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LE TAVOLE DELLE ARTI E SCIENZE, UNO SPECCHIO DELL’ITALIA DEL XVI SECOLO

§1.3.1 Il warburg-kreis le figure archetipe nel XX secolo

Abbiamo anticipato in precedenza che le figure presenti nel manoscritto genovese rappresentano una fonte storica di straordinaria ricchezza. Nelle pagine seguenti cercheremo di delineare le implicazioni storiche, culturali, artistiche, religiose che icone come quelle del Camillo portano con sè.

Il primo ed ovvio riferimento per iniziare a comprendere meglio queste immagini è la tradizione di studi warburghiani che ha origine nel XX secolo. Warburg ed in seguito la sua kreis hanno infatto dato il via ad un nuovo approccio iconologico nello studio delle immagini che ha portato ed enucleare interessanti filoni di ricerca, fondamentali in particolare per comprendere la dimensione del sincretismo rinascimentale di cui Camillo fa parte.

Aby Warburg, nato ad Amburgo nel 1866, si appassiona presto al Rinascimento italiano e nel 1889 compie il suo primo viaggio a Firenze. Il tema della ninpha è solo il primo dei suoi esercizi di studi iconologici che culmineranno nella sua celebre interpretazione del ciclo di affreschi di Palazzo Schifanoia . 122

Lo scopo di Warburg era, attarverso una ricorstuzione del percorso delle immagini intuire lo sviluppo della conoscenza umana dal pensiero mitico alla razionalità matematica e istituire un rapporto fra astologia e astronomia, religione e scienza.

Sulla base di questa impostazione di studio pluridisciplinare, che metteva in relazione diversi reperti della storicità su un unico piano di ugual valore e reciproci rimandi, Warburg creò una grande biblioteca di studi specializzati. Fu Fritz Saxl, suo sucessore, che decise di trasformarla in un istituto che si proponeva di perseguire gli indirizzi di ricerca di Aby, ossia un centro europeo specializzato nella tradizione classica e nelle sue rielaborazioni.

Gertrude Bing così descrisse la situazione che Saxl si trovò ad affrontare quando prese in mano l’eredità della ricerca di Warburg: “L’influenza dell’antichità classica sull’arte e la letteratura del Rinascimento non poteva più essere considerata un problema formale da quando Warburg l’aveva vista come una ripresa di immagini rispondenti a profondi impulsi religiosi e dotate di una capacità massima di esprimere determinate situazioni psicologico-emotive” . 123

Era infatti chiaro, come sostiene la studiosa Cieri Via , che il problema dello stile dopo Warburg 124

non andava inteso come studio della “pura storia delle forme”; bensì il valore dell’immagine come messaggio estetico e concettuale andava affermato in rapporto alla tradizione culturale di appertenenza e nel confronto con diverse discipline per porsi come documento storico significante di un fenomeno artistico e culturale.

Lo stesso Saxl racconta che il suo lavoro di studioso procedeva “lavorando a dissodare le strisce di terreno che stanno al confine fra la storia dell’arte, la letteratura, la scienza e la religione” . 125

ABY WARBURG, Arte e astrologia nel palazzo Schifanoja di Ferrara, Abscondita, Milano 2006

122

GERTRUDE BING, Ricordo di Fritz Saxl, in La Storia Delle Immagini, Laterza, Bari 2005.

123

CLAUDIA CIERI VIA, Nei dettagli nascosto, Carocci editore, Roma 2015

124

FRITZ SAXL, Le ragioni della storia dell’arte, in La Storia Delle Immagini, Laterza, Bari 2005. 125

In questa nuova luce interpretativa lo studio della storia dell’arte avanza e riesce a dare nuovi significati alle immagini dell’antichità indagando in particolare la carica allegorica e concettuale latente nelle raffigurazioni astrologiche e mitologiche di cui il Rinascimento è ricco.

Così, gli studi warburghiani hanno fornito solide basi interpretative per molte delle figure presenti nel Theatro di Camillo e soprattutto le hanno storicamente riconnesse in un percorso della cultura simbolica che ne aumenta la portata concettuale.

Non è possibile in questa sede enunciare tutte le figure della classicità studiate al Warburg che si ritrovano riunite nel Theatro e stilizzate proprio nel manoscritto genovese.

