel primo incontro di “Sulis” con “Mauri”, nonostante gli episodi di disarmo denunciati da De Marchi, “Nanni” «era riuscito a stabilire [con “Mauri”] dei buoni rapporti, una delimitazione di zona di controllo ed anche una certa cooperazione tattica».599 Si tratta però di accordi informali, che non permettono una effettiva

cooperazione e che – le vicende successive lo dimostreranno – lasciano aperte diverse questioni di ordine pratico; inoltre, manca ancora l'elemento di maggiore coesione, la fiducia reciproca, la cui assenza è la principale ragione che incrina le relazioni tra i due gruppi nelle settimane seguenti.

All'inizio di giugno infatti, un altro incidente rimette in discussione i fragili accordi da poco stabiliti. Un caposquadra garibaldino, “Mario”, spara per errore contro un gruppo di partigiani autonomi, ferendone otto.600 Tra i feriti è anche Eugenio lo slavo,

comandante del distaccamento “Islafran” che nel giugno fa parte della 16ª brigata Garibaldi.601 Altri episodi non fanno che peggiorare i rapporti. Nelle prime settimane di

giugno “Mauri” denuncia comportamenti scorretti da parte dei garibaldini. In particolare, il maggiore scrive di aver invitato “Nanni” a compiere azioni in comune ma, nonostante gli accordi di cooperazione tattica raggiunti a fine maggio, di aver ricevuto solo risposte negative.602 Inoltre – sempre secondo il maggiore – i garibaldini di Latilla

598 Nelle relazioni maurine vi è in verità una percezione, almeno per il periodo iniziale dei rapporti, più

stereotipata, tanto è vero che lo stesso De Marchi e il capitano Della Rocca nelle loro relazioni di maggio e giugno designano i garibaldini con l'epiteto di «comunisti della zona».

599 G. Nisticò (a cura di), Le Brigate Garibaldi, Vol. II, cit., doc. 165 “Il comandante della 1ª divisione

Piemonte, Barbato, 'ai compagni responsabili' della Delegazione per il Piemonte”, 24.6.44, p. 65

600 Sette di questi sono agli ordini di “Mauri”. Nella sua relazione del 12 giugno, “Mauri”, a proposito

dell'episodio, riferisce che «il sedicente maresciallo Mario, ex Carabiniere, ha teso un'imboscata ad un autocarro carico dei miei uomini che si recavano per un'azione, e ne feriva gravemente sei», “Relazione sulle azioni svolte il giorno 11 Giugno 1944”, magg. “Sergio Mauri”, 12.6.44 in AISRP, B 45 b

601 “Il comandante della 1ª divisione Piemonte, Barbato, 'ai compagni responsabili' della Delegazione per

il Piemonte”, 24.6.44 in G. Nisticò (a cura di), Le Brigate Garibaldi, Vol. II, cit., doc. 165, p. 65

avrebbero

sulla piazza di Murazzano, lacerato un tricolore di cui erano in possesso, e inalberato il rosso su di un loro autocarro, mentre il verde e il bianco venivano con scherno offerti ad alcuni miei uomini603

Questi episodi restituiscono un contesto problematico dal punto di vista dei rapporti tra “Nanni” e “Mauri”; l'incidente di “Mario” contribuisce a peggiorare il clima e a generare inoltre «un'atmosfera di sfiducia e di diffidenza». Il comandante autonomo, convinto della volontarietà dell'atto,604 richiede a “Nanni” la consegna di “Mario” per

fucilarlo.605 Ancora una volta l'intervento di “Barbato”, in visita presso le brigate

garibaldine langarole, calma le acque. Il comandante della I divisione conosce il carattere di “Mauri” e sa di dover recarsi di persona per chiarire il brutto equivoco: convince quindi “Mario” a seguirlo al comando maurino accompagnato da Eugenio, il partigiano ferito nell'incidente di Dogliani. Giunti da “Mauri”, “Barbato” capisce subito di aver fatto la scelta giusta nel portare con sé il caposquadra garibaldino. Il maggiore infatti, apprezzando il coraggio di “Mario”, accetta le sue scuse e, in accordo con i comandanti garibaldini, decide di non punirlo severamente, ma come unico provvedimento il caposquadra viene posto sotto il comando di Eugenio del distaccamento Islafran. “Barbato” sembra vedere nella serenità di “Mauri” un buon auspicio per il futuro dei loro rapporti.606 La conclusione di questo secondo accordo

informale infatti, permette di rasserenare un contesto che rischiava di irrigidire definitivamente le relazioni tra i due gruppi.

Quelli tra “Mauri” e “Barbato” sembrano aprire la strada ad altri accordi informali tra comandanti garibaldini e autonomi, un'opzione tra l'altro che si rende sempre più necessaria a seguito dell'espansione territoriale dei rispettivi gruppi. Il fenomeno della cosiddetta pianurizzazione mette in contatto quelle bande che precedentemente, in particolare nel periodo dei rastrellamenti, si erano “arroccate” in zone collinari o in “Mauri” scrive di aver «richiesto anche il concorso della Banda del Ten. “Nanni” dislocata nella valle del Belbo, ma l'invito è stato declinato colla scusa di non avere armamento adeguato e sufficiente. Ho proposto allora di effettuare azioni di sabotaggio sulle linee di comunicazione ferroviaria e stradali ed ho fornito il materiale occorrente, ma anche questo non è stato fatto», “Relazione sulle azioni svolte il

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