Ci basti però intanto informare il lettore, sperando presto di compiere un’esegesi di ciascuna delle circa 200 figure in uno studio dedicato, che un ramo specifico di storici dell’arte del novecento hanno messo a punto una serie di riflessioni e metodologie che gettano nuova luce sulle immagini usate dal Camillo e pertanto ne ricorderemo i tratti salienti.

Un tema cruciale per Warburg fu, proprio come per il Camillo, quello della memoria. La memoria è la facoltà che, come vedremo meglio anche in seguito, più di ogni altra si fonda e si nutre delle immagini.

Ai tempi di Warburg, inoltre, le indagini sulla memoria non rigurdavano solo la sua dimensione cognitiva e personale, ma iniziavano a delineare questa funzione anche dal punto di vista storico e collettivo. Furono di ispirazione per Warburg, così come per Burckhardt che le applicò alle fonti storiche, le teorie di Herald Hering , ma soprattutto le deduzioni portate avanti dal suo alunno 126

Richard Semon. Egli, partendo dalla concezione classica di memoria come una tabula rasa sulla quale rimangono tracce delle emozioni più intense, chiama questi segni engrammi e ritiene che essi preservino l’energia mnemonica, configurandosi come simboli che testimoniano una sopravvivenza di esperienze emotive del passato: “Sono soprattutto le ondate di entusuiasmo religioso nel rituale primitivo e la frenesia dionisiaca a cristallizzarsi simbolicamente in "engrammi" di durevole significato, ma gli engrammi o simboli sono dotati di una carica neutra: solo in contatto con la volontà selettiva di un’epoca la carica si polarizza in una delle interpretazioni che contiene allo stato potenziale.” 127

Questa idea che i simboli, o archetipi, fossero portatori di verità collettive latenti che la mente umana può attivare e storicizzare in nuovi tipi è stata ripresa da molti autori successivi fra i più celebri dei quali annoveriamo Jung ed Ernst Bloch . 128

Warburg su queste convizioni menstiche dà vita ad uno dei suoi più celebri progetti, purtroppo incompiuto forse anche a causa delle sue colossali dimensioni intellettuali, ossia Mnemosyne, o l’Atlante della Memoria. Si trattava di una serie di 40 pannelli che affrontavano i temi cosmologici in chiave scientifica e religiosa, passando dall’epoca babilonese, alla egiziana, fino alla greco- romana.

Questa metodologia ci ricorda immediatamente l’impostazione del Theatro che, come abbiamo detto, per ricostruire i suoi luoghi in una topica cosmologica, accostava fonti scientifiche, mitologiche ed esoteriche ma intrecciava inoltre le diverse tradizioni religiose e culturali.

Il simbolo diventa con Warburg dimensione eminente per comprendere la complessità del passato e la storia delle idee stesse.

Hering fu uno psicologo tedesco che si occupò di fisiologia e divenne celebre per il suo saggio Uber das Gedàchtnis als 126

eine allgemeine Funktion der organisierten Materie (La memoria come funzione generale della materia organizzata). La citazione di Gombrich è tratta da CLAUDIA CIERI VIA, Nei dettagli…, p.59.

127

Bloch effettua una puntuale analisi della latenza dinamica di significato delle figure archetipe nella sua opera Il Principio 128

Wing, altro membro della kreis warburghiana parlava del simbolo come come elemento di polarità fra misticismo e logica, fra superstizione e intelligenza e definiva la memoria come un fenomeno discontinuo che presenta periodici effetti di ritorno: “La memoria che rivive e reinterpreta simboli tradizionali evoca di riflesso o provoca l’azione e di conseguenza periodici effetti di ritorno. Nel momento critico precedente l’azione il simbolo rievocato funziona come modello o come avvertimento, nella pausa del dubbio come uno stimolo o come un freno. Memoria o Mnemosyne è allora il problema filosofico centrale per lo storico dei simboli: non soltanto perchè essa è di per sè l’organo della conoscenza storica, ma perchè essa rappresenta, come fosse, il serbatoio di quei poteri che sono stati lasciati liberi in una data situazione storica.” 129

La memoria custodisce in sè il potere dei simboli e la sua storia collettiva è la storia della manifestazioni discontinue di quei simboli stessi.

Questo stesso concetto è alla base della ricerca scientifica di Rudolf Wittkower che era tesa a delineare il processo di “trasmigrazione dei simboli”.

Egli voleva ricostruire la storia particolare delle principali figure simboliche, ma attraverso una comparazione che abbattesse la visione “centrica europeista” e ritrovasse invece le cirfre comuni con le culture orientali. Lo scopo era studiare la migrazione di forme, poi di concetti e poi di motivi e il problema della ricezione delle civiltà non europee di questi simboli da parte dei paesi europei. Questa stessa tematica fu ripresa ed eleborata anche da Panofsky che ne parla non più in termini di trasmigrazione dei simboli, ma di pseudomorfosi.

Il concetto, che a noi preme dimostrare in questa sede, tuttavia resta che nell’immagine coesiste una tradizione rappresentativa e una letteraria. Queste due tradizioni sono spesso nella storia dissociate tanto che si ritrovano forme simboliche caricate di significati completamente diversi a seconda del contesto culturale di riferimento: ossia i simboli trasmigrano in altre culture rispetto a quelle di origine rivestendosi di nuovi significati. Fra tutti i simboli umani le forme dell’illustrazione mitologico-astrologica, secondo il Warburg kreis, sono quelle che più sono trasmigrate o cambiate perdendo il riferimento all’originario antico ed arrivando ad un processo di separazione fra forma e contenuto. Ad esempio la tradizione astrologica offre in sé infatti un’ampia articolazione nello spazio e nel tempo di diverse culture o di persistenze contenutistiche e variazioni stilistiche che ci permette di individuare linee e modi di trasmissione dell’eredità classica attraverso le immagini. Il Camillo, intelletto umanista che conosceva la classicità, era ben consapevole della polivocità e porosità delle forme astrologiche e mitologiche e non a caso le scelse come universo simbolico di riferimento per il suo Theatro. Quei simboli parlavano di tante epoche e tante culture differenti permettendo al discente del suo teatro un’estensione spaziale e temporale dei concetti che gli restituiva di essi una visione quasi “universale”.

Non a caso infatti un altro discepolo di Warburg, Seznec, ritiene che le pseudomorfosi siano particolarmente visibili soprattutto nel Rinascimento, epoca per eccellenza della rinascita, ma anche della rielaborazione dei motivi classici.

Seznec indaga a fondo circa il motivo della sopravvivenza delle forme classiche nella storia 130

occidentale. Egli, a margine di una lunga serie di riflessioni tratte in parte anche dagli studi di altri membri della cerchia warburghiana come Saxl, esplicita che la sopravvivenza di forme della paganità antica (come la mitologia e l’astrologia) nella cultura cristiana occidentale si è realizzata grazie alle loro pseudomorfosi. Ricostruendo un percorso storico delle trasmigrazioni dei simboli classici egli afferma che durante il Medioevo i corpi degli Dei pagani o dei personaggi mitologici o le personificazioni del mondo astrale sono diventati (spesso stravolti nelle forme) i contenitori inerti

CLAUDIA CIERI VIA, Nei Dettagli…, p.144.

129

La trattazione di Seznec su questo tema è contenuto in La sopravvivenza degli antichi Dei, Bollati Boringhieri, Torino 130

per insegnamenti moralizzanti, salvandosi così dalla distruzione. Questo ha permesso alle antiche divinità di arrivare salve fino alla fioritura rinascimentale durante la quale sono poi giunte a nuova vita.

La cultura umanistica infatti ha operato una riscoperta degli autentici motivi classici, liberandone le forme dal carico di integumenti cristiani sedimentati sopra di loro durante il lungo Medioevo. I “tipi classici” vengono riportati alla luce e si sostituiscono a quelli alterati.

Come vediamo anche in Camillo, lo spirito della rinascita è talmente autentico da non vivere la tensione del conflitto fra il cristianesimo e la paganità, ma anzi le forme arcaiche per un breve lasso storico si fondono armonicamente con la fede in Cristo in una superba sintesi. Tuttavia quando, già dopo la metà del cinquecento l’esaltazione propulsiva della classicità si stempera in eruduzione e freddo interesse archeologico, i dubbi sulla possibile coesistenza etica e culturale di queste due dimensioni tornano a scuotere gli animi umani nella controriforma. Gli dei e i personaggi del popolo olimpico continuano comunque a sfuggire alla morte nascondendosi in nuove forme e in nuove concezioni, attraversando incolumi anche il barocco e l’arcadia fino all’era romantica. Resta da chiarire che cose ne è di loro oggi e se essi siano nascosti e pronti a riemergere in nuove suggestioni; ma questa indagine si riserva ad altre sedi.

Non stupisce affatto quindi che una delle maggiori studiose del Camillo, che per prima lo annovera nella tradizione memotecnica e commenta il progetto del suo teatro, sia Francis Yates, ossia proprio una delle grandi colonne assieme a Gombrich del Warburg-Kreis di seconda generazione.

Nel suo già più volte citato L’Arte della Memoria, la Yates intuisce la portata storica e semantica del progetto camilliano e il valore delle immagini ivi contenute, come porte di una complessa e stratificata sedimentazione culturale.

§1.3.2 La tradizione iconologica delle immagini del Camillo

In un suo celebre testo intitolato “La fede negli astri” Fritz Saxl ci spiega il percorso attraverso cui il complesso sistema stellare disegnato nella culla mesopotamica è giunto fino al rinascimento e cosa esso portava con sè. Saxl parte dall’opera di Franz Boll che aveva identificato una serie di costellezioni affluite nell’astrologia greco-romana denominandola come “sphaera barbarica”. La sfera era fondamentalmente un nucleo di conoscenze astronomiche provenienti dalle popolazioni babilonesi ed egizie. Si trattava di antiche dività planetarie della Babilonia come Nabù e Marduk o le testimonianze contenute nel libro di magia Gayat al-hakim dei Sabei di Harran, popolo siriaco pagano nel quale il culto degli astri è rimasto centrale fino a tarda epoca conservandosi nel suo nucleo originario. Queste fonti sono permeate quindi nel sistema greco antico e poi romano confluendo così nella tradizione occidentale. Basti pensare ad esempio come il libro Gayat costituisca la base del Picatrix dal quale Camillo e moltri altri intelletti rinascimentali traggono ampia ispirazione per le loro concezioni magiche ed alchemiche.

La sfera barbarica dopo essersi introdotta in Grecia viene inglobata nel suo sistema astrologico fino a diventare con esso un corpo unitario; tuttavia la sfera continua ad espandersi e perfezionarsi nei paesi arabi. Dopo Alessandro i Greci vengono nuovamente a stretto contatto con il mondo orientale e nuovamente reintegrano i loro progressi in materia di stelle. Possiamo quindi dire che il filone di conoscenze astronomiche ed astrologiche arabo prosegue su un binario autonomo ma di frequente nella storia del mediterraneo viene a confluire nella tradizione greca e quindi in quella occidentale. E’ circa nel V secolo a.C. che in Grecia si inizia ad associare alle costellazione storie mitologiche, tanto che nel IV Eudosso scrive tratti scientifico-astronomici già con i nomi dei miti classici. Seznec

ci narra che furono i Pitagorici a sostituire alle stelle fisse babilonesi gli dei greci. Questo sistema di rispondenze fra stelle e miti si infittisce progressivamente: nel II-I secolo a.c. Eratostene introduce i catasterismi, ossia associa ad ogni astro una figura mitologica e poco dopo la tradizione araba fa nuovamente ingresso nella cosmologia greca portandovi il sistema dei decani egizi (come vedremo si tratta dei paranatellonta). Teucro nel I secolo a.c. fa una “fotografia” di questo cosmo così composito che viene detta appunto “sphera barbarica”.

Tutte queste conoscenze astrali vengono esportate poi nell’antica Roma e, nonostante alcuni Padri della Chiesa come Paolo e Agostino, si lamentino di questa fede “demoniaca”, esse permangono anche nella cultura Cristiana. Il motivo è che la cultura classica era troppo intrisa di astrologia e mitologia in abito medico, scientifico, letterario e liberarsi della conoscenza astrale significava compromettere la comprensione del patrimonio calssico e della storicità.

Così la fede negli astri e la mitologia, come forme di erudizione classica arrivano alle soglie del Medioevo e si fondono con gli insegnamenti biblici e cristiani.

Le illustrazioni medioevali, soprattutto nei paesi nordici, mostrano spesso un uomo soggiogato dalle forze astrali. Come Dio domina le esistenze umane così pure fanno gli astri che recano le sue emanazioni. Il motivo della melothesia, ossia della rispondenza fra parti del corpo umano e segni astrali, è infatti molto frequente.

La melothesia si evolve da un’antica tradizione che affonda le radici in un mito di origine iranico: la creazione del Primo Uomo o Vita Mortale avviene a somiglianza dell’universo che è plasmato con le stesse sostanze del cielo, della terra, dei mari… Lo stesso Adam significa uomo e questi contenuti sono riportati nella tradizione delle scritture ebraiche. Questa concezione, della quale esitono esempi anche in India o in altre culture, si evolse in epoca ellenistica creando una corrispondenza fra il Primo Uomo o microcosmo con il cielo stellato e quindi si iniziò ad assegnare ad ogni parte umana, non elementi del creato macrocosmico, bensì segni zodiacali che con i loro influssi governavano le parti interessate.

Questo concetto trova piena rispondenza nel Theatro di Giulio Camillo. Innanzitutto anche Camillo suddivide nei suoi gradi planetari la trattazione fra uomo interiore ed uomo esteriore richiamandosi alla dicotomia fra l’universo mico e macro cosmico. Inoltre chiaramente egli assegna ad ogni grado specifiche parti umane corredandole di dissertazioni “mediche”. Ad esempio i luoghi conservati all’Ambrosiana di cui sopra sono proprio luoghi di medicina astrale. Nonostante a mio avviso 131

questi loci non siano compilati da Camillo, è certo che il modello del Theatro era funzionale all’esposizione delle concezioni antiche di melothesia. Anche la trattazione presente nel Theatro dei giorni felici ed infelici, ossia calendari dei giorni più proprizi o infausti nei quali compiere determinate azioni, si collega alla parte di astrologia giudiziaria che pretendeva che gli influssi astrali determinassero il destino dell’uomo ad anche la riuscita delle sue operazioni quotidiane. Nel Rinascimento emerge un’esaltazione del libero arbitrio umano e della sua dignità di autodeterminazione che indebolische la tirannia degli astri sull’uomo. Tuttavia la maggiorparte degli intelletti di quell’epoca, dai pensatori come Ficino fino agli uomini di Chiesa come Giulio II della Rovere o Alessandro VI dei Borgia credevano ancora fermamente negli astri anche in virtù 132

della nuova interpretazione che il neoplatonismo ne aveva dato.

Anche Camillo raffigura infatti un Universo nel quale i pianeti figurano quali “vassalli” di Dio, ossia nodi qualitativamente connotati nei quali confluiscono le energie o intelletti o spirtiti divini e dai quali queste forze si emanano sulla terra fino a raggiungere l’uomo. Inoltre, come abbiamo detto l’amore e la riscoperta per i classici del rinascimento non poteva prescindere da una puntuale

Cfr. nota 68 131

Giulio II fece dipingere a Raffaello nella Stanza della Segnatura un affresco con il tema astrale del cielo del 31 ottobre 132

1503, data della sua elezione a pontefice; Alessandro VI invece nella sua residenza privata, detta anche "stanze segrete” fa dipingere nelle formelle ottagonali della sala delle Sibille i simboli astrologici ed i pianeti con i loro “figli”.

conoscenza del sistema di allegorie mitologiche classiche, fondamentali veicolare significati allegorici e per capire la filosofia e la scienza ellenica, ma anche le “favole” dei Poeti.

Anche in campo figurativo ed artistico la mitologia e l’astrologia esercitano un influenza straordinaria fino ed oltre al Rinascimento.

Uno dei repertori di riferimento per la raffigurazione astrale sono gli Aratea di Cicerone, basati sulle versioni latine del poema astronomico del III secolo a.C. Φαινόµενα di Arato di Soli . Si tratta di un libro illustrato con dati scientifici e figure in stile pompeiano.

Nella tradizione araba, sulla base di Tolomeo invece, erano privilegiati gli aspetti geometrici e il calcolo e quindi gli attributi estetici degli dei classici vennero sostituiti con costumi arabi del tempo perchè non erano ritenuti funzionali al contrario di quanto accade nella tradizione classica dove essi sono rappresentativi degli insegnamenti edificanti della mitologia. Questo fenomeno di cambiamento dei “panni” divini e dei loro attributi fece sì che quando l’occidente venne nuovamente a contatto con i suoi dei greci, non li riconoscesse più; si arrivò dunque ad una stratificazione e convivenza di forme stilistiche eteorgenee dificili da dipanare nelle quali il Rinascimento cercherà di porre ordine con la riscoperta delle forme pure della classicità.

Durante il Medioevo, in particolare nel XIII secolo, la diffusione delle figure astrali e mitiche avviene su diverse direttive: dalle rielaborazioni greco-arabe fatte da Michele Scotto alla corte

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